COP 28, la domenica si concentra sulle malattie tropicali

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 23:59 da TradingOnline.com

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In questa prima domenica del COP 28, il focus si è spostato dai Capi di Stato e dalle banche centrali alle malattie. In particolare al cambiamento del mondo delle patologie dovuto al surriscaldamento globale, cosa che sta vedendo nascere una quantità sempre maggiore di focolai incontrollati di malattie tropicali in luoghi che storicamente non ne sono stati toccati. Gli Emirati Arabi hanno aperto le discussioni impegnandosi a finanziare con $777 milioni un’iniziativa per sradicare questo tipo di malattie. Ci si aspetta che l’incidenza del problema continui ad aumentare nel corso dei prossimi anni, soprattutto nel caso in cui effettivamente non si riesca a raggiungere l’obiettivo internazionale per le temperature globali fissato dall’Accordo di Parigi.

Il Presidente del COP 28, il Sultano Ahmed Al-Jaber, ha definito i fattori climatici come una delle più grandi minacce all’essere umano nel 21esimo secolo. L’iniziativa di finanziare dei progetti contro la diffusione delle malattie tropicali è stata recepita anche da molte non-profit private, tra cui la Bill and Melinda Gates Foundation che ha messo sul piatto $100 milioni per contribuire alla causa. Tra le nazioni che si sono dichiarate interessate a fornire ulteriori fondi ci sono gli Stati Uniti, il Belgio e la Germania, che per il momento non hanno comunque parlato di cifre o di investimenti.

Diverse le malattie al centro dell’attenzione

Gli studi scientifici dimostrano chiaramente come il riscaldamento globale possa portare a un’insorgenza maggiore di malattie tropicali: diarrea, malaria, malnutrizione e insolazioni in particolare. Su grande scala, queste malattie singolarmente curabili sono una minaccia concreta. Vale soprattutto per le nazioni in via di sviluppo, dove spesso mancano le risorse sufficienti per contrastare questi problemi. In una delle iniziative tipiche delle Nazioni Unite, 120 paesi hanno dichiarato di volersi impegnare a proteggere la propria popolazione dalle minacce fisiche dovute al cambiamento climatico.

Questa dichiarazione, però, non fa alcun riferimento ad azioni concrete: non si parla di combustibili fossili né di emissioni inquinanti, al punto che la Global Climat and Health Alliance ha parlato di “omissioni evidenti“. Sul punto ha parlato al COP 28 anche Hillary Clinton, che ha colto l’occasione per parlare di un punto specifico del problema: le assicurazioni. Sempre più assicurazioni si rifiutano di assicurare persone e aziende che hanno sede in zone considerate ad alto rischio climatico. Sicuramente una sfaccettatura del problema, ma non una che possa contribuire in modo significativo a cambiare l’andamento del cambiamento climatico.

Intervengono anche le banche per lo sviluppo

Dieci delle principali banche mondiali per lo sviluppo starebbero preparando un documento per annunciare di voler aumentare gli sforzi a sostegno della transizione climatica, incluse iniziative per combattere la diffusione delle malattie correlate. Anche se non c’è ancora un annuncio ufficiale, fonti vicine ai fatti ne hanno fatto menzione con la stampa. Le banche di sviluppo hanno finanziato una cifra record di $61 miliardi nel 2022 per sostenere iniziative ecologiche, ma rimane ancora appena una frazione della quantità di capitale che servirebbe per raggiungere gli obiettivi dell’accordo di Parigi.

Inoltre le banche per lo sviluppo non sarebbero disposte a fare alcuna menzione, all’interno della loro dichiarazione, alla possibilità di interrompere il flusso di finanziamenti verso i progetti legati ai combustibili fossili. Un’altra evidente omissione, che non lascia ben sperare. Antonio Guterres, Segretario Generale delle Nazioni Unite, è stato fino a questo momento l’unico a esporsi in modo netto sul tema: nel suo intervento di venerdì, durante la prima giornata di dialoghi, ha apertamente affermato che mettere fine all’uso di combustibili fossili è l’unica via possibile per salvare il Pianeta.


Commodities scosse dagli attacchi nel Mar Rosso

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 21:41 da TradingOnline.com

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Il mondo delle materie prime si ferma a guardare l’evoluzione dell’ennesima situazione di tensione geopolitica: gli Houthis, un gruppo rivoluzionario con sede in Yemen, hanno attaccato diverse navi commerciali e persino una nave da guerra statunitense nel Mar Rosso. Il traffico delle commodities nel canale di Suez potrebbe risentire di queste tensioni, con varie società di spedizioni cargo che potrebbero decidere di dirottare le navi verso altri percorsi che evitano il canale di Suez. Si tratta di un corridoio estremamente importante per l’export di commodities europee, come i cereali, e per l’import di gas naturale liquefatto e altri combustibili fossili.

Due navi in particolare, la Unity Explorer e la Number Nine, sono state prese di mira dopo aver rifiutato gli ultimatum imposti dagli Houthis. Una è stata sequestrata dalle milizie, mentre l’altra è stata colpita da droni e missili. Il gruppo yemenita ha rivendicato gli attacchi sui social media, aggiungendo tensione a una situazione già molto delicata in Medio Oriente. Quello che sta succedendo nel Mar Rosso potrebbe incidere anche sulla situazione in Israele: ci si aspetta che con l’apertura dei mercati finanziari, i combustibili fossili inizino a mostrare un aumento del premio per il rischio legato alle attese degli effetti geopolitici.

presentazione notizia su impatto attacchi Houthis sul mercato delle commodities

Attacchi a navi commerciali e militari

Le due navi attaccate dagli Houthis sono in condizioni ancora non conosciute: il Pentagono ha fatto sapere che a breve verranno comunicati degli aggiornamenti sulla situazione attuale. Nel frattempo, il Ministero della Difesa degli Stati Uniti ha confermato che gli attacchi hanno riguardato anche la nave militare USS Carney. Questa ha intercettato i droni e i missili in arrivo e ha poi risposto al fuoco con i propri missili. Gli Houthis fanno sapere che il loro obiettivo principale erano comunque le due navi commerciali, legate a Israele.

Per il momento non è chiaro quale sarà la risposta, soprattutto da parte dell’Occidente: la società che assicurava le due navi colpite è una società inglese, anche se le imbarcazioni battevano una la bandiera di Panama e l’altra quella delle Barbados. Si teme che ci possa essere una forte escalation del conflitto in Yemen, potenzialmente in grado di coinvolgere anche altre nazioni del Medio Oriente tra cui Iran, Arabia Saudita e Emirati Arabi che sono tra i principali produttori al mondo di petrolio.

foto di una nave che passa per il canale di Suez

Le ripercussioni sul mercato delle commodities

Il mercato delle commodities era chiuso al momento degli attacchi, considerando che si sono verificati nel pomeriggio di domenica. In ogni caso è inevitabile pensare che ci sarà un effetto: per le grandi spedizioni commerciali, ora il tratto di mare che porta al canale di Suez non è più sicuro. Specialmente in questo momento in cui non si sa ancora quale sarà, se ci sarà, la risposta militare occidentale. Anche le società che assicurano le imbarcazioni potrebbero giocare un ruolo determinante, ad esempio rimuovendo le coperture assicurative per le navi che viaggiano nel Mar Rosso.

Il canale di Suez, che fino a poche settimane fa si stava concentrando sui rifornimenti green alle navi, si trova ora in una posizione di forte stress. Questo breve tratto di mare che collega il Mediterraneo e il Mar Rosso è responsabile per un traffico annuo di merci superiore a $1 triliardo: circa il 12% dei beni mondiali transitano attraverso il canale, ossia il 30% circa di tutto il traffico globale di container. Con l’aumento delle importazioni di gas naturale liquefatto dall’Africa e dal Medio Oriente, ha assunto una posizione ancora più strategica per il mix energetico europeo dopo lo scoppio della guerra in Russia: la sicurezza di quest’area è di massima rilevanza per il mercato delle materie prime e dell’import-export europeo.


Perché in Francia prospera l’estrema destra

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 19:08 da Nicola Porro

Il grande storico tedesco Franz Neumann, parlando della nascita del Nazionalsocialismo in Germania, scrisse che l’elemento primo di cui si nutre una forza di estrema destra all’interno di una società è l’angoscia. Dove regnano preoccupazione, timori sociali, angoscia per il futuro, ebbene quello è il terreno ideale per far proliferare forze politiche anti-democratiche che si pongono l’obiettivo di vendicare, con la forza, i soprusi e le aspettative tradite dei cittadini esasperati.

I recenti fatti avvenuti a Crèpol sembrano restituire vigore a questa teoria. Nella notte tra l’11 e il 12 novembre scorso in questo piccolo comune si è consumata una tragedia che sta scuotendo la Francia. Un gruppo di giovani armati di coltelli ha fatto irruzione in una casa privata dove si stava svolgendo una festa tra ragazzi al grido di “siamo venuti per uccidere i bianchi”. Un morto c’è stato. Thomas, un adolescente accoltellato al petto. Gli aggressori pare fossero tutti cittadini francesi di origine nordafricana. Questa tragedia ha di nuovo sollevato il vento delle proteste, mobilitando i cortei di appartenenti alle frange più estreme e xenofobe della destra e rendendo ancor più evidente lo scontro violento tra visioni del mondo che avvelena la Francia da molti decenni.

Il portavoce del governo francese ha riconosciuto il “rischio di un ribaltamento della società”. Il ministro dell’Interno Darmanin parla di “fallimento sociale”. Centinaia di militanti vestiti di nero hanno sfilato per i quartieri della città d’origine degli aggressori dando fiato ad una rabbia sociale sempre più virulenta e sempre più accesa. Da molti anni in Francia si assiste a quello che è stato definito, forse impropriamente, uno “scontro di civiltà”, ossia l’inevitabile conflitto che sorge a causa della convivenza forzata tra gruppi sociali troppo diversi tra loro e pieni di risentimento gli uni verso gli altri. Immigrati di seconda e terza generazione che sono francesi ma non si sentono tali. Non sono africani e nemmeno europei. Molti di loro trovano nell’Islam la soluzione al conflitto identitario che li lacera. Altri lo trovano nell’odio verso i cittadini bianchi, ai loro occhi privilegiati e dunque da punire. L’attentato di ieri sera a Parigi al grido “Allah Akbar” è solo l’ultimo esempio.

A Crèpol, le conseguenze di questo odio mai sopito si sono manifestate in tutta la loro drammaticità. Non si vuole certo fare del populismo di destra indicando nell’immigrazione incontrollata e nell’incapacità di integrazione di certi gruppi sociali la causa di quanto avvenuto. Tuttavia la rabbia, il malcontento, e per l’appunto l’angoscia che questa situazione sempre più precaria genera nei cittadini francesi è un dato innegabile. Gli scontri tra abitanti delle banlieu e polizia dopo la morte del giovane Nael assomigliavano in modo inquietante all’inizio di una guerra civile.

I francesi, specie quelli che vivono nelle regioni rurali, lontano dagli splendori della ville lumière, sono esausti. Arrabbiati. Sempre meno disposti a tollerare gesti come quelli di Crèpol. E dove non arriva lo Stato arriveranno le bande di estrema destra. Coloro che in Italia vedono fascisti ovunque dovrebbero allungare lo sguardo oltralpe. Non dimentichiamo che l’idea moderna di fascismo non è nata in Italia come molti ritengono, ancor meno in Germania, bensì proprio in Francia.

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Secondo un altro storico tedesco, Ernst Nolte, è nella nazione che ha dato i natali alle libertà civili con la Rivoluzione Francese che nacque, dopo il 1848, il concetto di fascismo. Il “maurrassismo”, ovvero il pensiero politico di Charles Maurras, è considerato l’antesignano del dannunzianesimo, del sansepolcrismo e dello stesso Nazismo. Tale dottrina mescola in sé autoritarismo, nazionalismo, militarismo e un acceso antisemitismo (leggi oggi xenofobia). Non è un caso che anche l’antisemitismo moderno abbia trovato nella Francia la sua patria d’origine.

Le svastiche dipinte sui muri delle sinagoghe e sulle tombe nei cimiteri ebraici sono il portato di una lunga tradizione. Così come l’odio verso Israele espresso dai cortei filo-palestinesi nelle piazze francesi. La Storia presto o tardi presenta sempre il conto. Prima di lasciare questo mondo Henry Kissinger, immigrato in America, disse che la Germania aveva fatto malissimo ad accogliere così tanti profughi di origine e cultura così diverse dalla propria. In Francia l’equilibrio sociale è sempre più fragile. La paura verso i movimenti di destra a là Marine Le Pen è la stessa che hanno i tedeschi verso l’AfD. Paura di un passato tragico (Vichy nel caso francese) le cui ferite ancora grondano sangue.

Ma il vento dell’estrema destra continua a soffiare nelle città francesi e c’è il rischio che arrivi a spazzare il resto d’Europa come già successo in passato con Maurras e le sue idee. Immigrazione incontrollata, disagio economico, paura e insicurezza sono i combustibili che alimentano il fuoco dell’estremismo. Alcune zone d’Italia, così come molte città (Milano in testa) assomigliano sempre di più alle disagiate aree francesi dove la popolazione vive nell’angoscia per una convivenza impossibile con i frutti di un’immigrazione sregolata.

Convivenza imposta con la forza e senza che vi sia la mano dello Stato a garantire la sicurezza. Che i “fascistologi” di tutta Europa aprano gli occhi. Il male più tremendo spesso giunge da dove meno ce lo aspetteremmo.

Francesco Teodori, 3 dicembre 2023


Il tempo è denaro? Allora anche il denaro è tempo… spesso sprecato!

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 18:41 da Miglioverde

di MAURO GARGAGLIONE

Il celebre adagio “il tempo è denaro” lo conoscono tutti. Nessuno però lo dice mai all’inverso “il denaro è tempo”.

Essendo un’eguaglianza è corretto anche così. Solo che gli Stati possono moltiplicare il denaro a piacimento ma così facendo ne distruggono il valore, cioè il potere d’acquisto. Il tempo invece nessuno lo può moltiplicare a piacimento.

Il nostro tempo a un certo punto finisce e noi si smette di esistere. La questione è che un’umanità che vive in un sistema di denaro moltiplicabile a piacere non è più in grado di valutarne il valore. E se non sa valutare il valore del denaro non sa comprendere il valore del tempo.

Ecco come si spiega fare quattro ore di fila per una pagnottella del McDonald in offerta speciale o una notte all’addiaccio per assicurarsi il nuovo iPhone. Il tempo FIAT non può esistere, ciò che gli assomiglia di più è il tempo rubato, cioè il denaro di chi ha speso il suo tempo per guadagnarselo.

Non ci può essere giustizia, moralità, rispetto del prossimo, voglia di creare e progredire, di intraprendere, in una parola LIBERTA’, in un sistema di denaro fiat.

W L’ORO, W BITCOIN W LA LIBERTAD CARAJO!

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How to Explain the Great Reset to Idiots.

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 18:34 da A Lily Bit

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The standard left-wing assertion about “advanced capitalism” is that it results in socialism for the rich and capitalism for the poor.” Like most leftist ideas, this notion almost represents the exact opposite of the truth.

The system they refer to is anything but socialism for the rich and capitalism for the poor. Capitalists don't desire socialism for themselves and capitalism for the rest. Capitalists seek profit, which can only exist in a capitalist system.

The phrase “socialism for the rich and capitalism for the poor” is based on the deeply flawed leftist belief that socialism is obviously beneficial for those living within it, a veritable paradise, while capitalism is seen as a ruthless, dog-eat-dog “anarchy” where individuals battle over scraps, leading many to inevitable starvation.

This view suggests that socialism is to be aspired to and capitalism avoided at all costs. However, the truth is that capitalism is the productive system that generates and rightfully distributes wealth, whereas socialism is seen as the consumptive system that limits wealth creation and unjustly consumes it.

Why is this the case? Socialism, by socializing the means of production, discourages personal, private investment in capital formation, including self-investment. In socialism, private investments in capital resources and self-development are discouraged (or prohibited). Thus, socialism favors the non-investor, the non-producer, and the non-user of production means, while disadvantaging (or prohibiting) the private investor, producer, and user of these means. Consequently, fewer people will take on these roles, leading to a decline in capital formation; there will be less appropriation of natural resources, reduced development of new production factors, and less maintenance of existing production factors.

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As socialism discourages (or prohibits) investments in productive factors, it also discourages saving and encourages consumption. Since one cannot become a capitalist, there is less reason to save and more incentive to consume. The result is a lower production of consumer goods, leading to a decreased standard of living for everyone.

Furthermore, socialism leads to inefficient use of production means, as it does not respond to changes in demand. Without entrepreneurs to adjust capital resources to changing demands and improved methods, socialist planning cannot adapt to changes in demand and production. This means that at least the production of less desired goods and services, and possibly even the non-production of needed goods and services, will occur.

It may seem almost unnecessary to point out how socialism alters the character of society and even the personalities of the people living under it. Under socialism, people become less capable of producing, innovating, and responding to the changing needs of their peers. They become less adaptable. With the prolonged duration of socialism, they become more oriented towards the present and less forward-thinking.

Contrary to the claims of its proponents, it is socialist - not capitalist - production that is irrational. This irrationality is due to the elimination of essential indicators for determining rational production and distribution, namely, prices.

Ludwig von Mises demonstrated that prices represent the incredibly complex and crucial data sets necessary for allocating resources for production and aligning them with demand. Socialism is irrational because, without prices for production factors, no rational criteria can emerge for allocating resources to specific production processes. Without prices, the socialist economy cannot provide the feedback loops required to decide what, how much, and how to produce. This leads to cancerous, oversized production capacities in one sector while another sector may suffer from relatively weak production capabilities, and so on.

This means that socialism fails not only in resource allocation but also in economically representing the people it claims to advocate for.

In the absence of price mechanisms, the economic “voters” or consumers have no way to express their needs and desires. Production and distribution must rely on the undemocratic decisions of centralized authorities. Without the means to influence production based on their needs, socialism is far from being an “economic democracy.”

Those who truly care about the working masses must reject socialism because it fails to create an economic democracy, which is its most essential justification.

Capitalism is the ethical system that respects property rights, starting with the ownership of people's bodies, while socialism is the unethical aggression against property rights, including aggression against ownership of people's bodies. Without ownership of one's own body, one is a slave.

Capitalism, based on the “private ownership of the means of production,” entails the following principles:

  1. Individuals own their own bodies and can do as they please with their bodies, provided they do not violate the physical or other property of another person.

  2. Whatever individuals create with unclaimed resources or resources for which they have contracted becomes their property, as long as such action does not involve aggression against the property of another person.

  3. The protection of property rights and unfettered exchange lead to increased specialization of labor, rising production of wealth, and an overall improvement in social welfare.

In summary, much of what is taught about capitalism and socialism, like many commonly taught concepts, is often the opposite of the truth.

However, for political capitalists - that is, those who curry favor with the state - their aim is to seek profit while favoring the reduction or elimination of risk with state support.

But make no mistake: capitalists of any stripe are in pursuit of profit. So, why would political capitalists want socialism for themselves and capitalism for others? The short answer is, they don't. They want capitalism for themselves and socialism for the others. This means they seek to monopolize profit-oriented production by eliminating the property rights of others while simultaneously reducing or eliminating their own risk. (Consider the example of China.)

Indeed, the entire goal of what is known as the Great Reset is the exact reversal of the “socialism for the rich and capitalism for the poor” formula. The Great Reset represents an attempt by a protected class of elite capitalists to form cartels and seek state favoritism, establishing capitalism for themselves while effectively subjecting the vast majority to socialism.

This explains why capitalist corporations, in conjunction with propagandists from the World Economic Forum, are disseminating social democratic socialist rhetoric and ideology, and promoting a social democratic socialist agenda.


“Italiani angeli custodi di Indi”. Il discorso del padre al funerale

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 17:30 da Nicola Porro

“La mia bellissima guerriera Indi Gregory. Onestamente, sento, nel profondo del mio cuore, che Indi non era solo bella, forte e unica. Sapevo fin dall’inizio che era molto speciale”. È con queste parole che Dean Gregory ha iniziato il discorso d’addio ai funerali della figlioletta. La cerimonia si è svolta lo scorso venerdì nella cattedrale di Nottingham alle 10.15 (ore 11.15 in Italia), a officiarla è stato il vescovo cattolico Patrick McKinney. La piccola di soli otto mesi era affetta da una rarissima malattia mitocondriale, una situazione che ha portato l’Alta Corte di Londra a disporre la sospensione dei trattamenti vitali, avallando così la posizione del Queen’s Medical Center di Nottingham, dove la bambina si trovava da febbraio scorso, ossia dalla sua nascita, avvenuta il 24.

Indi è morta il 13 novembre in un hospice per malati terminali del Derbyshire, dove era stata trasferita qualche ora dopo lo spegnimento del ventilatore meccanico che l’aiutava a respirare, restando solo con una maschera per l’ossigeno. Una vita spezzata sul nascere nonostante la dura battaglia legale condotta dalla famiglia. Una battaglia che lo stesso Dean Gregory ha menzionato nel discorso: “Non avrei mai potuto immaginare il tipo di viaggio che noi e Indi avremmo dovuto affrontare per lottare per la sua vita. Non ha dovuto solo combattere contro i suoi problemi di salute, ma anche contro un sistema che rende quasi impossibile vincere”. Un padre che ha descritto la sua bambina come una “guerriera”. “Indi ha superato così tante difficoltà: ha avuto convulsioni, 2 operazioni, sepsi, ecoli, tra le altre infezioni, che qualsiasi altro bambino avrebbe faticato a superare. Ma, la determinazione di Indi di lottare per la possibilità di vivere mi ha davvero ispirato. La forza che aveva per un bambino di otto mesi era incredibile. E questa è una delle ragioni per cui avrei fatto qualsiasi cosa affinché Indi avesse quella possibilità di vivere che le è stata negata”.

Una possibilità che invece le era stata offerta dallo Stato italiano. Infatti, l’Italia si era subito mobilitata per salvare la piccola: dalle porte aperte del Bambin Gesù alla cittadinanza italiana. Ma, nonostante il Bambin Gesù di Roma si fosse offerto di seguire e di prestare «cure specialistiche» alla piccola, il giudice dell’Alta Corte aveva negato il permesso di trasferire la bambina in Italia. La famiglia però non si era data per vinta e, col supporto dell’Italia sempre vicino ai Gregory in questa battaglia, aveva fatto sì che Indi avesse la cittadinanza italiana, in modo da avere più possibilità di essere trasferita al Bambino Gesù. Infatti, il Consiglio dei ministri, convocato d’urgenza, aveva preso la decisione in pochi minuti. Una scelta motivata da Palazzo Chigi in considerazione dell’eccezionale interesse per la comunità nazionale ad assicurare al minore ulteriori sviluppi terapeutici, dando così inizio ad una vera e propria corsa contro il tempo.

Non per nulla, due giorni dopo, il console italiano a Manchester, Matteo Corradini, diventato automaticamente suo giudice tutelare, aveva avviato le procedure per chiedere il trasferimento di giurisdizione del caso da Londra a Roma. E, mentre la Corte d’Appello valutava l’ultimo ricorso presentato dalla famiglia, il premier Giorgia Meloni scriveva al Segretario di Stato per la Giustizia del Regno Unito, Alex Chalk, chiedendogli ufficialmente di collaborare per facilitare il trasferimento della bambina in Italia ai sensi della Convenzione dell’Aia del 1996, un accordo internazionale sulla responsabilità genitoriale e la protezione dei minori ratificato dal Regno Unito nel 2012 e dall’Italia nel 2015. Tutto inutile e con tanto di giudici dell’Alta Corte apparsi quasi irritati dall’attivismo amministrativo, diplomatico e politico con cui l’Italia aveva cercato di salvare una loro piccola connazionale. Un astio che si è potuto ben constatare dalla squallida ironia emersa dalla lettera datata al 13 novembre, giorno della morte di Indi, che il “giudice” Peel, lo stesso che ha ordinato di staccare la spina alla piccola, aveva inviato a Corradini. Quest’ultimo, infatti, gli aveva richiesto, cinque giorni prima della morte della bambina, di cedergli la giurisdizione sul caso ai sensi dell’articolo 9 della Convenzione dell’Aja del 1996.

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“Caro signor Corradini, grazie per la sua lettera del 9 novembre in cui, in base all’articolo 9 della Convenzione dell’Aja del 1996, richiede di essere autorizzato a esercitare la giurisdizione allo scopo di fare i passi necessari per trasferire Indi Gregory in Italia”. Un astio, un’acredine, una disumanità che avevano dato conferma di quanto Dean Gregory aveva già detto sul sistema giudiziario inglese e che non ha esitato a ribadire nel discorso di addio alla figlioletta. “Ero anche disposto ad andare fino agli inferi per combattere e proteggere Indi. In un certo senso l’ho fatto, perché il sistema giudiziario stesso mi sembrava essere l’inferno. Eppure, Indi era una bambina di otto mesi che ha avuto il potere di toccare il cuore di milioni di persone in tutto il mondo! Ha ispirato amore, e da nessuna parte più che in Italia”. Quell’Italia che è stata accanto alla famiglia della piccola fino alla fine e la presenza di una delegazione del governo italiano con la ministra Roccella ai funerali ne è stata l’ennesima prova.

Una vicinanza che Dean Gregory non ha esitato nuovamente a ringraziare nel giorno di addio alla sua bambina. “Sono sicuro che Indi sia orgogliosa quanto me per l’incredibile sostegno e amore mostrato dal governo italiano, dal primo ministro italiano e dal popolo italiano. Credo fermamente che fossero gli angeli custodi di Indi durante la battaglia legale per salvarla”. Un discorso in cui Dean Gregory ha ringraziato “tutte le persone coinvolte nella battaglia legale di Indi, inclusi i miei avvocati e Christian Concern”. Una battaglia che Dean ha considerato “tra il bene e il male”. Infatti, il padre è giunto alla conclusione che: “Dio ha messo Indi su questa terra con la missione di smascherare il male nel mondo”.

Un discorso fatto di fede. Una fede nata durante questo calvario e che aveva portato il padre a battezzare la piccola. “Ma, il mio più grande conforto in questo momento difficile è sapere dove sia Indi e con chi sia ora. Ho fatto battezzare Indi per proteggerla e affinché andasse in paradiso. Mi dà pace sapere che è in Paradiso e Dio si prende cura di lei”. Un discorso da cui sono emerse dignità e compostezza: dalla condanna a un “sistema diabolico” che spezza una piccola vita prima ancora di essere vissuta “in nome del miglior interesse del bambino” ai ringraziamenti verso tutti coloro che hanno appoggiato la famiglia in questa estenuante battaglia.

Un discorso fatto di compostezza e dignità ma anche dell’amore di un padre riportato nelle parole di chiusura. Sei parole che racchiudono l’infinito: “Ti amerò sempre, Indi. Da papà”.

Nemes Sicari, 3 dicembre 2023


Yen chiude ottima settimana. Ora la palla passa a…

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 17:18 da TradingOnline.com

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Come avevamo già indicato pochi giorni fa, la storia di breve periodo dello yen giapponese sarebbe stata una storia fatta principalmente di eventi esterni e fuori dal controllo di Bank of Japan. Con JPY che viene scambiato contro il dollaro a circa 146, lontano da quella soglia dei 150 che pur aveva eletto a sua abitazione principale negli scorsi giorni, la cosa sembrerebbe essere confermata. Da Tokyo non arriva infatti alcuna novità concreta sulle prossime mosse di politica monetaria e a far buon giorno per lo yen sono principalmente notizie che arrivano da Washington.

Si fanno sempre più insistenti infatti oltreoceano le discussioni su un prossimo taglio dei tassi, per quanto Jerome Powell abbia smentito e questo ha fatto posizionare il dollaro USA in posizione di debolezza relativa nei confronti della divisa nazionale del Giappone. Difficile però che BoJ possa tornare a breve a dire la propria a e a riprendere in mano una situazione che sembrerebbe essere sfuggita dalle stesse.

Yen in buono stato di forma

Bank of Japan: decidono gli altri

In settimana sono arrivati messaggi, neanche troppo cifrati, per i mercati. I messaggi arrivano dal Giappone e hanno rimandato alle proverbiali calende greche e comunque dopo le idi di marzo eventuali decisioni sui tassi che potrebbero segnare il ritorno per gli stessi in territorio positivo. Nonostante ciò, lo yen ha vissuto una settimana di importante forza relativa, che non si vedeva da tempo contro il dollaro. A pesare sono stati eventi esterni sui quali BoJ e Kazuo Ueda non hanno alcun tipo di potere decisionale.

L’economia USA è in rallentamento, almeno secondo i dati (scarni in verità) di cui è in possesso Federal Reserve e questo ha fatto tornare potenti le discussioni che riguardano le prossime decisioni della principale banca centrale su scala mondiale.

Discussioni che hanno dato una grossa mano a Tokyo, che oltre ad avere davanti un’inflazione con la quale prima o poi dovrà fare i conti, ha anche un’economia prossima al disastro da tutelare. Che possa farlo rinunciando alle politiche poco ortodosse sui tassi che tiene ormai da tempo è qualcosa che suscita però dubbi anche tra i più ottimisti. Una situazione, per intenderci, con la quale si dovrà fare i conti più prima che poi.

Comanda però Washington

Per il breve periodo sono in pochi però a credere in un trend ancora positivo

I mercati hanno ormai da tempo prezzato una Fed costretta dalle necessità a essere più morbida. Il trend positivo potrebbe certamente continuare, per quanto sarà una settimana fondamentalmente priva di grandi appuntamenti.

A pesare saranno i venti che spirano da Washington e, in misura minore, da Francoforte: per ora la narrativa di tagli che arriveranno presto è importante e dominante ma non è detto che lo rimanga ancora a lungo.

I mercati, in particolare durante le ultime settimane, ci hanno abituato a cambi di passo, e di narrativa, piuttosto repentini, che costringono tutti a una maggiore prudenza. Anche i segnali che arrivano da Wall Street, con i mercati che non sembrano prendere per niente sul serio le minacce di Jerome Powell, giocano a sfavore di chi crede in una continuazione del trend.

Occhi puntati per la prossima settimana su ISM, uno dei dati considerati più importanti da Federal Reserve e che potrà confermare, o smentire, l’arrivo di politiche monetarie più lassiste, almeno sul fronte dei tassi.

Saranno dati (e conseguenti decisioni) che avranno un impatto importante sul mercato del Forex e anche sullo yen, che ricordiamo essere ormai in balia di quelle che saranno le decisioni e di quelli che saranno gli eventi a altre latitudini. E per un lungo periodo non ci si potrà aspettare nulla di diverso.


L’Ungheria respinge la proposta di entrata dell’Ucraina nell’UE

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 17:03 da Francesco Carrino

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Il governo ungherese di Viktor Orban ha definito “del tutto prematura” la proposta di ammissione dell’Ucraina nell’Unione europea. Il capo dello staff di Orban, Gergely Gulyas, giovedì ha dichiarato in una conferenza stampa a Budapest che è troppo presto per avviare colloqui formali sulla questione,  secondo  l’AP.

“Si tratta di una proposta del tutto prematura”, ha sottolineato Gulyas, spiegando che l’Ungheria “non può contribuire ad una decisione comune” sull’invito dell’Ucraina ad aderire al blocco europeo.

Nonostante l’Ucraina sia da tempo tra i paesi più corrotti al mondo, questo mese il braccio esecutivo dell’UE ha sollecitato l’apertura dei negoziati per l’adesione , a patto che Kiev possa mostrare progressi su fronti come la corruzione dilagante, le attività di lobbying e altre questioni relative alla libertà delle lingue minoritarie.

È interessante notare che il Primo Ministro Orban è addirittura fermo contro l’approvazione di ulteriori 54 miliardi di dollari in ulteriori aiuti a lungo termine all’Ucraina, attualmente proposti da aggiungere al bilancio dell’UE. Recentemente è diventato ancora più esplicito nella sua promessa di bloccare tutti gli aiuti europei finché l’Ucraina non attuerà cambiamenti significativi.

L’Ungheria è particolarmente preoccupata per l’oppressione degli ungheresi all’interno dell’Ucraina. Alla fine di settembre, Orban ha tenuto un discorso in cui ha dichiarato che l’Ungheria non sosterrà più l’Ucraina in alcun modo a meno che non vengano modificate alcune politiche significative sia a Kiev che nell’Unione Europea.

Durante tutto il conflitto Orban si è opposto alle politiche contro Mosca e ha costantemente messo in guardia dal rischio di una Terza Guerra Mondiale che coinvolga uno scontro diretto NATO-Russia. Ha detto a Tucker Carlson in una recente intervista che “la  Terza Guerra Mondiale potrebbe bussare alla nostra porta, quindi dobbiamo stare molto attenti”.

estratto da apnews.com

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Francesco Carrino

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Guarda il VIDEO: il presidente tedesco è rimasto ad aspettare sotto il sole, ignorato al suo arrivo in Qatar

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 17:03 da Francesco Carrino

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Il presidente russo Vladimir Putin la scorsa settimana ha deriso la Germania, dicendo che è manipolata da potenze esterne e che è sempre più priva di sovranità. Mercoledì Putin ha detto ai media statali: “I tedeschi ingoiano tutto questo perché… non hanno sovranità. E alcuni leader di governo apparentemente non hanno competenze professionali sufficienti per prendere decisioni adeguate e professionali. Tutti sanno che vengono derisi dal mondo intero .”

Ha pronunciato queste parole proprio lo stesso giorno in cui, per ironia della sorte, si è svolto lo spettacolo che segue nel video, in cui il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier è stato snobbato all’aeroporto dopo essere atterrato a Doha per una visita ufficiale di stato in Qatar …

Era lì per colloqui ufficiali con i leader del Qatar in relazione a diversi cittadini tedeschi detenuti da Hamas nella Striscia di Gaza. I media tedeschi che erano in viaggio con lui hanno riferito che i funzionari del Qatar potrebbero averlo snobbato.

Di seguito la  descrizione dettagliata di Deutsche Welle di quanto accaduto :

Il Sole brillava. Il tappeto rosso era stato steso. Si era radunata una guardia d’onore militare. Era presente anche l’ambasciatore tedesco in Qatar, Lothar Freischlader. L’unico problema è che nessun funzionario del Qatar era presente per accogliere formalmente il presidente tedesco Frank-Walter Steinmeier a Doha .  

Arrivato leggermente in anticipo rispetto al previsto,  Steinmeier ha aspettato sotto il sole cocente davanti alla porta dell’Airbus A350 della Bundeswehr per quasi mezz’ora prima che Sultan al-Muraichai, ministro degli affari esteri del Qatar, arrivasse per ricevere il capo di stato tedesco.  

Nonostante le formalità diplomatiche ritardate in seguito all’arrivo di al-Muraichai, Steinmeier ha lasciato l’aeroporto in tempo per il suo incontro programmato con l’emiro al potere in Qatar, lo sceicco Tamim bin Hamad Al Thani. 

Anche se è possibile che ci sia stato un legittimo equivoco dato che l’aereo di Steinmeier era arrivato leggermente in anticipo, la scena è risultata particolarmente insolita per un capo di stato.

I media russi hanno ipotizzato che potrebbe trattarsi di una “ritorsione” per le parole pronunciate dal ministro degli Esteri tedesco Annalena Baerbock in ottobre. Secondo RT, all’epoca disse “Non accettiamo il sostegno al terrorismo” e sostenne che gli stati arabi come il Qatar “hanno una responsabilità speciale nel porre fine al terrorismo”.

Il Qatar è stato a lungo considerato un sostenitore di Hamas, ma le relazioni non sono cosi spinte come con l’Iran. Allo stesso tempo, il Qatar ha svolto un ruolo di mediatore diplomatico con l’Occidente nella crisi degli ostaggi a Gaza.

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Francesco Carrino

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Amazon Lancia “Q”, il rivale di ChatGPT per le aziende

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 17:01 da Francesco Carrino

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amazonq2

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Amazon ha annunciato il lancio di “Q”, una nuova piattaforma di intelligenza artificiale progettata per competere con ChatGPT di OpenAI, specificamente orientata verso il settore aziendale.

Questa mossa segna l’entrata di Amazon in un settore in rapida espansione, quello delle tecnologie di conversazione basate sull’IA, che puntano a fornire soluzioni innovative per le imprese.

“Q” di Amazon è progettata per essere un assistente virtuale avanzato, capace di comprendere e rispondere a una vasta gamma di richieste aziendali. La piattaforma utilizza l’intelligenza artificiale per offrire interazioni naturali e personalizzate, con l’obiettivo di migliorare l’efficienza operativa e l’esperienza cliente per le aziende.

Meet your new #generativeAI assistant designed for work that can be tailored to your business. 💡

With Amazon Q, you can solve problems, generate content, get insights from data, build faster on #AWS, while helping keep your data private & secure. ☁️

🔗 https://t.co/ZKKQs9gzEc pic.twitter.com/4H0xagrgfI

— Amazon Web Services (@awscloud) November 28, 2023

Il lancio di “Q” rappresenta un passo importante per Amazon nel campo dell’IA conversazionale, un’area che sta vedendo una crescente concorrenza con il successo di strumenti come ChatGPT.

La scelta di focalizzarsi sulle applicazioni aziendali riflette la comprensione di Amazon dell’importanza di queste tecnologie nel migliorare i servizi e le operazioni aziendali.

“Amazon Q fornisce informazioni e consigli immediati e pertinenti ai dipendenti per semplificare le attività, accelerare il processo decisionale e la risoluzione dei problemi e contribuire a stimolare la creatività e l’innovazione sul lavoro”.

“Q” si propone di fornire una soluzione scalabile e integrabile per le aziende, consentendo di implementare assistenti virtuali avanzati. Ciò potrebbe essere particolarmente vantaggioso per le piccole e medie imprese che cercano di sfruttare l’IA per migliorare i loro servizi ma non hanno le risorse per sviluppare soluzioni personalizzate.

Con il lancio di “Q”, Amazon non solo rafforza la sua presenza nel mercato dell’intelligenza artificiale, ma contribuisce anche all’evoluzione di questo settore.

Le aziende ora hanno a disposizione un’ulteriore opzione per sfruttare la potenza dell’IA conversazionale, potenzialmente portando a un’adozione più ampia di queste tecnologie in vari settori.

Con la sua capacità di fornire assistenti virtuali intelligenti e personalizzati, “Q” potrebbe diventare uno strumento fondamentale per molte aziende che cercano di migliorare la loro efficienza operativa e l’esperienza cliente.

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Francesco Carrino

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I Rothschild vogliono una fusione tra aziende, governi e intelligenza artificiale per “salvare il capitalismo”

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 17:00 da Francesco Carrino

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Scritto da Brandon Smith tramite Alt-Market.us,

Se non hai familiarità con una piccola organizzazione chiamata “Council For Inclusive Capitalism”, non preoccuparti, la maggior parte delle persone non ne ha mai sentito parlare. Il gruppo si è formato nel pieno della pandemia covid; poiché la paura instillata dai governi e dai media propagava i feed di notizie e la maggior parte del pubblico era piuttosto distratta. Il CIC è essenzialmente tutto ciò che i teorici della cospirazione mettono in guardia da anni, racchiuso in un’unica entità orwelliana, con tanto di musica drammatica con pianoforte e una maschera di filantropia umanitaria.

La funzione fondamentale del consiglio è quella di centralizzare la maggior parte o tutte le principali società (corporazioni con influenza globale) e unirle ai governi in una rete che antepone l’ideologia alla motivazione del profitto. Alcuni potrebbero sostenere che le aziende debbano adottare un sistema di valori condivisi invece di limitarsi a vagare in giro come squali divorando tutto ciò in cui riescono ad affondare i denti. Ma chi può scegliere l’insieme di valori seguiti dai colossi aziendali?

Il CIC è un organismo fisico che rappresenta il braccio operativo del concetto ESG. Ha lo scopo di creare incentivi e punizioni per il mondo degli affari in base alla loro conformità ai valori del globalismo e del socialismo risvegliato, nonché alla loro sottomissione all’agenda climatica. Ho scritto ampiamente su questo tema, ma il mio articolo  “Che cos’è il “Consiglio per il capitalismo inclusivo?” It’s The New World Order’  è probabilmente la migliore panoramica del gruppo e delle loro intenzioni.

L’idea è semplice: allineare la maggioranza delle aziende all’ordine politico di estrema sinistra. Una volta fatto ciò, costringeranno quelle aziende a utilizzare le loro piattaforme e l’esposizione pubblica per indottrinare le masse. Abbiamo visto questa strategia in azione negli ultimi anni, con molte aziende che producono un flusso costante di prodotti, contenuti mediatici e marketing pieni di propaganda sulla diversità, equità e inclusione, per non parlare della propaganda antioccidentale e anticonservatrice.

Queste aziende sono state così radicate nel formato DEI ed ESG che molte di loro sono disposte ad alienare la maggior parte dei loro clienti e a perdere ingenti profitti. Le ultime vestigia dell’economia del libero mercato vengono così distrutte, perché la motivazione del profitto è stata sostituita da una motivazione politica.

Perché le aziende dovrebbero scegliere di aderire a tale organizzazione se saranno costantemente microgestite nelle loro operazioni? Non può essere presentata loro come una scelta, ma piuttosto come un’esigenza inevitabile. Coloro che salgono al piano terra ottengono i posti migliori al tavolo della cabala; coloro che aderiranno tardi potrebbero essere schiacciati sotto il peso di un’oppressiva burocrazia socialista.

D’altra parte, la scelta potrebbe anche essere volontaria, con la promessa che ai leader aziendali verranno assegnati ampi ruoli di governance dopo il “Grande Reset” del capitalismo di cui così spesso discute il World Economic Forum.

Tieni presente che l’unico modo in cui tali aziende potrebbero sopravvivere dopo essere state evitate dalla maggioranza del pubblico è se si uniscono ai governi, ricevono un monopolio sponsorizzato dallo stato e sono sostenute da sussidi perpetui. Potrebbero anche operare partendo dal presupposto che finché continueranno a servire la religione alla fine saranno ricompensati con lo status di “troppo svegli per fallire”.

Mussolini una volta definì l’incontro del potere aziendale con il potere governativo come il progetto originale del fascismo. Il Council for Inclusive Capitalism è l’espressione vivente di quel seme autoritario.

Il gruppo è guidato da Lady Lynn de Rothschild della famigerata dinastia Rothschild, e si è espanso fino a includere un esercito di partner aziendali, partner governativi, partner delle Nazioni Unite e persino il Vaticano. Una componente chiave dell’agenda globalista che viene menzionata frequentemente è l’Intelligenza Artificiale (AI), insieme alla sua presunta capacità di sconvolgere per sempre tutto nella nostra società ed economia. Sebbene le capacità dell’intelligenza artificiale siano altamente sopravvalutate, le élite sembrano pensare che sia una sorta di apparato divino che rifarà il mondo. Lady Rothschild si è recentemente impegnata con i media per promuovere un argomento interessante e rivelatore:

Sorprendentemente, Rothschild incontra una certa resistenza da parte dei suoi intervistatori che la costringe a fare un’ammissione indiretta: l’ intelligenza artificiale richiederà una “riforma radicale dell’economia”, il che significa che il libero mercato dovrà scomparire e i partner governativi/aziendali dovranno intervenire per controllare tutto, ovviamente per il bene della popolazione e del “bene superiore”.

Solo che è tutta una farsa.

L’intelligenza artificiale, proprio come il cambiamento climatico, sta rapidamente diventando l’ennesima scusa inventata per la centralizzazione globale. Il CIC, insieme ad istituzioni come il WEF e l’ONU, sostengono da anni che “qualcuno” deve intervenire per moderare l’intelligenza artificiale in modo che nessun governo abusi del suo potere apparentemente illimitato. In altre parole: Problema, Reazione, Soluzione.

I globalisti creano un problema dal nulla (l’intelligenza artificiale), poi suggeriscono che sia un vantaggio (o una minaccia) per l’umanità molto più grande di quanto non sia in realtà, quindi offrono i loro servizi come arbitri giusti e benevoli della tecnologia e dei suoi effetti. Lo suggerisce la stessa Rothschild nell’intervista quando sostiene che i “capitalisti” dovranno adeguare le loro priorità alle cause sociali sulla scia dell’intelligenza artificiale. Come ho affermato prima, si tratta semplicemente di ESG in un’altra forma.

Vorrei sottolineare il tono di disprezzo nella reazione di Rothschild quando si introduce nel dibattito il libero mercato. Queste persone ODIANO qualsiasi nozione di libero mercato. Il sistema di Adam Smith fu redatto in risposta diretta alle violazioni del controllo mercantilista. I due costrutti si escludono a vicenda. Non è possibile avere mercati liberi (o libertà) all’interno di un impero mercantilista centralizzato. Non è possibile avere liberi mercati e socialismo all’interno della stessa economia. E per essere chiari, il sistema che abbiamo oggi negli Stati Uniti NON è un sistema di libero mercato, è un precedente sistema di libero mercato lentamente indebolito nel tempo.

I mercati liberi sono già equi. Le élite aziendali interferiscono con tale equità quando si uniscono ai governi per manipolare il sistema a loro favore e ottenere vantaggi indebiti. Le ingiustizie che Rothschild descrive come una scusa per la centralizzazione sono state in realtà create da élite come lei. La CIC e l’agenda del Grande Reset non sono altro che strumenti per consolidare per sempre il potere aziendale ed elitario.

Possono decidere quali aziende prosperare o morire. Saranno loro a decidere i valori sociali del prossimo secolo. Possono dettare come vengono utilizzate le risorse del mondo e chi può accedervi. E i governi si assicureranno di essere protetti dalla rabbia della gente nel caso in cui il pubblico diventasse saggio riguardo alla loro presa del potere ostile.

La parte più offensiva? Chiunque critichi o attacchi questa invasione ideologica della nostra vita economica sarà accusato di essere un mostro. Dopotutto, il CIC vuole solo salvare l’umanità da se stessa, giusto? Se vuoi fermarli, devi essere una sorta di cattivo egoista che valorizza la libertà individuale rispetto al bene comune.

La domanda più grande che i globalisti non vogliono che ci poniamo, però, è: cosa li rende qualificati per determinare il bene comune? Perché si presume che debbano essere loro gli arbitri di tutto? Anche la crisi di stagflazione che stiamo affrontando oggi è il risultato diretto dell’intervento di governi e banche centrali con migliaia di miliardi di denaro fiat per salvare le società “troppo grandi per fallire” dalle loro stesse pratiche disastrose. Perché dovremmo fidarci di loro per il nostro benessere sociale o per qualsiasi altra cosa?

I globalisti risponderanno a questo argomento con l’intelligenza artificiale. Diranno che l’intelligenza artificiale è il mediatore “oggettivo” per eccellenza perché non ha lealtà emotive o politiche. Affermeranno che l’intelligenza artificiale deve diventare l’apparato decisionale de facto per la civiltà umana. E ora capisci perché Rothschild è così ansioso di guidare la creazione di un quadro normativo globale per l’intelligenza artificiale: chiunque controlli le funzioni dell’intelligenza artificiale, chiunque programmi il software, alla fine controlla il mondo, il tutto utilizzando l’intelligenza artificiale come proxy. Se qualcosa va storto, possono semplicemente dire che è stata l’intelligenza artificiale a prendere la decisione, non loro.

È il perfetto governo ombra; un mago tecnocratico di OZ che usa il fumo e gli specchi di un burattino dotato di intelligenza artificiale per governare il pianeta, rimuovendo ogni responsabilità e sopprimendo ogni ribellione. Come può infatti la popolazione discutere o ribellarsi contro un algoritmo senza volto che fluttua nell’etere digitale?


Le nuove sanzioni USA contro l’Iran

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 17:00 da Francesco Carrino

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Di Charles Kennedy di Oilprice.com

Il Dipartimento del Tesoro degli Stati Uniti ha imposto sanzioni ad altre 20 entità, tra cui l’Iran Sepehr Energy e altre persone fisiche e aziende su scala mondiale, per il sostegno economico dato all’esercito iraniano.

Sepehr è presa di mira nel nuovo pacchetto di sanzioni perché presumibilmente funge da società di copertura per le vendite di petrolio del governo iraniano, che secondo il  dipartimento del Tesoro  sta finanziando le “attività regionali destabilizzanti” dell’Iran e sostenendo “molteplici gruppi regionali per procura”, tra cui Hezbollah e Hamas. 

“L’IRGC-QF e il MODAFL continuano a impegnarsi in programmi di finanza illecita per generare fondi per alimentare il conflitto e diffondere il terrore in tutta la regione”, ha affermato il Sottosegretario al Tesoro per il terrorismo e l’intelligence finanziaria Brian E. Nelson.

“Gli Stati Uniti restano impegnati a smascherare elementi dell’esercito iraniano e dei suoi partner complici all’estero per interrompere questi fondi”.

Sebbene non ci siano ancora prove concrete che l’Iran sia stato direttamente o indirettamente coinvolto nell’attacco di Hamas contro Israele il 7 ottobre, da allora l’esercito americano è stato costantemente attaccato in Siria e Iran da gruppi sostenuti dall’Iran.

All’inizio di questo mese, anche l’UE ha affermato che stava prendendo in considerazione una nuova serie di sanzioni contro l’Iran per il suo sostegno ad Hamas; tuttavia, questo è uno sforzo che polarizza le posizioni nel blocco europeo.

La nuova tornata di sanzioni statunitensi arriva mentre l’Iran aumenta la sua produzione di petrolio greggio a 3,1 milioni di barili al giorno per ottobre, posizionandosi al terzo posto tra i produttori dell’OPEC.

Secondo l’Energy Information Administration (EIA), l’Iran ha registrato un aumento della produzione di 50.000 barili al giorno su base mensile nel mese di ottobre. Dall’inizio dell’anno, l’Iran ha aumentato la produzione di petrolio di oltre 500.000 barili al giorno.

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Francesco Carrino

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Investire in Arte Contemporanea: Una Guida Approfondita

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 17:00 da Francesco Carrino

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Il mercato dell’arte contemporanea non è mai stato così vivace e promettente. Con l’ascesa di nuovi talenti e l’interesse crescente degli investitori, il campo dell’arte si sta rivelando un terreno fertile per opportunità uniche. Fineartx LTD, fondata dalla visionaria Jessica Zuttion, si posiziona in prima linea in questo scenario dinamico, offrendo soluzioni di investimento articolate e su misura.

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Vannacci, nuovo incarico dalla Difesa: cosa farà il generale

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 16:44 da Nicola Porro

Il generale Vannacci, recente protagonista di numerose controversie, ha ricevuto un nuovo incarico. Secondo quanto riportato dalla Gazzetta di Lucca, dove il generale abita, l’autore del “Mondo al contrario” è stato nominato responsabile delle operazioni, addestramento, certificazione e informazioni tattiche dell’Esercito. Tradotto in termini di grado militaresco: Capo di Stato Maggiore del comando delle forze operative terrestri.

Citato dalla Gazzetta di Lucca, Vannacci ha definito il nuovo incarico “che ero sicuro ci sarebbe stato” un “ruolo prestigiosissimo che assumo e porterò avanti con la passione di sempre, adeguato alla mia esperienza”. La necessità di trovargli un nuovo incarico segue la decisione di avvicendarlo all’Istituto geografico militare nei giorni immediatamente successivi alle polemiche sul suo libro. Fu lo stesso ministro Guido Crosetto a biasimare il poco “senso dello Stato” del generale a seguito della scelta di pubblicare un libro (best seller in Italia) con opinioni decisamente taglienti. Salvo poi fare una mezza retromarcia. “Chi fa polemica ha già mostrato di non essere preparato, asserendo delle sue verità non vere – ha aggiunto Vannacci – Continuo a fare il soldato, chi ha millantato una mia discesa in politica lo ha detto erroneamente, almeno per il momento, perché ho sempre detto che non mi precludo nulla nel futuro”. 

I complimenti di Salvini

Nei mesi scorsi era stato lo stesso Crosetto a spiegare che il generale avrebbe avuto un nuovo incarico. “Non ho mai avuto dubbi sul fatto di non aver commesso mancanze disciplinari o violato codici militari – ha aggiunto il Vannacci – Anche il ministro Crosetto dopo il nostro incontro si era espresso chiaramente dicendo che avrei avuto un nuovo incarico”. Nonostante quanto affermato dalla Difesa, ossia che il suo nuovo incarico non è una promozione e non comporta relazioni con altre istituzioni, il leader della Lega, Matteo Salvini, ha voluto lodare il generale: “Complimenti e buon lavoro a Vannacci, leale e coraggioso servitore dell’Italia e degli italiani”.

Franco Lodige, 3 dicembre 2023

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Classifica leader finanziari di Forbes. Spiccano le cripto!

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 17:00 da Francesco Carrino

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TischForbes30Under30pluslogo

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Forbes ha stilato la consueta classifica dei leader finanziari e quest’anno e non ha esitato a onorare i professionisti delle criptovalute con il suo più recente “30 Under 30” leader finanziari del Nord America.

Quasi la metà degli slot sono stati occupati da professionisti che lavorano o hanno legami con le criptovalute.

Il cofondatore di Chipper Cash, Ham Serunjogi, è in cima alla lista.

Secondo Forbes, l’azienda del 28enne serve oltre 5 milioni di clienti che la utilizzano per scambiare criptovalute o effettuare pagamenti in sette nazioni tra cui Sud Africa, Nigeria, Regno Unito e Stati Uniti.

Serunjogi e il suo co-fondatore Maijid Moujaled hanno lanciato Chipper Cash nel 2018 e “hanno raccolto 300 milioni di dollari, raggiungendo una valutazione massima di 2,2 miliardi di dollari nel novembre 2021”, si legge nell’articolo di Forbes.

Tra le aggiunte di alto profilo alla lista di quest’anno figurano anche il professionista delle risorse digitali di BlackRock Maxwell Stein, il co-fondatore e CTO di MoonPay Victor Faramond, il fondatore di Uniswap Labs Hayden Adams e la direttrice di The Graph Foundation Eva Beylin.

Alla fine del 2021, Forbes ha inserito 21 “leader di Bitcoin e Blockchain” nella sua lista dei 30 Under 30, che era quasi il doppio dei partecipanti rispetto all’anno scorso.

Bankman-Fried in cima alla lista della “Hall of Shame”.

Forbes è noto per aver talvolta celebrato i successi di giovani imprenditori che poi falliscono in modo drammatico, ma forse nessun esempio onora la rivista come quello di Sam Bankman-Fried, ex prodigio delle criptovalute, CEO di FTX.

Quest’anno, in un apparente mea culpa, Forbes ha pubblicato una lista “Hall of Shame” dominata da Bankman-Fried. È passato solo un anno da quando la rivista ha messo Bankman-Fried in copertina e incluso il giovane dirigente nella sua lista dei “30 Under 30” del 2022.

“Molti ex studenti under 30 sono diventati titani della tecnologia, amministratori delegati e persino miliardari”, ha affermato Forbes. “Alcuni si sono rivelati dei disastrosi, o molto peggio.”

Anche Caroline Ellison, ex collega di Bankman-Fried e co-CEO di Alameda Research, è stata inclusa nella lista “Hall of Shame”.

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Francesco Carrino

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Sam Altman ritorna CEO di OpenAI

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 17:00 da Francesco Carrino

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Sam Altman, co-fondatore di OpenAI, ha ripreso il suo ruolo di CEO in concomitanza con l’ingresso di nuovi membri nel consiglio di amministrazione provenienti da Microsoft.

Questo cambiamento nella leadership e nella struttura del consiglio rappresenta un momento significativo per OpenAI, azienda conosciuta e diventata celebre nel panorama tech per i suoi sviluppi rivoluzionari nel campo dell’intelligenza artificiale.

Altman, che ha co-fondato OpenAI e ne è stato presidente, ritorna come CEO, un ruolo che gli permetterà di guidare direttamente l’organizzazione attraverso la sua prossima fase di crescita e innovazione.

La sua leadership è stata fondamentale nel posizionare OpenAI come un leader nell’IA, ed è noto per la sua visione e il suo impegno verso lo sviluppo responsabile dell’intelligenza artificiale.

❤️🧡💛💚💙💜🖤🤍 https://t.co/9JnRmJMptH

— Sam Altman (@sama) November 30, 2023

“Non sono mai stato così entusiasta del futuro. Sono estremamente grato per il duro lavoro svolto da tutti in una situazione poco chiara e senza precedenti, e credo che la nostra resilienza e il nostro spirito ci distinguano nel settore. Mi sento davvero bene riguardo la nostra probabilità di successo nel raggiungimento della nostra missione”, ha affermato Altman ai dipendenti.

L’ingresso di nuovi membri del consiglio provenienti da Microsoft sancisce un ulteriore segno nella collaborazione tra le due entità.

Microsoft ha già investito significativamente in OpenAI, supportando lo sviluppo di tecnologie di intelligenza artificiale avanzate e innovative. Questi nuovi membri del consiglio apporteranno ulteriore expertise e risorse, potenziando la capacità di OpenAI di perseguire la sua missione.

Questa mossa è particolarmente rilevante in un momento in cui l’intelligenza artificiale sta diventando sempre più influente in numerosi settori, dalla sanità all’istruzione, dall’industria al divertimento.

Sotto la guida di Altman e con il sostegno del rinnovato consiglio di amministrazione, OpenAI è ben posizionata per continuare a spingere i confini di ciò che è possibile nel campo dell’IA.

Anche l’attuale CEO che ha breve darà le dimissioni per tornare al ruolo di CTO ha speso parole di elogio e felicità per il reintegro dell’ex numero uno dell’azienda

The OpenAI team is irreplaceable — I couldn’t be happier to be back at work alongside @sama and @gdb . The mission continues.

— Mira Murati (@miramurati) November 30, 2023

Il ritorno di Sam Altman come CEO di OpenAI e l’aggiunta di membri del consiglio di Microsoft rafforzano l’organizzazione e la preparano per future innovazioni.

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Francesco Carrino

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Q & A, Domande e Risposte del priorato! - Daniela & Turtlecute

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 16:00 da Il Priorato del Bitcoin

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Nella puntata di oggi, risponderemo io e Daniela Brozzoni (sviluppatrice Bitcoin) alle domande che gli ascoltatori del priorato ci hanno lasciato sul mio canale telegram @privacyfolder.


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Turetta e il raptus del “bravo ragazzo”: perché il caso Giulia Cecchettin ci sconcerta

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 15:07 da Nicola Porro

Il brutale assassinio di Giulia Cecchettin continua a suscitare un grande interesse per l’informazione nazionale, sebbene non sia certamente il primo caso di femminicidio riportato dalle cronache.

Turetta e l’omicidio di Giulia

Io credo che, come emerso durante la puntata di venerdì scorso di Stasera Italia, sia proprio la famigerata banalità del male che abbia sconcertato buona parte dell’opinione pubblica. Il fatto che Filippo Turetta, il classico bravo ragazzo, prima d’ora esente da guai con la giustizia, sportivo e, a quel che si sa, diligente nello studio e in qualunque altra attività coinvolto, abbia espresso una così disumana violenza non riesce a trovare una accettabile giustificazione nella testa di tutti quei benpensanti che, sempre alla ricerca di rassicurazioni, questa casella impazzita della loro weltanschauung proprio non riescono a rimetterla a posto.

La lezione di Freud

In realtà, come ci dovrebbero insegnare alcuni postulati della psicoanalisi – intesi più come strumento di analisi delle cose umane che come metodo terapeutico -, la civiltà non costituisce affatto una dote acquisita nei nostri geni. Essa, al contrario, rappresenta una sovrastrutturazione psichica, se così la vogliamo definire, che le varie istanze educative della società determinano a beneficio dei nuovi venuti, a partire dai primi contatti familiari.
Sigmund Freud ne dà questa incisiva definizione: “Noi crediamo che la civiltà si sia formata attraverso il contenimento dei moti pulsionali istintivi a vantaggio della società, e tale contenimento non è mai dato una volta per sempre, ma va costantemente ripetuto – per l’appunto – ogni qualvolta un nuovo individuo fa il suo ingresso nel consorzio civile.”

Ebbene, legata a questo semplice ma fondamentale passaggio dello sviluppo umano vi è la cosiddetta regressione; ossia quella situazione, che spesso ci capita di vivere, nella quale, per tutta una serie di condizioni a noi avverse, reali o percepite che siano, si precipita ad un precedente livello evolutivo, quasi sempre in modo temporaneo.

L’esempio classico e incruento di questo aspetto, misconosciuto ai più, della psicologia umana è il classico ciucciarsi il dito che, con tutti i suoi surrogati a base di sigarette o bevande alcoliche, segnala il ritorno consolatorio ad una antica fase orale, sicuramente creato da una nostra momentanea difficoltà.

Ora, questo breve ma necessario pistolotto dovrebbe servire, almeno spero, a comprendere che il sottostante della citata sovrastruttura civile è la componente istintiva, preponderante agli albori dell’umanità. Una componente in realtà ancora piuttosto presente, dal momento che oltre a Freud, molti altri studiosi della psiche umana hanno spesso sottolineato che molti dei nostri comportamenti, a cui diamo una spiegazione razionale, in realtà partono da profonde motivazioni inconsce e, per questo, a noi ignote.

Un raptus brutale?

Tornando alla morte della povera Giulia, mi sembra corretto affermare che, senza con ciò voler in alcun modo giustificare il suo assassino, ci troviamo di fronte ad una incontrollata esplosione di violenza brutale che, tuttavia, non rende il suo autore, Filippo Turetta, troppo diverso dagli altri suoi simili.

Interessante, a questo proposito, la riflessione espressa dallo psichiatria Romolo Rossi alcuni anni fa, nell’ambito di un documentario su uno dei più prolifici serial killer italiani, Maurizio Minghella. Secondo questo studioso, che è stato ordinario di psichiatria presso l’Università di Genova, anche il più feroce degli assassini non è poi tanto diverso dalle persone definite normali, le quali internamente possono sviluppare in potenza le peggiori tendenze aggressive e violente. La differenza sostanziale è che la stragrande maggioranza degli individui tali tendenze riescono a tenerle sempre sotto controllo, attraverso i cosiddetti freni inibitori.

Ma nel caso in oggetto, purtroppo per la povera Giulia, un ragazzo che non aveva mai manifestato alcun segno di violenza fisica, senza un preavviso si è trasformato in un mostro spietato.

Perché l’omicidio di sconcerta

Ed è per questo che il circo mediatico non si placa, cercando in ogni maniera di mostrare ogni elemento in grado di demonizzare a tutto tondo il suo assassino, scavando nel suo passato alla ricerca di qualche dettaglio sospetto da gettare in pasto alla fame di rassicurazione dei relativi lettori e telespettatori.

Credo, tuttavia, che malgrado gli sforzi, a prescindere dalla verità processuale che emergerà in un giudizio già fortemente inquinato proprio dallo stesso circo mediatico, non si riuscirà nell’intento. Filippo Turetta verrà giustamente chiamato a rispondere del suo efferato crimine, ma la banalità del male assoluto, commesso dall’insospettabile, classico ragazzo della porta accanto, questa volta resterà impressa nella pietra.

Claudio Romiti, 3 dicembre 2023

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If Your Kids Aren’t Happy at School, Find Them Another One

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 15:00 da Foundation for Economic Education

“I hated going to school when I was a kid,” said Elon Musk in a 2015 interview. “It was torture.” 

When deciding how his own children would be educated, Musk rejected traditional schooling and created his own project-based microschool, Ad Astra, in 2014, on his SpaceX campus. “The kids really love going to school,” said Musk about Ad Astra in that same interview, adding that “they actually think vacations are too long as they want to go back to school.” In 2020, Ad Astra evolved into the fully online school, Astra Nova, and its popular math enrichment spin-off, Synthesis

You don’t need to be a billionaire to find—or create—an ideal school for your kids. If they’re not happy at school, there’s never been a better time to exit for something else.

Today, there are many low-cost schools and learning spaces across the US that foster joyful learning—and they are becoming increasingly accessible due to widespread education choice policies that enable taxpayer funding to follow students instead of going to district schools. 

“When schools are focused on the needs of adults rather than needs of children, the children will lose out and that's what's happening in many school systems around the country,” said Jack Johnson Pannell, a former public charter school founder in Baltimore who this fall launched a private microschool, Trinity Arch Preparatory Academy for Boys, in Phoenix. He specifically chose to open his small school in Arizona due to the state’s universal school choice policies and the relative ease of being an education entrepreneur there.

Pannell grew frustrated by the institutional constraints of traditional schooling that made it difficult to best serve students, such as the inability to add extra recess time, eliminate homework, or facilitate side-by-side, individualized learning—all of which are features of the Trinity Arch Prep experience. He believes learners and parents are growing similarly frustrated. 

“Any kid who is walking into a traditional school and sitting in a chair for seven hours a day, five days a week, I hope they are screaming out to the educators: We can't do this anymore! We don't want to do this anymore! I'm not learning anything by preparing for this quiz and that quiz and that test, and fighting with the teacher whether the homework is done or read or not,” Pannell told me in our recent podcast interview. “I think children and families will demand real change in education,” he added. 

Your children should be happy at school. If instead they dread Monday mornings or count down the hours until the weekend arrives, it’s a good sign they might be better off in a different school or learning environment. If you are spending what should be quality family time with your children on homework battles and arguments over test prep and grades, then maybe it’s worth considering other educational options where your kids will find greater happiness and fulfillment. 

“The ultimate goal of the conduct of each of us, as an individual, is to maximize his own happiness and well-being,” wrote economic journalist and FEE founding board member, Henry Hazlitt, in Foundations of Morality. He went on to explain that “no two people find their happiness or satisfactions in precisely the same things,” which is why it is decentralized “social cooperation that best enables each of us to pursue his own ends.” 

We are seeing how a decentralized education ecosystem is leading to greater happiness and well-being, as families find just the right learning fit for their children and educators rekindle their love of teaching as school founders. 

For some students, the best fit might be a faith-based, character-focused microschool like Trinity Arch Prep, while for others it might be an Acton Academy, or a Sudbury school, or a classical school, or a Prenda pod, or a Montessori school, or a KaiPod, or a self-directed learning center, or a hybrid homeschool program or homeschool co-op, or a high-quality online school, or one of the thousands of independent microschools, learning pods, homeschooling collaboratives, and low-cost private schools sprouting all across the country. 

As education shifts from one-size-fits-all, coercive schooling to a vibrant marketplace of options, individuals and families are better able to make learning choices that enhance their own happiness and well-being—however they define it. 


Cina: è boom del debito (e dei default) tra privati

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 14:23 da TradingOnline.com

Pubblicato il

Secondo quanto è stato riportato da Financial Times, in Cina è record per prestiti non restituiti o in sofferenza. Ci sarebbero, afferma l’importante giornale, più di 8 milioni di persone tra i 18 e i 59 anni che sono state ufficialmente inserite in blacklist dopo aver mancato la restituzione di debiti della più svariata natura. All’interno di queste sofferenze e di questi debiti non restituiti ci sono infatti i mutui, ma anche prestiti da parte di piccole, medie e grandi aziende. Una situazione che sarebbe esemplificativa di quanto grave sia la crisi economica che ha colpito la Repubblica Popolare Cinese.

Di che numeri si parla: di circa l’1% dell’intera forza lavoro cinese, ovvero di chi ha accesso a un salario e dunque può anche permettersi di contrarre certi debiti. Il numero è alto – anche rispetto alla fase pandemica – e la racconta relativamente lunga su quale sia la situazione in Cina, con la crisi del settore immobiliare che è forse la maggiore responsabile dell’attuale situazione.

Un problema più vasto di quello che potremmo vivere in Europa

La situazione in Cina è diversa, ricordano sempre le principali testate USA, rispetto a quella che si potrebbe verificare negli States o anche in Europa. Una volta che si entra a far parte di suddetta lista nera si possono avere tutta una serie di problemi a cascata, compreso ad esempio l’acquisto di un biglietto aereo. Si possono avere problemi anche ad accedere a sistemi come quelli di pagamento integrati in WeChat, senza i quali si arriva o quasi alla morte civile.

Tale processo di inserimento nella lista nera arriva quando viene contestato il mancato pagamento di un credito – e gli effetti a catena che si innescano rendono estremamente difficile il recupero. Per tanti dei milioni di cinesi finiti in queste condizioni vuol dire l’impossibilità di rientrare nella normalità e – dal punto di vista economico – tornare a essere cittadini che contribuiscono nel pieno delle loro forze e delle loro capacità, al sistema economico.

In altre parole condizioni dure, durissime, che finiscono per ripercuotersi anche nella capacità di recupero economico da parte di un Paese, la Repubblica Popolare Cinese, che sta vivendo un momento piuttosto duro e che ha comportato anche per la prima volta dal ’94 una riduzione del suo share di economia mondiale, almeno in termini nominali.

Il tutto all’interno di un quadro che ha visto negli anni recenti un forte aumento del debito dei privati, che ha raggiunto recentemente il 64% del PIL cinese.

Più dell’1% della popolazione in età da lavoro sarebbe in “blacklist”

L’altra questione sulla digitalizzazione del denaro

L’altra questione, per quanto certamente più filosofica, riguarda quanto avviene in sistemi – il nostro non ne è escluso – dove il denaro è completamente digitalizzato. Secondo quanto racconta Financial Times chi viene inserito in certe blacklist può avere difficoltà anche a pagare pedaggi di strade a pagamento ed è comunque tagliato fuori da quello che è il più comune mezzo di pagamento del paese, ovvero WeChat Pay. È una situazione che si può verificare solo quando i pagamenti digitali hanno raggiunto una soglia critica importante.

Sono sistemi che invece di ammorbidirsi, tra le altre cose, saranno esacerbati dall’arrivo – in Europa sembra cosa certa – dell’Euro Digitale, per quanto la sua portata sarà certamente limitata almeno in prima battuta.

In pochi qualche decennio fa avrebbero immaginato il denaro digitale come strumento di ulteriore controllo, tanto finanziario quanto politico, ed è questa la storia a lato del problema dei default privati in Cina.

Qualcosa sul quale, prima che sia troppo tardi, sarebbe il caso di fermarsi a ragionare, per quanto certi trend alla cinese ci vengano raccontati come lontani, troppo lontani per tornare a fare capolino anche nel continente dei diritti.


Meloni e Mattarella in corsa per Xi Jinping

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 14:00 da Nicola Porro

Veni, vidi e persi. Archiviata in fretta e furia il flop mondiale della candidatura di Roma a Expo 2030, nei palazzi del potere va ora in onda «Alla ricerca del Dragone perduto»: protagonisti Re Sergio e Super Giorgia, i quali fanno a gara per andare in Cina a rendere omaggio al capo supremo Xi Jinping. Dopo il periodo «Contiano» della grande infatuazione per Pechino, negli ultimi tempi tra Italia e Cina era effettivamente sceso il gelo e, tra le nostre Istituzioni, era partito lo scaricabarile su chi dovesse comunicare l’uscita dell’Italia dall’accordo di partenariato economico «la via della seta».

Ora, invece, la corsa al gigante cinese è ripresa di gran lena. Ma cosa l’ha scatenata? Lo sdoganamento del presidente americano Joe Biden che ha incontrato a San Francisco Xi Jinping. Se lo ha fatto lui, possiamo incontrarlo anche noi, è stato il rebound in Italia. Lo spiega molto bene Claudio Pagliara nel suo intrigante La tempesta perfetta volume edito da Piemme. L’autore conosce nel profondo sia la Cina che gli Usa per aver lavorato come corrispondente Rai prima a Pechino e poi a Washington. Il libro offre inizialmente una raccolta di aneddoti e incontri dell’autore per poi mutare in un’analisi attenta e documentata del panorama attuale della società e della politica cinese.

Si passa, così, dai bordelli di Dongguan – un tempo destinati ai clienti e ai funzionari di partito di passaggio per ispezionare fabbriche o per partecipare a fiere, chiusi però nell’era moraleggiante di Xi e diventati oggi suite di lusso- al sistema educativo cinese con presidi che espellono studentesse «non conformi» e altri particolari interessanti come il diario con lucchetto di una bambina rinvenuto a scuola e ritenuto dall’insegnante una minaccia all’autorità e all’ordine costituito. Ma è sui delicati rapporti con Taiwan che l’autore fornisce la sua analisi esperta: «La Terza guerra mondiale non è mai stata così vicina. La Russia di Putin ha sferrato il primo colpo all’ordine mondiale, invadendo la sovrana Ucraina. La Cina di Xi Jinping minaccia di aprire il secondo, forse ancor più importante, fronte, cercando di annettere con l’uso della forza Taiwan».

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Sarebbe la tempesta perfetta, che però: «Può ancora essere scongiurata. A patto che l’Occidente non si divida. E si mostri altrettanto determinato a usare gli stessi mezzi per difendere lo stato insulare da un’eventuale aggressione bellica cinese di quelli utilizzati per difendere l’Ucraina. Oggi più che mai, tutti coloro che hanno a cuore la democrazia, i diritti umani e la pacifica convivenza devono dire senza esitazione: «Siamo tutti ucraini, siamo tutti taiwanesi».

Tornando all’incontro tra Xi e Biden, forse ha prodotto effetti maggiori in Italia che nelle relazioni Usa-Cina, tanto più che, nelle sue dichiarazioni alla stampa, il Capo di Stato americano non ha esitato a definire ancora una volta, e ancora non si sa se per l’ennesima gaffe o meno, Xi «dittatore». E dire che in tempi non sospetti, diversi anni fa, giocarono addirittura insieme a basketball. Quest’ultimo incontro ha siglato una tregua che entrambi volevano. Biden ha già due guerre in corso e non vuole nuove tensioni. Xi, il nuovo Mao, deve concentrarsi sulla sua economia e non vuole che le elezioni presidenziali a Taiwan di gennaio 2024 gli sfuggano di mano.

Per Francesco Scisci, autorevole sinologo, la tregua tra le due potenze mondiali dovrebbe durare fino alla fine della guerra a Gaza, quindi si presume verso marzo 2024, dopo il capodanno lunare cinese. In quel momento, si vedrà se i rapporti miglioreranno, peggioreranno o saranno congelati in una specie di nuova rivalità che nessuno dei due Paesi vuole chiamare «guerra fredda». Per gli Stati Uniti, tra l’altro, il vertice californiano ha offerto l’opportunità per mettere in luce, in chiave tutta interna, il governatore della California, Gavin Newsom, già sindaco di San Francisco, che non aspetta altro che il via libera per rimpiazzare Biden come candidato democratico alle presidenziali del 2024.

Inoltre, il summit è riuscito anche a ripulire temporaneamente l’immagine della città ospitante, degradata sotto il governo della sinistra a suon di immigrati, clochard e tossici. Non va peraltro dimenticato che quella a San Francisco è stata la prima visita del presidente cinese negli Stati Uniti dal 2017. Altri risultati ottenuti: l’accordo per arginare il flusso di Fentanyl, la droga sintetica che sta devastandogli Stati Uniti proveniente dalle esportazioni cinesi di precursori chimici, e l’invito di due ospiti illustri a Pechino nel 2024 come Janet Yellen e Lloyd Austin, rispettivamente il segretario al Tesoro e il segretario alla Difesa americani.

Ma a fine 2024, quando si voterà negli Usa, la nostra Giorgia con chi si schiererà? Farà l’endorsement al presidente uscente democratico o il suo vecchio ruolo di presidente dei conservatori europei le farà ribattere il cuore per il candidato conservatore per la Casa Bianca Donald Trump? Proprio per assurdo, potrebbe essere solo un Trump di nuovo presidente a poter fermare le guerre. E con lui, forse, la tempesta perfetta, la Terza guerra mondiale, può ancora essere scongiurata. A patto che l’Occidente tenga unito la barra dritta. E visto che Taiwan sta alla Cina come l’Ucraina alla Russia, la gara ad incontrare l’imperatore di Pechino tra Re Sergio e Super Giorgia, già divisi da troppi dossier, dal premierato alla magistratura, cui prodest?

Luigi Bisignani per Il Tempo 3 dicembre 2023


Ci risiamo con allarmi e open day inutili

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 14:00 da La Verità



Mentre i dubbi sulla profilassi restano inascoltati, tornano i cori catastrofisti su contagi e ospedali strapieni. Oltre, come sempre, agli appelli per l’ennesima corsa all’hub.

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Immatricolazioni auto ok, ma elettriche al palo

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 12:32 da Nicola Porro

Niente scossa elettrica per le auto in Italia: se le immatricolazioni compiono un altro passo avanti a novembre (+16%) non così si può dire per le e-car, che restano attaccate alle ancora insufficienti colonnine di ricarica disponibili sul territorio. Tanto che sulle strade del nostro Paese sono alimentate con la spina appena quattro vetture ogni cento, contro una quota di mercato media che nell’Europa occidentale è prossima al 15%.

In particolare, lo scorso mese sono state vendute 139.278 autovetture portando il totale da inizio anno a 1.455.271, con un incremento del 20% circa sullo stesso periodo del 2022. Non c’è però molto da festeggiare, perché i livelli pre-pandemici sono ancora lontani dall’essere riagguantati (-18,1% sullo stesso periodo del 2019). La stima è che il 2023 si possa chiudere con un saldo di poco superiore a 1,5 milioni di immatricolazioni.

A snocciolare i dati del mercato dell’auto, come sempre è stato il Centro Studi Promotor. Ma questa volta il peso è diverso, perché sarà questo il biglietto da visita con cui l’industria si siederà mercoledì 6 dicembre al tavolo con il ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso. L’obiettivo del governo è quello di arrivare, anche stanziando degli incentivi ai costruttori, a un milione di auto prodotte in Italia.  Un traguardo lontanissimo, dato che Stellantis nel 2022 era più o meno a metà strada: 480mila vetture prodotte e 206mila veicoli commerciali, per un totale di 685mila unità.

Secondo l’indagine Promotor, le vendite 2023 sono state frenate essenzialmente da tre fattori:

Tanto che sei concessionari su dieci lamentano ordini deboli. Per non parlare poi del peso del fisco Dracula che dissangua la classe media, l’unica che avrebbe la capacità di rilanciare i consumi e affonda i denti anche nelle tredicesime.

Decisamente migliore il quadro per il mercato delle moto che si avvia a chiudere il 2023 come il miglior anno dal 2011 dopo un novembre energico (+15% le vendite) malgrado una flessione importante dei ciclomotori. In particolare Confindustria Ancma conta 16.784 unità vendute a novembre ma, per la prima volta nell’anno frenano gli scooter.

Anche per le moto finisce paralizzato l’elettrico che, dopo la fine degli incentivi statali, crolla di quasi il 64% a soli 544 veicoli messi in strada. Il peggior risultato da gennaio. L’Associazione nazionale ciclo motociclo accessori batte cassa all’esecutivo, chiedendo un immediato ripristino dei bonus.


Troppe anomalie nei dati sui decessi per valutare l’efficacia dei vaccini

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 13:00 da La Verità

Raffica di incongruenze nei numeri forniti dal ministero, tra cui il dimezzamento delle morti tra inoculati in soli dieci giorni o la triplicazione da un giorno all’altro. Così qualsiasi analisi seria risulta impossibile.

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Ron fuggito e ripreso, Eitan dormiva sulla sedia: le storie degli ostaggi di Hamas

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 12:30 da Nicola Porro

Emily Hand, di nove anni, dopo essere stata rilasciata da Hamas e aver riabbracciato il padre, la madre l’aveva persa poco tempo prima a causa di un tumore, ha confidato che pensava di essere stata prigioniera di Hamas per un anno. La paura, lo stress e chissà cosa altro ancora, le avevano fatto perdere il senso del tempo. Ha raccontato inoltre che non le era permesso parlare ad alta voce, ha imparato a dire “stai zitta” in arabo, cosa che in quei lunghi giorni le è stata urlata in faccia chissà quante volte.

Il dodicenne Eitan Yahalomi ha raccontato che quando i bambini piangevano i terroristi di Hamas li ha minacciavano con le armi. Per sopravvivere a quelle condizioni hanno dovuto imparare a non esternare le loro emozioni. Paura, fame e bisogni fisici. Eitan ha confermato che erano tenuti in profondità, nei tunnel sotterranei, a volte soli, a volte insieme, che sono stati picchiati con dei bastoni e che avevano solo delle sedie di plastica su cui dormire. Non era permesso loro di lavarsi e per usare il bagno dovevano aspettare ore.

Gli ostaggi liberati sono stati trovati affetti da grave malnutrizione, hanno perso fra i 5 e i 10 chili di peso. In un caso si è registrata una perdita di 20 chili. Veniva loro dato un solo pasto al giorno, riso, a volte pane, a volte niente. Quando erano tenuti insieme, gli uomini davano le loro porzioni agli anziani e ai bambini per tenerli in vita.

Eitan, come già riportato in un altro articolo, ha detto ai suoi genitori che i terroristi lo hanno costretto a guardare un’ora di filmati del massacro del 7 ottobre. Lo stesso filmato che Israele ha mostrato a proiezioni chiuse a giornalisti e politici selezionati, molti dei quali sono scappati in lacrime prima della fine della proiezione. Quando è stato portato a Gaza sul retro di una moto di Hamas, i terroristi lo hanno sequestrato mentre era solo, i civili palestinesi, di tutte le età, che sono usciti in strada lo hanno felicemente picchiato.

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Sempre i civili a Gaza hanno avuto la possibilità di salvare Ron Krivoi uno degli ostaggi con doppio passaporto, russo e israeliano, che era riuscito a scappare dai suoi carcerieri dopo il crollo dell’edificio in cui era tenuto prigioniero a causa di un bombardamento. Ron ha tentato di fuggire dalla Striscia di Gaza riuscendo a rimanere nascosto per quattro giorni di fila, riparandosi durante le ore di luce e vagando di notte alla ricerca di un modo per tornare in Israele. Ma la gente di Gaza che lo ha trovato e fermato lo ha immediatamente riportato ad Hamas. Ron deve sicuramente la vita al passaporto russo che aveva in tasta, altrimenti sarebbe stato ucciso per il suo tentativo di fuga.

Alma Avraham, 84 anni, che sta lottando per la sua vita nella terapia intensiva dell’ospedale Soroka di Beer Sheva, aveva disperatamente bisogno di medicine. La sua famiglia per giorni ha implorato sia la Mezzaluna Rossa che la Croce Rossa Internazionale di portargliele, ma le suppliche dei famigliari sono rimaste inascoltate.

Yaffa Adar, 85 anni sopravvissuta alla Shoah, che è stata tra le prime ad essere rilasciata, ha raccontato di aver implorato gli uomini di Hamas di liberare Alma e altre donne anziane, che erano malate e rischiavano di morire, prima di lei, ma anche in questo caso il sadismo dei terroristi ha avuto la meglio. Prova è che prima della fine del cessate il fuoco Hamas ha rilasciato solo ostaggi che hanno familiari sequestrati.

Solo poco prima di essere liberati è stato permesso loro di lavarsi e gli è stato dato un cambio di vestiti. Gli è stato inoltre ordinato di sorridere e salutare i terroristi mascherati di Hamas per le foto e i filmati di propaganda. Cosa che hanno dovuto fare per non provocare ritorsioni ai danni di chi è ancora in prigionia.

I civili di Gaza però non erano probabilmente stati avvertiti, infatti hanno inseguito con atteggiamenti minacciosi i furgoni della Mezzaluna Rossa che scortavano gli ostaggi fuori da Gaza.

In quelli che dovevano essere filmati di propaganda, si vedono infatti persone di tutte le età che saltano sui veicoli e battono i pugni contro i finestrini al fine di terrorizzare gli ostaggi, in fase di rilascio, in un’ultima mostra di barbara crudeltà.

Michael Sfaradi, 3 dicembre 2023

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Gli scalpellini e il lavoro dello scultore

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 12:00 da The curious task

Guardi una scultura e vedi la mano dell’artista. Raramente ti capita di pensare che il mastodontico lavoro che ci sta dietro, non troppo diversamente che sfornare brioche la mattina, scrivere libri o portare la frutta sulle bancarelle del mercato, non sarebbe possibile senza l’opera di tante altre mani. Lo scultore è visibile, il resto si cela alla vista. Fare scultura Gio' Pomodoro, gli scalpellini e il paesaggio, a cura di Emilio Mazza e Marco Maggioli, è un bel viaggio dentro quel che resta all’ombra dell’artista.

Il cuore del libro sono otto scritti di Pomodoro, originati da occasioni molto diverse (due sono lettere, l’ultimo è la trascrizione di un intervento video, uno è un articolo di giornale che però riflette appunti preparati per un tour di conferenze in Svizzera, ecc). Affrontano un tema specifico ma anche una questione di carattere più generale. Il tema specifico è il rapporto fra lo scultore e gli scalpellini delle Alpi Apuane e della Versilia: e quindi il sottotitolo, gli scalpellini e quel particolare paesaggio che è almeno in parte un esito anche del loro lavoro e della presenza delle cave. Il tema generale è invece il rapporto fra l’artista e figure che l’artista non sono, ma il cui lavoro finisce per entrare nel lavoro dell’artista. E dunque il titolo: che cosa significa “fare scultura”, e soprattutto chi la fa.

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Scrive Emilio Mazza: «Gio’ Pomodoro è uno scultore. Ma non ha soltanto scolpito e disegnato: ha anche scritto e parlato». Mentre è abbastanza scontato che uno scrittore non sappia scolpire, non lo è affatto che uno scultore sappia scrivere. E invece la prosa di Pomodoro è assieme sia chiarissima che brillante. Ai contributi di Pomodoro seguono articoli di Bruto Pomodoro, Marco Meneguzzo, Emilio Mazza, Leonardo Capano, Maurizio Gomez Seito, Michael Jakob ed Elena Dell’Agnese.

Nel saggio di Marco Meneguzzo, si parla della radice sentimentale e di quella intellettuale (o meglio, precisa poi Meneguzzo, ideologica) da cui si dipanano le riflessioni di Pomodoro. L’aggettivo ideologica s’aggancia alla frase che Pomodoro mette a esergo del primo capitolo, il più complesso e strutturato, l’ “Omaggio ai maestri scalpellini di Versilia”. E’ una citazione dall’Origine della famiglia, della proprietà privata e dello Stato di Friedrich Engels: «civilizzazione: periodo nel quale l’uomo impara l’elaborazione di prodotti artificiali, servendosi di prodotti della natura come materia prima, per mezzo dell’industria propriamente detta o dell’arte».

Meneguzzo sostiene fra le righe che il riferimento (non è l’unico) lascia un po’ perplessi, che Pomodoro cita Gramsci ed Engels (che era poi quello che in quegli anni leggevano tutti, in Italia, non solo gli scultori) ma quel che ha in mente si avvicina a una visione non troppo distante da molti di quegli autori che Marx ed Engels avrebbero svillaneggiato come “socialisti utopisti”. Che pensavano che gli artigiani dovessero autoeducarsi, gli operai specializzarsi e che in generale fosse attraverso l’istruzione che gli uomini del popolo potevano venire «emancipati attraverso la propria sapienza».

Forse in alcune pagine di Pomodoro, da cui traspare un po’ di simpatia per il sistema delle gilde e delle corporazioni, ripensate come elementi di tutela del patrimonio di conoscenze in questo caso degli scalpellini ma più in generale dei lavori artigianali, c’è qualcosa che viene da Marx e Engels. Nell’Ideologia tedesca, Marx ed Engels sostengono che nelle gilde la divisione del lavoro non era granché sviluppata, che in esse «ogni lavoratore doveva essere abile in tutto un ciclo di lavoro» e che la rarefazione degli scambi commerciali faceva sì che in quel contesto il lavoratore continuasse a somigliare al lavoratore che lavora per la mera sussistenza e pertanto potesse avere un interesse per il suo lavoro che «poteva elevarsi fino a un certo, limitato, senso artistico». Però, chiosano i nostri due, «ogni artigiano medievale era interamente preso dal suo lavoro, aveva con esso un rapporto di soddisfatto asservimento». Non si può avere tutto. Nel Socialismo dall’utopia alla scienza di Engels, la prima fase della produzione industriale è proprio l’artigianato, «piccoli capi artigiani con pochi garzoni e apprendisti. Ogni operaio elabora il prodotto completamente».

Ma gli scalpellini non “elaborano il prodotto completamente”, come è evidente sia dagli scritti di Pomodoro che da una bella citazione di Cascella che riprende Leonardo Capano nel suo saggio. Non lo fanno anche perché non hanno l’individualità “autoriale” tipica dell’artista. Se lo scalpellino «mangia più pietra» dello scultore, in «un blocco di marmo al centro di uno studio» c’è tanta «fatica collettiva». Una fatica che travalica non solo le singole storie individuali ma un po’ anche i tempi: Pomodoro parla dei «gesti sedimentati degli scalpellini», ritrovandoci una forma di conoscenza di tipo particolare. Un saper fare che viene dall’esperienza, dalla bottega, ma anche dall’aver guardato lavorare tuo padre e tuo nonno e aver colto sicuramente la loro fatica e sudore, ma anche il senso del colpo di scalpello, per citare il titolo del saggio di Capano, ben prima di aver imparato a ricomporne un senso con le parole.

E’ forse proprio per questo che Pomodoro riconduce, come ricorda Emilio Mazza, il suo rapporto con gli scalpellini a tre “tipi”. Lo scalpellino è costruttore, è il guardiano dalla materia, quello che sa fare cose che non necessariamente l’artista sa fare. Per questo è altro da sé di Pomodoro, è un «compagno di lavoro». Ma è anche giudice-critico («conosce intimamente l’opera»… ovvero «la lingua che ha contribuito a formare»). Il riferimento alla lingua è interessante e ripetuto: lo scalpellino conosce «molti linguaggi», nei quali riesce a “tradurre” anche quello dello scultore. E le lingue non si conoscono quando uno ha in casa la grammatica spagnola o inglese e la prende in mano per leggerla tutte le sere prima di andare a dormire. Le conoscenze degli scalpellini sono così intimamente loro che fanno sì che non siano solo “utili” all’artista per fare questa o quella cosa, ma che entrino in dialogo con lui, che abbiano la capacità di giudicare e magari correggere quel che fa, essendo quanto di più diverso da lui e perciò necessariamente relegati nella sua ombra.

Nel suo testo, Capano mette assieme Topolino Scalpellino da Settignano, che seleziona blocchi di marmo per Michelangelo ma poi da questi viene deriso quando anziché fare il suo gioca non allo scalpellino ma allo scultore, e Topolino Canova, figlio di scalpellino nella storia come nel fumetto e nell’uno come nell’altro caso poi artefice di capolavori.

La storia tende a essere storia degli uomini illustri e la storia degli artefatti tende a presupporre il completo controllo della “cosa” creata da parte del creatore. Il che funziona benissimo per un fumetto ma dispiace a Pomodoro, per cui la scultura è come un film di cui i titoli di coda dovrebbero scorrere per minuti e minuti, anziché ridursi a una sintesi brutale tipo: l’ultimo film di Martin Scorsese. Ma che vada così, è abbastanza inevitabile. Forse potremmo dire che scultore si dice più facilmente al singolare, scalpellino meno: anche perché da una parte prevale il senso della creatività, della creazione, del nuovo, dall’altra c’è una «inestricabile foresta di azioni e di gesti ammucchiati giorno dopo giorno» (questo è ancora Pomodoro).

Anche chi come il sottoscritto non ha mai pensato granché alle sculture, leggendo questo libro si trova a pensare come neanche l’opera d’arte, quella cosa che più di tutte dovrebbe essere figlia del genio solitario, è disgiungibile da fitte trame di cooperazione. Ignote a chiunque non ci lavori e proprio per questo così sovente trascurate e dimenticate, talvolta forse strumentalizzate.

Fare scultura. Gio' Pomodoro, gli scalpellini e il paesaggio, a cura di Marco Maggioli e Emilio Mazza, Milano, ExCogita, 2023, pp. 188

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Il sermone verde del Papa: meno democrazia e rieducazione ecologista

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 12:00 da La Verità



Bergoglio, assente alla Cop 28, affida il suo messaggio al Segretario di Stato Parolin. Rilanciando le tesi radicali della «Laudate Deum» e accusando i «nazionalismi».

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eToro: broker di investimento

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 11:00 da The Crypto Gateway

Alla scoperta di uno dei principali broker

In questo approfondimento conosceremo a fondo uno dei più grandi broker in circolazione: eToro.

Sulla scena da molti anni, questa società offre svariati prodotti per investire e fare trading, con un occhio alla semplicità d’uso.

Nata come piattaforma specializzata nella compravendita di valute, poi affiancate da strumenti finanziari tradizionali come azioni ed ETF, oggi eToro propone anche asset come materie prime e criptovalute. Non potevamo quindi non conoscerla meglio, valutandone sia i punti di forza che i contro.

Come sempre, inizieremo dalle basi concentandoci su che cos’è e a cosa serve eToro, esplorandone brevemente anche storia e figure chiave.

Sposteremo poi l’attenzione sulla sicurezza, aspetto che dovremmo mettere sempre al primo posto quando si tratta del nostro denaro.

Dopo una panoramica su prodotti e asset disponibili, ci dedicheremo anche alle tematiche fiscali.

Infine, elencheremo quelli che a nostro avviso sono pro e contro dell’utilizzo della piattaforma.

Iniziamo questo viaggio alla scoperta di eToro!

Indice

eToro: che cos'è e a cosa serve

eToro è un broker che permette di investire pressoché a chiunque su un ampio ventaglio di asset tra cui azioni, ETF e criptovalute. Il piatto forte della piattaforma è però quello dei CFD, strumenti molto complessi e rischiosi su cui torneremo a breve.

La realtà di eToro fa parecchio leva sugli elementi social. Non è un caso se proprio qui è presente un’ampia community che fa del social trading la propria filosofia di investimento. Per chi non lo sapesse, questa tipologia di operatività consiste nel copiare le azioni di altri investitori, le cui performance sono consultabili e visibili da tutti. Se da un punto di vista è una pratica interessante per i meno esperti, consideriamo il rovescio della medaglia:

  • Copiare l’operatività altrui non ci consente di fare esperienza, sbagliare e migliorare. Il controllo è nelle mani di qualcun altro;
  • Le strategie di una persona potrebbero non adattarsi a quelle di un’altra. Aspetti come la tolleranza al rischio, gli obiettivi, lo stato finanziario e molto altro ancora non vengono considerati;
  • Anche gli altri possono sbagliare: avere un tracking di prestazioni positive non garantisce che sarà così anche in futuro. Copiando una persona non siamo al riparo dalle perdite.

eToro serve quindi a investire il proprio denaro su vari asset, nella misura in cui si desidera e a commissioni nulle o ridotte. Su questo punto torneremo nel paragrafo dedicato, così da mettere sul tavolo tutti i costi.

Lo diciamo da subito: l’azienda è totalmente legittima e chi sostiene che è una truffa si sbaglia. eToro opera a livello mondiale e dispone di svariate certificazioni e regolamentazioni, perciò su questo punto possiamo dormire sonni tranquilli.

Più preoccupanti invece alcuni prodotti offerti, come i già menzionati CFD.

I Contract For Difference sono strumenti complessi facenti parte della categoria dei derivati. Riprendendo la spiegazione fornita dal sito di Borsa Italiana, si tratta di un contratto tra due parti, dove l’acquirente paga un interesse e riceve il rendimento di un’attività finanziaria sottostante. Chi invece vende il contratto si intasca l’interesse, impegnandosi però a pagare il rendimento prodotto dal sottostante.
Si opera a margine, non versando quindi il valore totale del contratto, ma solo una piccola percentuale. Ad aggiungere complessità ci sono poi le leve, una caratteristica dello strumento di cui stiamo parlando.

Il problema però non è della piattaforma, quanto della tipologia di investitore che si approccia a questi strumenti complessi, facendosi ingolosire dalle opportunità di guadagno della leva e ignorando i rischi. Come sempre, non ci stancheremo mai di ripeterlo: occorrono le giuste conoscenze per evitare di fare un passo troppo lungo.

Proseguiamo con un po’ di storia della società.

eToro: che cos'è e a cosa serve

La storia di eToro

La società nasce in Israele nel gennaio 2007. Artefici del progetto tre imprenditori: David Ring e i fratelli Assia, Ronen e Yoni; quest’ultimo è CEO sin da quell’anno.

Inizialmente eToro si chiamava RetailFX ed era concentrata sullo scambio di valute.

Già a settembre 2007 esordì la piattaforma di trading online, più semplice di tante altre realtà in circolazione a quel tempo. Un merito di eToro è proprio questo: aver avvicinato milioni di persone al mondo degli investimenti grazie alla facilità d’uso.

Il tempo ha portato svariati aggiornamenti e all’aggiunta di nuovi asset e prodotti. Notevole l’arrivo di OpenBook, la prima piattaforma di social investing al mondo. Questo avvenimento segnò profondamente il mondo fintech, tant’è che oggi sono svariate le realtà che offrono un servizio di questo tipo. Anche nel settore crypto, gli esempi non mancano; come Bitget, che ha sempre dato molto risalto alle funzionalità social proposte.

Nel 2012 fu la volta dell’applicazione mobile di eToro. Tuttavia, massima attenzione a investire mediante smartphone: ok la comodità, ma per consultare informazioni, fare confronti e svolgere una buona analisi tecnica, l’ideale è mettersi davanti al computer nella massima tranquillità e con uno schermo sufficientemente grande. O almeno, questo è un punto di vista di chi scrive.

Il 2017 fu l’anno delle criptovalute, uno dei cavalli di battaglia della piattaforma.

Oggi eToro conta più di 30 milioni di utenti (di cui però solo una parte è attiva, sottolineamolo) ed è presente in svariate parti del mondo, tra cui Europa e Stati Uniti d’America.

Dopo questa rapida panoramica su alcune delle tappe principali percorse dalla società, possiamo entrare più nel dettaglio. Lo faremo iniziando da ciò che ci sta più a cuore: la sicurezza.

Quanto è sicuro eToro?

Potrebbe offrirci un’enorme varietà, commissioni zero e tanti altri vantaggi, ma non sceglieremmo mai un broker se non fosse in grado di garantire degli elevati standard di sicurezza.

Con sicurezza intendiamo due aspetti distinti:

  • L’affidabilità della piattaforma stessa, nonché la sua compliance con le normative vigenti;
  • La detenzione dei fondi, sia lato attacchi esterni sia nel caso in cui la piattaforma dovesse fallire o avere problemi finanziari.

Come diversi broker che operano in Europa, eToro ha una sede a Cipro e, di conseguenza, sottostà alle leggi di questo Paese. La divisione europea della società dispone di regolare autorizzazione a operare sotto la sorveglianza della CySEC (Cyprus Securities and Exchange Commission), l’equivalente cipriota della SEC americana. La normativa applicata è la MiFID 2 e garantisce elevati standard di trasparenza e tutela.

Inoltre, essendo un broker iscritto in uno Stato dell’Unione Europea, è inserito anche nell’albo della nostrana Consob, come mostra l’immagine che segue.

consob etoro

Ok, abbiamo capito che eToro è un broker perfettamente legittimo. Ma che dire del secondo punto, ovvero la sicurezza dei fondi?

Innanzitutto, i capitali dei clienti sono mantenuti separati da quelli della società. Perciò, anche in caso di problemi, ciò che è degli utenti resta tale.

Esistono poi altre protezioni come l’ICS (fino a 20.000 euro a persona) e un’assicurazione gratuita con massimale di 1 milione di euro per ciascun cliente.

Vediamo poi il lato cybersicurezza.

Secondo la documentazione ufficiale, i fondi sono tutti depositati in banche di primo livello, con le informazioni crittografate mediante la tecnologia SSL.

L’account personale di ciascun utente può essere protetto grazie alla 2FA (autenticazione a due fattori), che raccomandiamo di attivare su qualsiasi broker, exchange o piattaforma di finanza centralizzata.

Per completezza, ecco il link alla guida sulla sicurezza di eToro.

"Lato sicurezza fondi e utenti, nulla da dire: eToro è in regola"

Quanto costa iniziare con eToro?

Al momento della scrittura, il deposito minimo iniziale di eToro è di 50 dollari.

Ogni deposito successivo al primo dovrà essere di minimo 50 dollari, che salgono a 500 nel caso in cui si volesse utilizzare il bonifico bancario.

Queste cifre si riferiscono ai conti personali. Per le soluzioni aziendali, l’importo minimo iniziale per l’Italia è di 25.000 $.

"Iniziare con eToro richiede un deposito minimo di 50 dollari"

I prodotti offerti dalla piattaforma

È arrivato il momento di fare una panoramica su prodotti e asset offerti dalla piattaforma.

Partiamo con le azioni. Su eToro possiamo trovare una scelta abbastanza ricca, che comprende soprattutto realtà provenienti dalle borse americane. Se confrontata con quella di alcuni altri broker, la proposta è comunque più ridotta e non consente di operare su titoli meno conosciuti o in rampa di lancio.

Nota positiva: le azioni possono essere acquistate anche a frazioni, il che avvicina qualsiasi persona agli investimenti anche su titoli dal prezzo unitario elevato. La transazione minima è di 10 dollari e, ove previsto, si ricevono i dividendi.

azioni eToro

Esistono poi 421 ETF (al momento della scrittura), tra cui spiccano quelli di grandi compagnie di investimento come Vanguard, iShares, Invesco e VanEck. Vi è però un problema: molti di questi ETF non sono armonizzati, il che significa una maggiore tassazione.

Prima di investire su un Exchange Traded Fund, non solo mediante questo broker, assicuriamoci che sia armonizzato svolgendo una ricerca sullo specifico prodotto. La sigla UCITS nel nome dell’ETF deve essere assolutamente presente.

In ogni caso, se sei alla ricerca di un broker per investire principalmente in ETF, probabilmente eToro non è la miglior soluzione in circolazione.

Presenti poi materie prime, valute e indici a completare un’offerta completa dal punto di vista delle tipologie di asset.

E le criptovalute? Ci arriviamo subito. eToro propone 85 coin e token da acquistare e vendere. Presenti tutte le giganti del mercato tra cui bitcoin, Ethereum, Ripple, Chainlink e BNB. Spazio anche ad alcune memecoin, tra cui DOGE e Shiba Inu. Completano l’offerta altre crypto di vario genere: da SAND e MANA per il metaverso a MKR e AAVE a rappresentare il mondo DeFi.

cripto etoro

Alcune criptovalute possono essere trasferite da eToro ad altri wallet di nostra proprietà. Per fare ciò si deve possedere anche l’app eToro Money, il portafoglio elettronico creato dal broker. In questo articolo vengono illustrati i passaggi per trasferire le proprie criptovalute.

Spazio anche agli NFT. Grazie a Delta, app sviluppata da eToro, potremo esplorare il panorama dei Non-Fungible Token e, volendo, connettere anche il nostro wallet web3.

eToro è una buona scelta per avere accesso a svariati prodotti e asset, così da poter investire mediante un unico conto. Però, se intendiamo operare su una specifica categoria e basta (solo azioni, solo crypto e via dicendo), è meglio rivolgersi a un servizio più specifico e dall’offerta più ampia.

"Una buona selezione di asset di differenti tipologie"

Depositi, prelievi e commissioni

Quali sono le commissioni di eToro? Eccoci a un argomento da conoscere prima di investire. Vediamole asset per asset.

Le azioni hanno commissioni zero su ticket, rollover e gestione. Viene invece applicato lo spread bid/ask di mercato.

etoro commissioni azioni

Le criptovalute implicano una commissione di acquisto e vendita dell’1%, a cui si aggiunge lo spread.

I CFD hanno una struttura più complessa, consultabile alla pagina delle commissioni di eToro.

Diamo un’occhiata agli altri costi.

Il deposito è gratuito, salvo le spese che potrebbero essere applicate dalla nostra banca o dal metodo di pagamento utilizzato. Ricordiamoci degli importi minimi di 50$ con carta e 500$ mediante bonifico.

Quanto costa prelevare da eToro? A ogni prelievo da eToro, che deve essere di almeno 30 dollari, viene applicata una commissione fissa di 5$, a prescindere dall’importo. Se si è membri dei club Platinum, Platinum+ e Diamond, questa spesa non viene applicata.

Trattandosi di un conto che opera esclusivamente mediante i dollari, dovremo tenere conto del cambio EUR/USD. Ciascuna operazione di deposito o prelievo implica una conversione e relative commissioni. Queste si attestano a 150 PIP (1 PIP è uguale a 0,0001 per la coppia EUR/USD).

Qui si nasconde un’altra insidia: l’esposizione al dollaro. Convertendo gli euro nella valuta americana, di fatto ci posizioneremo su di essa. Se il cambio si evolvesse in modo favorevole al dollaro, nessun problema, anzi, ci guadagneremmo. Ma se dovesse esserci un indebolimento, andando a prelevare i capitali depositati otterremo meno euro, sostenendo una perdita.

commissioni etoro

Continuando, non piacevole la commissione di inattività. Dopo 12 mesi di assenza totale dall’account, vengono scalati 10$ al mese fino a esaurimento del residuo disponibile. Per evitare questa spesa è sufficiente effettuare almeno un login in 12 mesi. Questa tassa spinge a operare, il che non crea un meccanismo psicologicamente sano per gli investitori privi di sufficiente esperienza. Prestare quindi la massima attenzione e non farsi condizionare.

Infine, dal 6 novembre 2023, per i titoli quotati nel Regno Unito viene applicata un’imposta di riserva della tassa di bollo dello 0,5%.

Conclusa la panoramica delle commissioni eToro, chiudiamo il cerchio parlando anche delle tasse.

Come si pagano le tasse su eToro?

Qui abbiamo una brutta notizia: avendo sede all’estero, dovremo cavarcela da soli per quanto riguarda la dichiarazione e gestione degli aspetti fiscali.

Chi opera già con exchange e CeFi crypto, salvo che con realtà italiane, dovrebbe però essere abituato/a. Perciò, utilizzando eToro dovremo compilare manualmente un documento (come un foglio di calcolo) che tenga traccia dei nostri movimenti, delle plusvalenze e minusvalenze e di ciò che alla fine dovremo eventualmente pagare.

Nel dubbio, non esitiamo a rivolgerci a un commercialista, in modo tale da muovere sin dall’inizio i passi corretti per evitare qualsiasi problema. Con il fisco non si scherza.

Se vuoi saperne di più sulle norme italiane sul tema fiscalità e criptovalute, ecco il nostro articolo sulla tassazione crypto nel nostro Paese.

Pro e contro

Vediamo pro e contro della piattaforma, riassumendo quanto visto finora.

Pro

  • Facilità d’uso, dalla creazione dell’account (che richiede una procedura KYC) all’operatività;
  • Possibilità di operare da smartphone (che comunque sconsigliamo salvo che per consultazione e le operazioni ordinarie);
  • Commissioni per le azioni pari a zero;
  • Una buona scelta di strumenti e asset;
  • Social trading (per certi versi un contro, ma da altri punti di vista un pro);
  • La piattaforma avvicina chiunque al mondo degli investimenti e propone anche le azioni frazionarie;
  • Rispetta le normative europee;
  • Conto demo;

Contro

  • Esposizione al dollaro americano;
  • Costi di conversione valuta non da sottovalutare;
  • Esistono alternative che propongono una scelta più ampia di specifici classi di asset;
  • Social trading (i più pigri potrebbero utilizzarlo senza riflettere né imparare);
  • La piattaforma avvicina chiunque al mondo degli investimenti (un pro, ma anche un contro quando si parla di principianti assoluti);
  • eToro tende a spingere all’operatività, il che è un problema se non si ha perfetta padronanza delle proprie emozioni;
  • I CFD sono rischiosi, ma qui diventano alla portata di tutti.

Pro e contro vanno valutati attentamente, per poi decidere se questo broker può fare al caso nostro. Possiamo anche limitarci a operare con il conto demo, “giocare” con la piattaforma e in seguito scegliere più consapevolmente.

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Puoi iscriverti a eToro tramite questo link: è gratis!

Alla domanda “eToro è una truffa?” abbiamo già risposto in precedenza, ma lo ripetiamo: no, è una società perfettamente legale e in regola, dotata di vantaggi e svantaggi per il consumatore.

Quanto si guadagna con eToro?

Ecco, ci tenevamo a chiudere rispondendo a una delle domande più ricercate in assoluto.

Utilizzando eToro, così come qualsiasi altro broker o exchange, non c’è alcuna certezza di guadagno. La società si limita a fornire degli strumenti per investire su determinati asset, ma nulla di più. Sarà poi l’utente a dover svolgere i suoi studi, stabilire degli obiettivi e agire di conseguenza.

Qualsiasi investimento porta dei rischi che possono essere più o meno grandi. Nulla è garantito e partire con l’idea di quanto si potrebbe guadagnare non è davvero l’ideale.

Concentriamoci sul percorso, accumuliamo esperienza, muoviamoci con prudenza e, nel tempo, otterremo certamente dei risultati soddisfacenti. Se lo vorremo, eToro sarà uno dei mezzi mediante cui muoversi.

"Non c'è alcuna certezza di guadagno, ricordiamolo sempre"

Considerazioni finali

eToro è nel complesso una buona piattaforma per investire con semplicità, a patto che se ne conoscano bene costi e rischi associati (esposizione al dollaro in primis).

Se il tuo obiettivo è investire nelle sole crypto, ti consigliamo altre vie come ByBit, Binance o Coinbase. Se però stai cercando un servizio a 360°, magari da unire ad altre piattaforme più specifiche, potresti aver trovato quello che stavi cercando.

Iscriviti qui a eToro: è gratis. Segui le facili istruzioni ufficiali per aprire l’account.

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«Triplicare il nucleare entro il 2050»

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 10:00 da La Verità



Dichiarazione congiunta di 20 Paesi guidati dagli Usa. John Kerry: «Senza l’energia atomica impossibile azzerare le emissioni». Il premier italiano Giorgia Meloni: «La grande sfida è la fusione».

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Chip: US Commerce vuole più fondi per bloccare la Cina

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 10:23 da TradingOnline.com

Pubblicato il

Gina Raimondo, a capo dell’agenzia federale che si occupa di commercio, anche internazionale, lancia un allarme importante e che si inserisce nell’ormai lunga guerra dei chip tra Cina e Stati Uniti. Il parere del governo degli Stati Uniti è che infatti Pechino non dovrà avere accesso a certe tecnologie, c’è in ballo la sicurezza nazionale, e che serviranno maggiori controlli agli export. Maggiori controlli che necessiteranno, questo è l’altro messaggio, di più fondi per essere implementati.

A chi guarda però esclusivamente ai mercati, la notizia che interessa è che le grandi aziende che producono chip, tra le quali NVIDIA, difficilmente torneranno a servire almeno con i prodotti top gamma lo sconfinato mercato dei nemici e dei quasi nemici degli Stati Uniti. Una situazione forse non incresciosa, ma comunque non positiva e con la quale dovremo necessariamente fare i conti per i prossimi mesi e i prossimi anni, a prescindere da chi vincerà la prossima corsa per la Casa Bianca, prevista per il 2024.

È una guerra, per quanto “fredda”

Servono soldi per controllare di più i chip

Il commercio di chip, in particolare quelli ad alte prestazioni, è sempre più politico. Se ne sarà accorto anche chi ha passato gli ultimi mesi sulla luna e – per i pochi che non se ne sono ancora accorti – torna sul tema anche Gina Raimondo, che governa quello che può e non può avvenire negli USA in termini di commercio. La segretaria di US Commerce ha ribadito, in modo perentorio, che non è possibile anche soltanto pensare che la Cina metta le mani su certe tipologie di chip, quelli maggiormente utilizzati per la moda del momento – l’intelligenza artificiale. E che per evitare che questo commercio avvenga, ha bisogno di più fondi.

Raimondo si è anche lamentata del budget striminzito con il quale deve far fronte a queste problematiche. Ha 200 milioni di budget, dice, che è il costo di qualche caccia. E il riferimento agli aerei da combattimento appare come tutto fuorché casuale: quella che si sta combattendo è una guerra, per quanto commerciale, che almeno secondo gli intendimenti di Washington servirà ad evitare una guerra (vera) in futuro.

E Raimondo ha anche inviato un messaggio altrettanto interessante a qualche CEO seduto tra il pubblico: ha riconosciuto la perdita di ricavi dovuta alle sue decisioni (che sono poi le decisioni del governo USA), ma ha sottolineato che così va la vita e che i ricavi di breve periodo non sono più importanti della sicurezza nazionale degli Stati Uniti d’America.

Anche offrire chip “depotenziati” non funzionerà

Un messaggio a NVIDIA

È chiaro per tutti che il messaggio sia anche e soprattutto per NVIDIA, che ha progettato una serie di chip a potenza ridotta per il mercato cinese, proprio per aggirare quelle che sono le limitazioni che gli USA hanno inserito nei loro codici commerciali già da ottobre 2022.

Ridisegnare i chip, ha detto Raimondo, che consentono comunque di operare infrastrutture per l’intelligenza artificiale, significa controllo automatico da parte di US Commerce, ha ribadito Raimondo. E per quanto, ha continuato, i dialoghi tra Cina e USA possano essere distensivi su certe questioni, non potranno mai far ignorare le incombenze di Washington legate alla sicurezza nazionale.

Il linguaggio è quello che in genere sentiamo da chi si occupa di difesa. L’altro punto interessante è che difficilmente, anche in caso di avvicendamento alla Casa Bianca, ci saranno cambiamenti in questa politica. Anche perché la minaccia cinese è avvertita con maggiore pressione forse sul lato Repubblicano, per quanto siano piuttosto omogenei gli intendimenti lungo tutto l’arco congressuale degli USA.

La Cina potrebbe fare da sé? Difficile. Anche i recenti chip di Huawei non potranno essere i chip dell’autarchia per la Repubblica Popolare Cinese. La stretta, vale la pena di ricordarlo, non riguarda soltanto la Cina: anche i sauditi hanno dovuto abbandonare investimenti in chip per l’AI proprio su consiglio delle autorità USA.


“Allah akbar”, il video per l’Isis: chi è Armand, l’attentatore di Parigi

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 08:56 da Nicola Porro

Un attacco terroristico con coltello ha avuto luogo sabato sera a Parigi, causando la morte di una persona e il ferimento di altre due. Il sospetto, Armand R., un uomo di 26 anni di nascita francese da genitori iraniani, è conosciuto dai servizi di intelligence per i suoi legami con l’islam radicale e per i suoi problemi psicologici. Durante l’attacco, avvenuto tra il quai de Grenelle e Bir Hakeim, nel 15esimo arrondissement, l’aggressore avrebbe gridato “Allah Akbar”.

Il Ministero dell’Interno ha confermato che le comunicazioni e i documenti di identità del sospetto non lasciano dubbi sulla sua identità. Parlando con i giornalisti sul posto, il Ministro Gérald Darmanin ha rivelato che Armand R. “era seguito dalla DGSI come persona con problemi psichiatrici molto importanti”. L’individuo era infatti sotto trattamento psichiatrico e neurologico.

Secondo una fonte di sicurezza citata dal Figaro, l’aggressore sembrava aver “abbandonato la religione” dopo essere stato rilasciato, ma le sue influenzabili e instabili caratteristiche personali avevano di nuovo suscitato preoccupazioni dagli inizi dell’anno. Nonostante fosse noto alle autorità per i suoi legami con l’islam radicale, sembrava aver preso le distanze dalla religione dopo il suo rilascio, come ha affermato la stessa fonte all’AFP.

Dans sa vidéo d’allégeance de 1:59 il dit « on n’a pas oublié » mais aucune mention de la Palestine ou de Gaza. Armand Rajabpour-Miyandoab, français d’origine iranienne, a déjà été condamné à 5 ans de prison à l’âge de 19 ans pour un projet d’attentat en 2016. Peine purgée. https://t.co/8aamThBhCG pic.twitter.com/u3XB5zagW9

— Wassim Nasr (@SimNasr) December 2, 2023

Secondo Darmanin, al momento dell’arresto, Armand R. aveva dichiarato di non tollerare la morte di musulmani in Afghanistan e in Palestina e aveva accusato la Francia di essere complice di Israele.

Secondo quanto riportato da un giornalista di France 24 specializzato in terrorismo, Wassim Nasr, l’aggressore avrebbe girato un video di rivendicazione di due minuti prima di compiere l’attacco. Nel video, dichiara di essere “un sostenitore del califfato dello Stato islamico”, giurando “fedeltà al califfo Abou Hafs” e affermando di agire per “vendicare i musulmani”.

Armand R. è stato già in passato oggetto di un’indagine e nel 2016, è stato condannato a quattro anni di carcere per aver pianificato un attacco terroristico a La Défense. L’individuo vive con i suoi genitori a Essonne ed è “seguito dalla DGSI come persona con enormi problemi psichiatrici”, secondo il Ministro Darmanin.


Bitcoin: c’è una società del NASDAQ a +1,6 miliardi di dollari

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 08:32 da Criptovaluta.it

Home / Bitcoin: c’è una società del NASDAQ a +1,6 miliardi di dollari

LA SCOMMESSA SAYLOR

Una scommessa incredibile: sarà la migliore o la peggiore di sempre. E riguarda Bitcoin.

Gianluca Grossi 03/12/23 8:32 News

Le alternative sono due, entrambe assai estreme. Michael Saylor passerà alla storia come il più grande genio finanziario di sempre, o come un giocatore d’azzardo che, come tutti i gambler, sarà finito in miseria. Un investimento miliardario, fatto di impegni diretti, debiti per l’acquisto di $BTC e un’ossessione alla capitano Achab.

Questa è la storia, anche se in verità sono più conti della serva, dell’incredibile serie di acquisti di Bitcoin da parte di Microstrategy, per un investimento che a oggi, con Bitcoin che si trova ancora poco sopra la metà del suo massimo storico, ha già fruttato a Saylor 1,6 miliardi di dollari di guadagni, per quanto non realizzati.


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Michael Saylor è in profitto per 1,6 miliardi di dollari

Sì, è un profitto non ancora realizzato, perché Michael Saylor non sembrerebbe avere alcuna intenzione di vendere l’enorme tesoro in Bitcoin che la sua azienda ha accumulato.

Saylor Tracker
Michael Saylor tracker – la linea tratteggiata in verde è il costo medio, nel tempo

Quanti sono? Tanti. 174.530 Bitcoin che Saylor ha iniziato a accumulare poco prima della precedente bull run, ovvero il 17 settembre 2020, attraversando così sia l’importante ciclo rialzista che ha portato Bitcoin a ridosso dei 70.000$, sia la fase discendente post FTX che ha visto Bitcoin rimanere di poco sopra i 15.000$. Nel giro di poco più di 3 anni, Saylor ha vissuto entrambe le facce della medaglia Bitcoin, un asset ritenuto da molti un grande strumento di risparmio, a patto che lo si detenga per un tempo sufficientemente lungo.

Ad oggi la spesa totale di Michael Saylor ammonta a 5,28 miliardi di dollari per acquistare Bitcoin, a fronte di un valore complessivo di quasi 6,9 miliardi di dollari dei Bitcoin che ha in cassa. Questo al netto delle commissioni di acquisto.

Qual è il miglior asset crypto? Bitcoin è il miglior asset crypto. Non c’è un secondo classificato. C’è un crypto asset: si chiama Bitcoin. Prendi tutto il tuo denaro, compra Bitcoin. Poi passa tutto il tuo tempo a capire come prendere più denaro a prestito e comprare più Bitcoin. Poi spendi il tuo tempo per capire cosa puoi vendere per comprare più Bitcoin. E anche se [quello che potresti vendere] ti piace molto e non vuoi venderlo, ipoteca la tua casa e compraci Bitcoin. E se hai un’attività che ami, perché la tua famiglia ci lavora, perché è della tua famiglia da 37 anni, e non ce la faresti proprio a venderla, ipotecalo, ottieni finanziamenti e converti quanto avrai ottenuto nella più solida valuta sul pianeta terra, che è Bitcoin.

Il video, qui in versione leggermente ritoccata per aggiungere enfasi a un messaggio già di suo certamente forte, è il sunto di quello che Saylor crede, almeno fino a oggi. E un testamento del fatto che forse quei profitti non li vedremo mai realizzati, proprio perché l’endgame, come dicono quelli bravi, di Saylor è proprio… Bitcoin.

Ci sono due tipi di persone in grado di fare scommesse del genere

E sono i grandi visionari e i giocatori d’azzardo. I primi contribuiscono al cambiamento del mondo, i secondi alla distruzione delle proprie finanze.

Quando Bitcoin viaggiava, in realtà in modo assai poco pericoloso per MicroStrategy, poco sopra i 16.000$, erano in pochi a considerare Saylor come membro del primo gruppo. Oggi che si gioca i 40.000$ anche tra i più scettici c’è chi riconsidera la possibilità che Saylor sia forse invece più idoneo per la prima categoria.


Mai dire Blackout | La COP28 e i guai dell'OPEC

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 08:00 da La Verità



Si apre a Dubai la conferenza sul clima, mentre l’OPEC+ sforbicia la produzione per il 2024. Le Figaro sulle elezioni olandesi bacchetta Bruxelles, mentre Elon Musk in Svezia è alle prese con i sindacati. Referendum in Venezuela.


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Mediterranea parla di bugie ma non dice quali

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 06:59 da La Verità



L’Organizzazione di Luca Casarini minaccia azioni legali dopo i nostri scoop senza inviare rettifiche per chiarire la sua posizione. Anzi, evoca oscuri complotti laddove si tratta di semplici atti d’inchiesta. Chi non ha nulla da temere non scappa e non querela.

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Viviamo dentro a un mondo fondato sulla propaganda

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 07:00 da Miglioverde

di MICHAEL HURD

La cosa peggiore della propaganda non è raccontare bugie. Le bugie possono essere smentite da qualsiasi persona onesta e attenta.

La cosa peggiore della propaganda è la forma in cui solitamente si manifesta: presentare solo i fatti che servono alla narrazione o che portano alla conclusione desiderata. I bambini sono i più vulnerabili alla propaganda, così come lo sono gli adulti, che sono stati cresciuti intellettualmente da bambini, senza un pensiero critico e obiettivo che li guidasse.

Le mezze verità, più che le bugie, sono la caratteristica distintiva della propaganda. Che sia attuata da un coniuge, un capo o un membro della famiglia corrotto; o da un intero governo, sistema scolastico o impero mediatico. Stiamo affogando nella propaganda, secondo questa definizione.

La società ne è intrisa e ne straborda. I bambini ne sono totalmente immersi, grazie ai media compiacenti e al sistema educativo gestito dal governo – beh, lo testimoniano i risultati nelle orde di ragazzi sotto i 30 anni che sciamano non solo per difendere, ma per abbracciare, i terroristi più cattivi e sadici (Hamas) che il mondo possa vedere oggi. Solo i giovani più incredibilmente intelligenti o incredibilmente dignitosi sopravviveranno all’assalto intellettuale e psicologico.

Ciò che non viene loro detto è più dannoso di ciò che viene loro insegnato. Le buone notizie?

La verità è più forte della menzogna. I fatti prevarranno sempre, prima o poi. Ma raramente, se non mai, il mondo è stato così intriso di autoinganno e di falsità da parte degli altri come vediamo oggi.

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Il cortocircuito degli attivisti Lgbtq pro-Hamas

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 05:59 da Nicola Porro

Nel film del 1979 La patata bollente, Renato Pozzetto interpreta il classico operaio comunista di quegli anni, fedele al sindacato e ammiratore acritico dell’Unione Sovietica. Ma uno degli aspetti più importanti del film, era che lui incarnava anche un altro aspetto della vecchia sinistra, che oggi risulterebbe indigesto a quella attuale: incontrando un giovane omosessuale, lui e i suoi compagni del sindacato rivelavano una forte ostilità verso i gay, incompatibili con l’immagine dell’operaio virile e amante delle donne.

Vecchia sinistra anti-gay

Questo è solo un esempio del fatto che la sinistra storica in realtà era fortemente ostile agli omosessuali: a Cuba, Che Guevara rieducava a forza gli omosessuali in veri e propri campi di concentramento; in Cina, Mao Tse-Tung mise al bando l’omosessualità creando anch’egli dei campi di lavoro forzato, e in alcuni casi applicando persino la pena di morte; e in Unione Sovietica, dal 1934, i gay potevano essere mandati nei gulag perché, come disse il commissario del popolo per la giustizia Nikolaj Krylenko, “l’omosessualità è il prodotto di decadenza delle classi sfruttatrici”.

Nonostante ciò, nel corso dei decenni molti attivisti Lgbtq hanno espresso la loro preferenza verso le sinistre più radicali, arrivando persino, nel caso del conflitto israelo-palestinese, ad osteggiare Israele e a fare il tifo per Hamas.

Basti pensare a quando Michela Murgia dichiarò testualmente di pensarla come Hamas sul conflitto, o al fatto che il fumettista trans Fumettibrutti (nome d’arte di Jole Signorelli) si è unita al boicottaggio di Lucca Comics & Games, iniziato da Zerocalcare, a causa del patrocinio dell’ambasciata israeliana. O al fatto che in molte manifestazioni contro Israele appaiano slogan come Queers for Palestine.

Il cortocircuito dell’intersezionalità

Queste prese di posizione affondano le loro radici in teorie come quella dell’intersezionalità: in pratica, è la concezione secondo cui tutte le categorie viste come oppresse (gay, neri, arabi, latini, ecc.) devono coalizzarsi in nome di una lotta comune, perché legati da esperienze di discriminazione simili. Una teoria assai diffusa negli atenei occidentali, che partendo dagli Stati Uniti ha fatto molto proselitismo nelle sinistre occidentali, soprattutto tra i giovani.

Il risultato è che in molti prendono posizione senza rendersi conto di quello che fanno: attivisti Lgbtq che appoggiano un regime omofobo che uccide gli omosessuali; femministe che difendono fanatici e misogini; ambientalisti che difendono chi, in anni recenti, ha bruciato numerosi ettari di terra in Israele con palloni incendiari, uccidendo molti animali selvatici.

Ciò ha portato a diversi attacchi contro i gruppi Lgbtq ebraici, spesso espulsi o emarginati dai Pride. E questo nonostante Israele sia il Paese più gay-friendly in Medio Oriente, o che dia rifugio ai gay palestinesi che scappano dai Territori. Tra l’altro, la più celebre cantante trans israeliana, Dana International, è stata tra i pochissimi trans a prendere le difese di J. K. Rowling quando è stata ingiustamente accusata di odiarli.

Poche eccezioni

In tale contesto, non mancano tuttavia coloro che coraggiosamente si distinguono per le loro posizioni ragionevoli e fuori dal coro: come Angelo Pezzana, storico attivista del Partito Radicale e co-fondatore negli anni ’70 del Fuori!, il primo movimento italiano per i diritti degli omosessuali. Pezzana ha più volte difeso le ragioni d’Israele e degli ebrei, in particolare attraverso il sito Informazionecorretta da lui fondato nel 2001.

Un altro caso è quello del giornalista e scrittore Daniele Scalise, autore di molti libri sull’omofobia e l’antisemitismo (da un suo libro è tratto il film Rapito di Marco Bellocchio). In una recente intervista a Libero, Scalise ha affermato che in certi ambienti “in nome dell’anticolonialismo, con le realtà del Terzo Mondo si sospende il giudizio”, consentendo che uccidano i gay e impongano il velo alle donne.

Il caso di Hamtramck

Per capire cosa succede ai gay quando l’islamismo radicale prende il potere, non c’è bisogno di andare a Gaza o in Iran. Basta vedere quello che è successo a Hamtramck, paese di circa 28.000 abitanti nello Stato americano del Michigan.

Per molto tempo la maggioranza della popolazione e di chi la governava era costituita da discendenti di immigrati dall’Europa dell’Est, ma nel 2015 fece notizia il fatto che furono il primo comune nella storia degli Stati Uniti ad eleggere un consiglio comunale a maggioranza musulmana, dovuto alla crescente presenza di immigrati dai paesi arabi e dal Bangladesh. Una tendenza che portò l’intero consiglio ad essere composto unicamente da musulmani con le elezioni del 2021, quando venne eletto sindaco Amer Ghalib, 43enne di origine yemenita.

All’epoca i Democratici esultarono, vedendo nel risultato una vittoria del multiculturalismo contro l’islamofobia. Tuttavia, nel giugno 2023 gli stessi si sono lamentati dopo che il consiglio comunale ha votato all’unanimità la decisione di proibire in via permanente l’esposizione di bandiere arcobaleno e simboli Lgbtq in città, in vista del Gay Pride. Una votazione che ha visto i consiglieri esultare, e pubblicare sui social messaggi come “città senza froci”.

In tutto questo vi è “un sentirsi traditi”, ha dichiarato il precedente sindaco, Karen Majewski. “Vi abbiamo sostenuti quando eravate minacciati, e ora che sono i nostri diritti ad essere sotto attacco, siete voi a minacciarci”.

Se le polemiche legate all’ostilità verso i gay ebbero una certa eco mediatica, lo stesso non si può dire per altri tipi di odio: nel 2022 emersero vecchi post del sindaco Ghalib su Facebook in cui scriveva che i leader dei Paesi arabi erano in realtà ebrei nascosti, e mise il “like” al commento di uno che diceva che gli ebrei sono tutti scimmie. Quando gli fu chiesto conto di questi e altri post, rispose che i suoi detrattori erano dei “parassiti”, per poi cancellare la cronologia del suo profilo Facebook.


Oxfam e Cop 28, la congrega dei termo-socialisti che mette i ricchi contro i poveri

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 06:00 da Miglioverde

di LEONARDO FACCO Quella devastante banda di parassiti internazionali che si fa chiamare Oxfam, torna puntualmente alla carica – ogni anno – per propagandare la solita favoletta di quanto sono brutti e cattivi i ricchi, che vivrebbero alle spalle dei poveri. Secondo gli “studi pilotati” di questa congrega di utili idioti neomarxisti, nel 2019, l’1%…

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Kissinger, la “mente europea” della politica estera Usa

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 05:55 da Nicola Porro

Il 20 agosto 1938, quando la sua famiglia fuggì dalla Germania hitleriana per evitare ulteriori persecuzioni naziste, Heinz Alfred (futuro Henry) Kissinger aveva quindici anni. La famiglia si fermò, brevemente, a Londra prima di arrivare a New York il 5 settembre del medesimo anno.

Forse, allora, il giovane rifugiato ebreo-tedesco non avrebbe obiettato all’affermazione del filosofo Leo Strauss, pronunciata in una conferenza del 1941 alla New School for Social Research, secondo cui il nichilismo nazista altro non faceva che prolungare il rifiuto dei fondamenti morali della civiltà moderna, caratteristico della tradizione filosofica tedesca. Strauss stesso, infatti, era un esiliato ebreo-tedesco.

Il realista

Kissinger, una volta divenuto la “mente europea” della politica estera americana, così definito dallo storico Bruce Mazlish – si laureò con una tesi intitolata “Peace, Legitimacy, and the Equilibrium (A Study of the Statesmanship of Castlereagh and Metternich)” – sposò un approccio rigorosamente “realista”, talvolta cinico, corrotto, vuoto e privo di onore.

Mosso dalla convinzione, derivatagli dal suo studio del Congresso di Vienna, secondo cui Stati Uniti e Unione Sovietica fossero due “grandi potenze”, proprio come, nel XIX secolo, lo erano state la Prussia e la Russia, svuotò la Guerra Fredda di quel contenuto ideologico che aveva precedentemente animato l’anticomunismo degli apparati statali statunitensi, a cominciare dalla CIA dei fratelli Dulles.

La crisi di fiducia in se stessi degli Stati Uniti, innescata dalla guerra del Vietnam e dalla contestazione studentesca, condusse, al termine degli anni Sessanta, al logoramento della strategia del containment del totalitarismo sovietico, elaborata un ventennio prima da George Kennan, che si fondava sulla convinzione di una superiorità morale ed economica degli Stati Uniti.

In un’America stretta tra la New Left che, iconoclasticamente, contestava i “valori tradizionali americani”, e coloro che, come James Burnham e Irving Kristol, chiedevano un impegno più intenso da parte dell’America per liberare il mondo dalla minaccia comunista, Kissinger si presentò come un disincantato “realista”, profondo conoscitore dei machiavellici espedienti che fanno delle relazioni internazionali un gioco esoterico di raffinate conversazioni e cerebrali approcci strategici.

Un progetto precario

Si trattò, perlopiù, di una intelligente ed efficace retorica. La sua azione politica non si discostò troppo dagli approcci consolidati della politica estera americana, se non per la lettura fortemente bipolare del sistema-mondo e la critica all’universalismo dei valori, a cui voleva sostituire la logica di potenza e gli imperativi dell’interesse nazionale.

Si potrebbe dire, forzando un poco, che l’ex rifugiato ebreo vedesse l’America “come un esperimento”, per usare una definizione di Arthur Schlesinger, ossia come un progetto precario da tenere al riparo da grandi, quanto incerte, avventure globali.

Il nuovo slancio idealista

L’ascesa, alla fine degli anni Settanta, del neoconservatorismo, fu certamente una reazione al “kissingerismo”, ovvero una difesa degli alti principi universali che avevano ispirato la politica estera statunitense nel primo ventennio della Guerra Fredda.

La riflessione politica di Kissinger, tutta avvinta dalle necessità della stabilità interna e dalla ricerca di un equilibrio sulla scena internazionale, determinarono un nuovo slancio idealista, soprattutto in quella “nuova” Destra, di matrice trotzkista, che vedeva nel conflitto politico-ideologico con l’Unione Sovietica un modo per ristabilire un rinnovato ordine morale in seno a una società americana disorientata e infiacchita dalle lotte per i diritti civili e dai movimenti di “liberazione”.

I neocons, in stretta collaborazione con la destra cristiana, riabilitarono l’universalismo liberale e rilanciarono la categoria di “totalitarismo” per designare il nemico da fronteggiare. Insomma, da una reazione al “kissingerismo” sorse quella volontà di recuperare i valori americani profondi, che si manifestò pienamente con l’elezione prima di Jimmy Carter e, poi, di Ronald Reagan.

Il rischio appeasement

Da allora, iniziò la progressiva marginalizzazione politica di Kissinger, ma non del suo “realismo” pragmatico e pessimista, capace di affascinare intere generazioni di politologi e funzionari pubblici, sia di orientamento conservatore che progressista.

Zbigniew Brzezinski, considerato l’anti-Kissinger, una volta disse, assai saggiamente, che “il pessimismo è una profezia che si autorealizza, e se si è politicamente impegnati, non ci si può permettere un disastro spengleriano come prospettiva di base”.

Il realismo “kissingeriano” conduce, molto facilmente, a forme di appeasement ben poco onorevoli e morali, come dimostrano la sua “freddezza” nei confronti dello Stato d’Israele, la sua indifferenza rispetto al destino dei dissidenti sovietici e, in tempi più recenti, le sue posizioni sulla Russia di Putin e sulla Cina di Xi.

A differenza di altri politici e studiosi della politica, quali Leo Strauss, Eric Voegelin, Natan Sharansky e Hannah Arendt, non comprese mai l’importanza di difendere la democrazia e i diritti umani negli affari internazionali.


Il lavoro che c’è: cosa manca, la voglia di lavorare, o di assumere?

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 05:53 da Nicola Porro

Una recente indagine del Censis mette in luce che il lavoro c’è e che, invece, a mancare sarebbero i lavoratori volenterosi. C’è da chiedersi come vengano effettuate certe analisi, probabilmente da chi neppure tocca con mano l’argomento, e tantomeno vive le varie situazioni di ricerca lavoro.

Vorrei per un attimo far provare sulla propria pelle cosa significa oggi la frase “Cerco lavoro” in un Paese dove a dettare legge sono cooperative che pagano 6 euro l’ora a tempo determinato, quindi senza alcuna garanzia di futuro, agenzie interinali che praticamente fungono da centri per l’impiego, ormai inesistenti.

Tanti disoccupati, per varie cause, non ultime le chiusure per fallimenti aziendali, si “sbattono” tra un colloquio e l’altro, senza prospettive se non uno sterile “le faremo sapere”. Mi chiedo, e chiedo se mai sia possibile che possa esistere un “mercato” del lavoro florido se le aziende non assumono (pur avendo agevolazioni e caratteristiche del profilo richiesto) e cercano escamotage convenienti perché un dipendente costa troppo.

Ecco quindi le proposte di lavoro: part time, e il resto delle ore “in cache”, contratti a chiamata, quindi “quando ho bisogno corri”, a tempo determinato, con periodi di prova tre mesi, “eventualmente” rinnovabili. E potrei continuare.

Quindi, dove sarebbe questa valanga di posti di lavoro? Lo chiedo al Censis, perché da indagine svolta direttamente non risultano questi successi. Al contrario di ciò che si legge, c’è chi vorrebbe eccome un impiego, ma non lo trova. E non perché non abbia referenze o capacità, anzi!, ma perché oggi si tende a volere “il meglio al meno”. A fare centinaia di selezioni cercando il pelo nell’uovo.

E allora cos’è che manca? La voglia di lavorare, o di assumere? Cosa si può fare concretamente per i tanti giovani e non che sono sull’orlo della disperazione? Non facciamo di qualche erba un fascio. C’è chi è fannullone, ma tanti sono solo desiderosi di indipendenza dallo Stato e dalle famiglie. Specie chi è a casa per cause altrui, e non proprie.

Proponiamo percorsi di reinserimento e formazione, agevolazioni concrete, ingressi finalizzati ad una stabilità. Insomma, basta con questa retorica che manca la voglia e la volontà di lavorare, c’è desiderio di non venire sfruttati e di essere valorizzati. Questo è quanto.


Abolite la proprietà privata e il potere si farà totalitario. [Ludwig von Mises]

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 08:08 da Istituto Liberale

Abolite la proprietà privata e il potere si farà totalitario.

[Ludwig von Mises]



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COP 28: tutte le novità da Dubai del 2 dicembre

Pubblicato domenica 3/12/2023 alle 00:20 da TradingOnline.com

Pubblicato il

La terza giornata del COP 28 ha continuato a portare l’attenzione sui paesi emergenti, ma spostando il focus. Se ieri si era parlato soprattutto di Asia, oggi Medio Oriente e America Latina sono state le due grandi protagoniste. E parlando di America Latina si è parlato ovviamente molto anche di Amazzonia, uno dei temi su cui ci si aspettano altri grandi annunci nel corso della conferenza climatica organizzata dalle Nazioni Unite. Oggi è stato anche il giorno del discorso di Kamala Harris, vice-presidente degli Stati Uniti, che colto l’occasione per definire gli USA come i “leader” della transizione energetica attraverso le politiche messe in piedi negli ultimi anni.

presentazione della notizia su riassunto della terza giornata del COP 28

Riassunto della terza giornata del COP 28

Le notizie principali di oggi hanno riguardato sia gli impegni finanziari diretti verso le nazioni in via di sviluppo, sia nuovi studi che mostrano ancora più in dettaglio quale sia la situazione attuale rispetto agli obiettivi climatici che il mondo si è posto nel 2015 con l’Accordo di Parigi.

1. $15 miliardi per la transizione climatica in LatAm

Sul fronte degli impegni finanziari, la notizia di oggi riguarda l’annuncio della Development Bank of Latin America and the Caribbean (CAF). La banca sovranazionale per lo sviluppo dell’America Latina ha messo a disposizione dei paesi che partecipano all’iniziativa $15 miliardi da distribuire gradualmente fino al 2030. I fondi potranno essere utilizzati non soltanto per le rinnovabili: iniziative per la sicurezza alimentare, la rete idrica e la risposta alle emergenze climatiche potranno tutte essere finanziate con questo piano. Una grande enfasi sarà data anche ai progetti per la prevenzione dell’erosione costale e delle inondazioni.

2. L’autoproclamazione degli Stati Uniti

Il discorso più atteso della giornata era quello di Kamala Harris, che ha aperto ricordando i grandi sforzi fatti dagli Stati Uniti verso il clima negli ultimi anni: su tutti i $400 miliardi investiti attraverso l’Inflation Reduction Act. Oggi la Harris ha annunciato anche che gli USA parteciperanno al Green Climate Fund delle Nazioni Unite per favorire la transizione energetica nei paesi emergenti. Il governo USA è pronto a mettere sul piatto $3 miliardi per finanziare l’iniziativa. La vice-presidente però non ha risposto alla domanda che tutti stavano aspettando: se gli Stati Uniti siano disposti a firmare un piano per la graduale eliminazione del gas naturale e del petrolio. La Harris si è limitata a dire che gli USA sono a favore dell’eliminazione totale del carbone, ma non ha citato altri combustibili fossili.

3. Il nuovo studio sulle città

Un nuovo studio pubblicato dalla Cities Climate Finance Leadership Alliance mostra che le città del mondo stanno attualmente ricevendo appena l’1% dei fondi che sarebbero necessari per finanziare un’urbanizzazione sostenibile. Malgrado l’inurbamento sia sempre maggiore, specie nei paesi emergenti, la quantità di fondi allocata in questa direzione è rimasta quasi invariata negli ultimi anni. Secondo lo studio sarebbero necessari $5.4 triliardi all’anno fino al 2030 per non rimanere indietro rispetto agli obiettivi dell’Accordo di Parigi.

foto di una coda che causa traffico e inquinamento in una città

4. 3 GW di eolico per il Kazakistan

Il governo kazako ha stretto un accordo con la francese TotalEnergies, la società elettrica di Abu Dhabi (Masdar) e la ACWA degli Emirati Arabi. Le tre grandi multinazionali si occuperanno di sviluppare nuovi progetti eolici in Kazakistan, per una potenza installata totale di 3 GW. Il governo non ha fornito molti dettagli, se non che per la singola centrale che ACWA dovrebbe costruire sarà necessario un investimento da $1.8 miliardi. Contestualmente, il Kazakistan ha anche sottoscritto un accordo per fornire uranio alla società di ricerca nucleare degli Emirati Arabi.


Caos nel mondo dei bond sui mutui dopo la mossa di Arch

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 22:37 da TradingOnline.com

Pubblicato il

Una parte del mondo dei mutui, normalmente tranquilla e fonte di poche notizie, sta vivendo uno scossone dovuto a dinamiche interne di Wall Street. Si tratta dei bond garantiti sui mutui, divenuti famosi durante la crisi del 2008 per via degli scandali che si sono verificati sul rating di questi strumenti. A distanza di 15 anni, nei quali il mercato è tornato essenzialmente alla sua tranquillità originale, oggi sono di nuovo l’argomento di riferimento a Wall Street. Questo dopo che Arch Capital Group, uno dei grandi fornitori di assicurazioni sui mutui negli Stati Uniti, ha richiamato $1,7 miliardi di obbligazioni che la stessa Arch aveva messo in circolazione.

Molti di questi bond erano negoziati a prezzi nettamente superiori al loro valore nominale. Al tempo stesso, Arch aveva per contratto la possibilità di riacquistarli al loro valore nominale: per farlo non è necessario l’okay degli obbligazionisti né una procedura di preavviso. Così, nell’arco di poche ore, Arch ha cancellato centinaia di milioni di dollari di profitti che gli obbligazionisti erano convinti di stare maturando sui loro bond. Presto potrebbe arrivare il momento in cui altri grandi emittenti di questo tipo di bond potrebbero prendere la stessa decisione.

presentazione della notizia su Arch Capital che richiama una gran parte dei suoi bonds

Arch richiama i bond senza preavviso

Al pari degli altri bond emessi dalle società private, i bond garantiti sui mutui vengono spesso quotati in Borsa. Nel momento in cui queste obbligazioni vengono quotate, il loro valore dipende esclusivamente dalla domanda e offerta di mercato: se i mercati percepiscono che i tassi pagati dai mutuatari siano buoni e che ci sia una scarsa probabilità che questi siano insolventi sui pagamenti, possono ritenere attraenti questi strumenti. I prezzi salgono, talvolta sopra al valore nominale del bond: in questo momento, ad esempio, molte delle obbligazioni garantite sui mutui che sono state emesse nel periodo di tassi in aumento della Federal Reserve stanno venendo negoziate a prezzi superiori al loro valore nominale.

Arch Capital Group ha approfittato di una clausola presente nel contratto di queste obbligazioni, che permette alla società di riacquistarle al valore nominale entro una certa data. Moltissimi investitori istituzionali hanno comprato questi bond al di sopra del loro valore nominale e li hanno iscritti al loro valore di mercato nei bilanci. Ora il loro investimento ha visto un drastico “taglio di capelli”, dal momento che Arch ha potuto riacquistarli al valore nominale. Questa è una scelta molto rara per una società che si occupa di assicurazioni sui mutui. Anche se molti investitori erano consapevoli del fatto che Arch avrebbe potuto richiamare i bond, consideravano molto improbabile questa scelta e si sono sentiti sicuri di poterli comprare a prezzi talvolta molto superiori ai valori nominali.

foto di una persona firmando un contratto di mutuo

La causa: l’algoritmo di rating di S&P

Le società che si occupano di assicurare le banche per i mutui che contraggono con i clienti utilizzano spesso le emissioni obbligazionarie per trasferire il rischio su altri investitori. Una serie di mutui vengono “impacchettati” come sottostante di un’obbligazione, che poi viene venduta tramite allocazioni private o in Borsa. Questo serve non soltanto a trasferire il rischio per l’assicuratore, ma anche a migliorare il rating della società. Il rating è estremamente importante per queste aziende, che se percepite come rischiose possono perdere il loro giro d’affari con le banche che hanno come clienti.

La settimana scorsa è arrivato un aggiornamento del modello con cui Standard & Poor’s calcola il rating delle società che si assicurano i mutui. Per questo Arch ha potuto richiamare le sue obbligazioni senza alcun impatto sul rating creditizio; questa mossa potrebbe essere presto emulata da tutte le altre società che emettono bond garantiti sui mutui, che possono richiamarli ora a prezzi decisamente inferiori a quelli di mercato.


La moglie di Zelensky: “Non voglio che mio marito si ricandidi”

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 21:25 da Nicola Porro

L’Ucraina sta attraversando un momento molto delicato, ma le ultime notizie sembrano allontanarsi dal campo di guerra e si concentrano sulla figura del suo primo cittadino. La first lady Olena Zelenska ha dichiarato di non volere che suo marito, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, si ricandidi per un nuovo mandato presidenziale. Le sue parole sono state rilasciate in un’intervista data a un podcast dell’Economist, ripreso dai media ucraini. “Non voglio che sia presidente per il prossimo o per i prossimi due mandati”, ha affermato Zelenska, auspicando che il coniuge trovi qualcosa di nuovo nella vita.

Inoltre, ha dichiarato che alla fine della guerra, l’obiettivo principale della famiglia sarà quello di ritrovarsi e vivere insieme. Successivamente, ha sottolineato il desiderio di una vacanza lunga, “un mese intero”, prima di decidere cosa fare dopo. Queste parole fanno capire il desiderio della first lady di tornare alla normalità e dare una svolta alla vita familiare, lasciando da parte la politica e le difficili sfide che questa comporta.

È importante ricordare che Olena Zelenska è una figura importante nella società ucraina. Scrittrice, architetto e sceneggiatrice, è stata first lady dell’Ucraina dal maggio 2019 ed è riconosciuta come una delle cento persone più influenti dell’Ucraina, secondo la rivista Focus.

Il contesto in cui si inseriscono queste dichiarazioni è difficile da ignorare. L’Ucraina sta vivendo una guerra in cui le speranze di un’efficace controffensiva si sono rivelate illusorie. L’intervento della NATO, dell’Unione Europea e degli Stati Uniti non ha portato ai risultati sperati e la situazione sul campo di battaglia è complessa. Le truppe ucraine non sono riuscite a ribaltare le sorti del conflitto. Inoltre, le difficoltà nel ricevere forniture di armi e munizioni sono una realtà che non può essere ignorata.

Stando a quanto affermato dallo stesso Zelensky, la guerra è entrata in una “nuova fase” con l’arrivo dell’inverno. Le condizioni meteo complicheranno ulteriormente i combattimenti e causeranno un inevitabile rallentamento della controffensiva. La mancanza di armi e forze di terra è palpabile, una situazione che sta mettendo a dura prova l’esercito e il morale del paese.

Di fronte a questi eventi, le parole di Olena Zelenska assumono un significato ancora più profondo. Il desiderio di un futuro lontano dalla guerra e dalla politica potrebbe non essere solamente personale, ma potrebbe riflettere il sentimento anche del marito. La cui rielezione ora potrebbe non essere scontata.


Caro Landini, fino a quando abuserai della nostra pazienza?

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 18:09 da Nicola Porro

Egregio Segretario Generale Landini,

Da sette settimane, a partire dallo scorso 20 ottobre 2023, ogni venerdì mi reco a Roma dalla Lombardia per ragioni di lavoro, usufruendo nell’ordine dei seguenti mezzi di trasporto: treno (Trenord) – metro (Atm) – treno (Trenitalia). Ebbene, in cinque di questi sette venerdì sono stato mio malgrado costretto a dover subire innumerevoli disagi a causa delle diverse mobilitazioni sindacali che hanno interessato a vario titolo il settore dei trasporti.

Nel dettaglio: venerdì 20 ottobre sciopero generale dei settori pubblici e privati che ha coinvolto il personale del Gruppo Fs Italiane, di Trenitalia e Trenord. Venerdì 10 novembre è stata la volta di autobus, tram e metro gestiti a Milano da Atm. E poi, ancora, venerdì 17 novembre sciopero generale nazionale. Venerdì 24 novembre sciopero generale regionale per le regioni del Nord Italia. E, dulcis in fundo, venerdì 1 dicembre sciopero nazionale del personale del Gruppo Fs Italiane. In totale, fanno, appunto, cinque venerdì di sciopero dei trasporti negli ultimi sette, tutti a gravare sulla pelle (e le tasche) di noi cittadini, letteralmente falcidiati da quella che ormai sembra essere divenuta a tutti gli effetti una vera e propria routine settimanale. E non è mica finita qui.

Leggi anche:

L’inflazione cala, l’occupazione sale: i dati smascherano Landini

Perché, se logicamente non è in programma alcuno sciopero il prossimo venerdì 8 dicembre, in quanto già di per sé giorno festivo, in compenso ne è già stato annunciato un altro per il venerdì successivo, il 15 dicembre, che, manco a dirlo, coinvolgerà ancora una volta il solito settore dei trasporti. Si arriverà così a ben sei venerdì di sciopero su nove, praticamente uno ogni settimana, eccetto i due venerdì a ridosso del ponte di Ognissanti (sarebbe stato troppo persino per voi scioperare anche in quel caso), e il venerdì in cui cade l’Immacolata Concezione. Beh, potremmo tranquillamente affermare che solo le feste comandate vi hanno impedito di centrare un clamoroso en plein. Ci siete andati proprio vicino. Peccato. In conclusione, però, un dubbio mi sorge spontaneo, vorrà concedermelo, dall’alto della sua infinita benevolenza: quousque tandem abutere, Segretario Landini, patientia nostra?

Cordialmente,

Prof. Salvatore Di Bartolo, 2 dicembre 2023


How To Construct a Climate Change Fear Machine

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 17:56 da A Lily Bit

If you appreciate my articles, please consider giving them a like. It's a simple gesture that doesn't cost you anything, but it goes a long way in promoting this post, combating censorship, and fighting the issues that you are apparently not a big fan of.


Within a short span, Greta Thunberg transformed from a solitary protester outside the Swedish parliament into a globally recognized figure. While media narratives often suggest her swift ascent was a natural progression, there are assertions that this isn't entirely the case.

It is claimed that Greta is supported by a substantial infrastructure, allegedly influenced by significant global entities and bolstered by considerable funding. This purported public relations framework is said to have facilitated her appearances on magazine covers, the subject of numerous articles, interactions with world leaders, and delivering speeches at prestigious forums like the United Nations.

While Greta's personal commitment to environmental issues might be sincere, there are suggestions that her public persona and messaging are strategically shaped by those overseeing her, aiming to evoke specific reactions from young people. In essence, these claims frame Greta as the forefront of a sophisticated marketing strategy – an orchestrated global campaign promoting environmental awareness through a narrative of fear, panic, and urgency.

Before delving deeper, it's important for me to clarify my stance. I do not categorize myself as either a “climate denier” or a “climate activist”. These labels do not align with my area of expertise. I have not conducted any personal research on climate change and its potential links to human activity, and I acknowledge that I lack the necessary qualifications to authoritatively discuss this topic. Therefore, I choose not to address it directly. However, I have previously discussed the way environmental discourse can be utilized by certain influential groups as a means to limit personal freedoms and guide public opinion to align with their own objectives.

My specialization lies in the study of mass media and its interaction with power structures. I usually use quotations from pioneers in the field of Communications, like Edward Bernays, to illustrate how mass media is often employed to influence and shape public opinion. The rapid ascension of Greta Thunberg to global fame serves as a textbook example of what is known in media studies as “agenda-setting”. Agenda-setting can be defined as follows:

Agenda-setting is the creation of public awareness and concern of salient issues by the news media. As well, agenda-setting describes the way that media attempts to influence viewers, and establish a hierarchy of news prevalence. Two basic assumptions underlie most researches on agenda-setting:

  1. the press and the media do not reflect reality; they filter and shape it;

  2. media concentration on a few issues and subjects leads the public to perceive those issues as more important than other issues.

The media landscape is predominantly controlled by a small number of large corporations. This consolidation of media ownership allows for a certain level of influence over public discourse, enabling influential groups to disseminate specific narratives globally with relative ease. The swift emergence of Greta Thunberg as a global figure can be seen as a consequence of such media influence. Her movement exemplifies the remarkable capacity of modern mass media to not only reach a wide audience but also to potentially catalyze significant movements from seemingly minimal origins.

The impact of mass media is often more pronounced among those who may not have fully developed critical thinking skills, a group that notably includes younger demographics. The phenomenon surrounding Greta Thunberg appears to be strategically tailored to resonate with this particular audience.

To understand this better, let's examine the trajectory of Greta's rise to prominence.

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Greta Thunberg comes from a family with notable artistic backgrounds. Her father, Svante Thunberg, is an actor, and her grandfather, Olof Thunberg, was also an actor and director. Greta's mother, Malena Ernman, is a renowned opera singer who gained wider public recognition after participating in the Eurovision Song Contest in 2009. In 2010, Malena Ernman was honored with the title of Hovsångerska, which translates to “court singer,” a distinction bestowed by Carl XVI Gustaf, the King of Sweden.

In 2017, Malena Ernman was recognized with the “Environmental Hero” award by the World Wide Fund for Nature (WWF) for her sustained engagement with climate-related issues over several years. Approximately a year following this accolade, Ernman's daughter, then 16 years old, was observed staging a protest in front of the Swedish parliament. This event marked the beginning of a significant and influential movement.

On August 20, 2018, Greta Thunberg began her protest by sitting in front of the Swedish Parliament, holding a sign that read “School strike for the climate”. Just four days after this event, her mother released a book titled “Scenes From the Heart”.

The book, presented as a family autobiography, delves into various personal topics including Greta Thunberg's diagnosis of Asperger's syndrome, which her mother, Malena Ernman, refers to as a “superpower”. In an intriguing section of the book, Ernman suggests that Greta has the unique ability to visually perceive carbon dioxide emissions from vehicles and buildings.

The simultaneous occurrence of Greta's climate strike and the release of her mother's book appears to be more than just a coincidence. Greta's protest quickly garnered attention.

Greta photographed during her first climate strike.

The emergence of Greta Thunberg as a leading figure in the school strike movement raises the question of the movement's origins. This concept predates her involvement. On the website of Plant-for-the-Planet (more on their intriguing connections later), under the section about Climate Strike, it is noted:

“At the international Youth Summit of Plant-for-the-Planet in Tutzing in May 2015, the idea emerged for a global school day with actions for the climate... After several meetings with participants from five continents, it became clear that a worldwide 'school strike' would make a groundbreaking impact if we could mobilize thousands – or even millions – into a robust global network.”

Thus, over three years before Greta’s strike, the concept of 'Fridays for Future' was conceived, or rather, evolved at that location. The actual orchestrators are not the youth but most certainly adults from questionable globalist networks. This is because the Global Youth Summit is organized by the Plant-for-the-Planet Foundation, behind which lie globalist think tanks such as the Rockefeller-associated 'Club of Rome' and the 'German Marshall Plan Foundation'.

Swedish financial market expert Ingmar Rentzhog details in an interview how he “coincidentally” took Greta Thunberg under his wing. Rentzhog is also a recognized figure in the global climate advocacy arena. In 2017, this seasoned finance professional founded the somewhat controversial climate action organization “We Don't Have Time” as a corporation.

Rentzhog at a climate strike.

Ingmar Rentzhog also holds a significant position as the chairman of the Global Utmaning (Global Challenge) Board. This think tank is dedicated to fostering sustainable development across social, economic, and environmental spheres. Global Utmaning was established by Kristina Persson, a Swedish politician and economist, and daughter of Sven O. Persson, a billionaire politician and entrepreneur.

With such influential backing, Greta Thunberg's environmental campaign quickly gained substantial media coverage in Sweden and subsequently garnered global attention. Within months of initiating her weekly strikes, Greta decided to take a year off from school to dedicate herself entirely to climate change activism, embarking on a tour across various European cities.

During these activities, Luisa-Marie Neubauer was often observed in a role seemingly providing advice and support to Greta.

Luisa-Marie Neubauer, often seen in association with Greta Thunberg, is affiliated with the ONE Campaign, an advocacy organization involved in fighting poverty and preventable diseases. This organization is supported by figures like Bill Gates and Bono. It also receives funding from the Open Society Foundation, an organization founded by George Soros.

In response to circulating narratives, the Associated Press conducted a fact-checking exercise, resulting in an article titled “Climate activist Greta Thunberg does not have 'handler'.” While this article aims to dispel the notion of Neubauer acting as Greta’s “handler”, it does acknowledge Neubauer’s connection to the aforementioned Soros-funded group. I will not delve into discussions regarding her family's historical connections to high-ranking Nazis or her public anti-Semitic hate tirades at this time, but these topics might be explored in a future article.

According to the Bill and Melinda Gates Foundation website, “One originated in conversations between Bill Gates and Bono in the early 2000s about the need to better inform Americans about extreme poverty around the world.” The One Campaign has ties to Soros, founder and chairman of Open Society Foundations, which works to build democracies.

Greta Thunberg's ascent to international prominence was significantly influenced by her powerful connections. This led to her delivering speeches at prestigious platforms such as TEDx talks, the European Parliament, and the United Nations. She also received a nomination for the Nobel Prize. Additionally, her environmental advocacy brought her into meetings with various world leaders and celebrities, including an audience with the Pope.

Mass media played a crucial role in elevating Greta Thunberg's profile, transforming her from a solitary protester in front of the Swedish parliament into a globally recognized icon. Her image was featured on numerous magazine covers worldwide, symbolizing heroism and dedication to a cause. After her tour across Europe, Greta notably sailed to America, where she was celebrated as a hero. Her presence inspired widespread school strikes and heightened environmental activism.

Greta's influence, amplified by mass media, significantly impacted local and international political discussions, pushing global warming to the forefront of priorities in many Western countries.

However, this raises the question: What exactly is Greta's role in the broader context of these events and movements?

Despite resistance from some quarters, possibly due to conflicting agendas, there's a perspective that views Greta Thunberg as a symbolic figure within a larger narrative. According to this view, she is influenced by powerful individuals and significant financial interests, with her message tailored to promote a specific agenda. This agenda, while centered on climate change, is suggested to approach the issue from a particular perspective.

Greta herself, during a speech at the World Economic Forum (surprise) provided insight into her perceived role in this broader narrative:

“Adults keep saying we owe it to the young people, to give them hope. But I don’t want your hope. I don’t want you to be hopeful. I want you to panic. I want you to feel the fear I feel every day.”

The concepts of “panic and fear” are often associated with prompting swift and potentially irrational actions driven by negative emotions. The suggestion here is that these feelings of fear and panic are being deeply instilled in the younger generation, shaping a mindset among young people that perceives the world as being in a dire, almost catastrophic state.


Greta Thunberg has become a prominent symbol in a widespread movement across mass media and educational platforms, aimed at conveying to children the urgency of the climate crisis with metaphors like their "house is on fire". Given that children often accept information presented to them without critical questioning, this concerted effort has led to the emergence of a new and concerning phenomenon known as “eco-anxiety”, where young people experience heightened anxiety about environmental issues.

An i-D magazine headline.

The narrative being discussed suggests that, instead of enjoying a carefree childhood, many children are growing up burdened by a sense of fear and impending disaster due to environmental concerns. Researchers are beginning to draw connections between these environmental anxieties and rising instances of anxiety, depression, and in extreme cases, even suicide among young people. This sentiment was echoed in Greta Thunberg's emotive speech at the U.N.:

“How dare you. You have stolen my dreams and my childhood with your empty words.”—Greta Thunberg

While Greta's personal commitment to addressing climate change might be sincere, there are theories that those supporting her have a more ominous objective. The theory posits that they aim to cultivate a generation overwhelmed by anxiety and depression, thereby enabling those in power to justify severe measures such as increased taxes and the curtailment of personal freedoms. Central to this theory is the ultimate alleged aim of the elite groups backing Greta: the establishment of a singular global government, ostensibly to combat climate change, but which, in this view, serves the interests of a global elite.


“We are students and young people who are demonstrating against that failing climate policy!”, can be read on the website of Fridays for Future. The climate crisis has long been “a real threat to our future. We will be the ones to suffer the consequences of climate change and pay for the mistakes of previous generations. That's why we take to the streets!”, it says there. And then: “We are not tied to any party or organization. The climate strike movement has its own dynamics and, like this website, is supported by thousands of individual young people. The model for our climate strikes is the student Greta Thunberg.” But is all this really true? Or could there be some puppet masters behind the scenes? If so, who are they?

Let's check whether it is really just 'thousands of individual young people' or if someone is pulling the strings, on which these thousands may hang without realizing it.

Upon examining the imprint of the very prominent German version of Fridays for Future (FFF) website, one finds an entry stating: “Ronja Thein, Lorentzendamm 6-8, 24103 Kiel, Email: impressum@fridaysforfuture.de”. The identity of this Ronja Thein appears to be largely unknown. What's more intriguing is the address provided, as it doesn't seem to be a private residence, but rather the location of the alternative cultural center “Alte Mu” in Kiel, Northern Germany, where numerous left-wing organizations are based, but not private individuals.

This raises questions about the funding sources for the student strikes organized by Fridays for Future around Greta Thunberg. Who finances and organizes all the appearances, events, and promotional activities? The answer might be surprising. But before we reveal that, let's first methodically follow the trails.

Fridays for Future has set up a donation page, visible here. On this page, we can see the label “Fridays For Future Donation Account” followed by the account number “200 2000 200”. In the FAQ (Frequently Asked Questions) section, under the question, “How do you ensure that the money is used for its intended purpose?” there is an answer provided:

“As a movement, we consciously want to build as few structures as possible in order to remain flexible and able to respond to circumstances at any time. Therefore, the account is managed by a friendly organization, the Plant-for-the-Planet Foundation. This ensures that all financial matters are handled completely professionally. This includes that money is only paid out against proper accounting.”

The account is thus managed by “a friendly organization, the Plant-for-the-Planet Foundation.” This raises questions: why is this arrangement in place, and who is this “Foundation”? One reason might be that Fridays for Future (FFF) wants to ensure that donation receipts (officially termed “contribution confirmations”) can be issued, which are then tax-deductible. However, this is only possible if the organization is recognized as a nonprofit. FFF is not recognized as such, but the Plant-for-the-Planet Foundation is, as can be read here.

“The Plant-for-the-Planet Foundation is recognized as a charitable foundation by the Garmisch-Partenkirchen tax office and can issue tax-deductible donation receipts.”

So, what exactly is the Plant-for-the-Planet organization, and how did this “friendship” between Fridays for Future and Plant-for-the-Planet come about? The authorized representative and person responsible for the content of the Plant-for-the-Planet website is a Mr. Frithjof Finkbeiner. This is where it gets interesting. Frithjof Finkbeiner is a forester and entrepreneur, born in 1962. He is the father of Felix Finkbeiner, who founded Plant-for-the-Planet in 2007 at the age of nine. Additionally, Frithjof Finkbeiner holds another significant role. He is the deputy president of the German Association Club of Rome. This organization, established in Hamburg in 1978, is a think-and-do tank and an offshoot of the Club of Rome, which was founded in 1968.

The Club of Rome is a group characterized by their critical stance towards genuine capitalism, this international financial elite is often noted for making inaccurate predictions, advocating one set of standards while personally adhering to another, symbolized by the phrase 'preaching water and drinking wine'.

It is an assembly of experts from various disciplines across more than 30 countries, committed to fostering a sustainable future for humanity. However, the establishment of the Club of Rome also marked the beginning of a business sector that thrives to this day: the business of disaster, professional prophecy of apocalypse, and world-saving programs set to a jet-set pace. Publications from the Club consistently emphasize that market forces, mass consumption, and particularly economic growth are driving the world towards ruin. The proposed solution often involves state planning, or even better, international authorities directing global affairs in accordance with the Club of Rome's guidelines. These authorities are envisioned to regulate growth, and exert control over economies and consumers.

How is it that an organization, which has consistently made incorrect predictions and recommended impractical solutions, still maintains an impeccable reputation? How did the Club of Rome ascend to the upper echelons of global saviors? The Club is a classic “One Hit Wonder.” It gained instant global fame with its first report and has remained renowned since. None of the subsequent 33 reports achieved nearly the same level of recognition as the first one. When one hears “Club of Rome,” they automatically think of “The Limits to Growth” (12 million copies sold, translated into 37 languages)...

This study forecasted a global disaster that was expected to occur by the turn of the millennium. It predicted the depletion or extreme scarcity and costliness of all major resources. Moreover, it suggested that humanity would be decimated by overpopulation, food shortages, and environmental pollution. However, the opposite happened: By the year 2000, the prices of almost all major resources had fallen, and they were abundantly available. In industrial nations, pollution was significantly reduced. The reason why the Club of Rome's models were disproved by reality is that the fundamental assumptions they were based on changed much faster than anticipated.

In 1974, the Club of Rome released its second study, “Mankind at the Turning Point.” This report, too, was filled with apocalyptic predictions. The authors forecasted a billion hunger deaths in South Asia, with this mega-famine expected to begin in the 1980s and peak by 2010. They described it as an unprecedented, slow, relentless decimation of an entire region's population.

Contrary to these dire predictions, the people of Asia focused on taking over markets from their former colonial masters and prioritized economic growth, a path that the Club of Rome deemed entirely wrong. According to the report, “undifferentiated, cancerous growth is the actual cause of our problems.” Pestel and Mesarovic, the authors, advocated moving away from the “growth ideology,” reorienting the economy to the real needs of people, and establishing a new “ethic of consumption.” In a later book, Pestel argued for the recognition that “material growth, and thus the growth of Gross National Product, is ultimately unsustainable.” He recommended a “system of future-oriented goals” and “long-term planning instruments” as a solution to these challenges.

Reading such treatises from a contemporary perspective, one might get the impression that communists were behind these works. Interestingly, during the Cold War, the Club of Rome even held meetings in Moscow, which was unusual for the time. However, the members of this exclusive club – limited by its statutes to no more than 100 – were and are far from the stereotype of scruffy left-wing intellectuals in worn leather jackets. Instead, it's the international financial elite advocating for a planned economy. Aurelio Peccei, one of the founders, was known for hosting gatherings where servants with white gloves served guests. The current chairman, Hassan Ibn Talal, is the wealthy brother of the King of Jordan, and his vice, Eberhard von Koerber, is also affluent. Gudrun Eussner, a German who as a student in the 1970s attended a Club meeting at the Berlin Hilton, recalled, “I had imagined them to be more modest. Their demands did not match their teachings…”

The Club's latest brainchild continues this trend... The world is to be saved under the wise leadership of an enlightened elite. As in previous reports and appeals, the concept of freedom as a criterion for a better world is not given any importance. What's new is that, in addition to the usual anti-capitalist rhetoric, there's a particular understanding for Islamists this time—but I guess that’s fine. after all, siding with Islamists is something everyone seems to do these days. No matter where they are found ideologically, just because “Netanyahu” or something.

Thus, regarding the Club of Rome, of which Frithjof Finkbeiner is the Vice President in Germany, he is also the father of the founder of the Plant-for-the-Planet Foundation and its authorized representative board member. Additionally, Finkbeiner is also a co-founder and chairman of the Global Marshall Plan Foundation and Global Contract Foundation, and chairman of the supervisory board of the Desertec Foundation. All of these organizations focus on the business of climate change fear.

The concept of utilizing students in large-scale strikes during school hours originated from think tanks involved in the global agenda. In the search for suitable figures to symbolize this student movement, unique cases like Greta Thunberg proved to be particularly opportune. Greta also comes from a well-known and affluent family in Sweden and is distantly related to the climate scientist and Nobel Laureate Svante Arrhenius, who in 1895 presented one of the first theories on the greenhouse effect – a fact that conveniently aligns with her activism.

At the very end of this global climate PR chain are thousands of unsuspecting students who participate in demonstrations for a variety of reasons. They receive support from organizations like BUND, Greenpeace, the Interventionist Left, churches, and other NGOs.


Returning to the students of Fridays for Future, they believe themselves to be independent and not bound to any organization. However, Fridays for Future is linked to the Plant-for-the-Planet Foundation, a foundation of the Vice President of the Club of Rome, which has been actively promoting the "climate strikes by students" project for some time. This foundation decides what happens with the donations to Fridays for Future, and it owns the donation account of Fridays for Future.

Therefore, those participating in Fridays for Future are, in effect, participating in Finkbeiner's foundation's initiatives. Donations made to Fridays for Future go to Finkbeiner's foundation. In response to the student's statement in the opening quote about owning a movement, it could be argued: “The movement does not belong to you; it belongs to others. Your donation money belongs to others, and so does your commitment. You belong to others.”

Critically examining the Greta Thunberg phenomenon often leads to immediate and intense backlash, with accusations such as “bullying an autistic girl” or being labeled a “climate denier”. I mean sure, we are all denying the existence of climate, viruses, gender… did I miss something? As highlighted, this article's focus isn't on Greta herself, her appearance, or her mental health. Rather, it's about the influential forces behind her and the robust platform that catapulted her to media prominence.

Moreover, this article doesn't aim to deny climate change or diminish the seriousness of environmental issues. It questions the manner in which these issues are presented – through a lens of fear, panic, and urgency. Pollution and environmental concerns warrant a rational approach, targeting the primary sources of the problem. In the U.S., for instance, transportation, industry, and electric power are responsible for over 80% of greenhouse gas emissions, indicating that elite-owned corporations are major contributors to global pollution. These entities emit vast quantities of carbon dioxide and release significant amounts of toxic waste into waterways. Yet, instead of confronting these industries directly, there's a tendency to shift the focus to public figures like Greta Thunberg, showcasing world leaders applauding her speeches and fostering fear among children.

The underlying question is, why? The ultimate goal is control and submission. By cultivating a fearful and anxious populace, there's a greater likelihood of people seeking government intervention for solutions, thereby enabling more control and influence over the population. And that is all that is behind it.


La fetta della Cina è sempre più piccola. Il dato peggiore dal 1994

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 17:38 da TradingOnline.com

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Il motore dell’economia mondiale dell’ultimo decennio si è inceppato, e per quanto continui a lavorare a giri che l’economia europea può soltanto sognare, le preoccupazioni crescono senza sosta. Secondo una recente analisi pubblicata da Bloomberg per la prima volta dal 1994 la quota di prodotto lordo a livello globale che è imputabile alla Cina è sceso, per quanto servano aggiustamenti per capire quanto rilevante sia effettivamente questa lettura. Si tratta però di un segnale certamente importante, dato che è arrivato in un anno complessivamente interessante per quelle che vengono chiamate, con una locuzione forse un po’ datata, economie emergenti.

L’India intanto preme, per quanto sarà lungo il percorso che potrebbe portarla alla posizione di vertice, a insidiare la Cina come economia di riferimento per la crescita, per gli investimenti che arrivano dalle economie avanzate e più in generale come cavallo sul quale puntare le fiches della prossima crescita globale. Grossi guai per la Cina, che sta effettivamente affrontando una delle fasi più complicate degli ultimi 3 decenni.

Si riduce la fetta mondiale che spetta alla Cina

Cina: per la prima volta dal ’94 perde quote sull’economia globale

La crescita della Cina nel corso degli ultimi due decenni passerà certamente alla storia. Una crescita dirompente e su ritmi tali da spingere molti analisti a ritenere non solo possibile, ma in taluni frangenti anche certo il sorpasso sulla prima economia del mondo, gli Stati Uniti. Questioni che qualche decennio fa si facevano con l’economia sovietica, salvo poi essere smentiti dalla storia, ma che continuano comunque a informare certe analisi dei principali centri studi.

Una rondine non fa primavera neanche per gli avversari della Cina, ma del dato riportato da Bloomberg vale comunque la pena di parlare: per la prima volta dal 1994 la fetta di torta globale della Cina, per quanto calcolata su valori nominali, si è ridotta. Una fetta che si è ridotta in un periodo di buona forma per le economie emergenti.

A contribuire a questo quadro il gioco d’anticipo, fanno giocare in molti, di economie come quella brasiliana, che forse anche per evitare che si riproponesse il disastro degli anni 80 in seguito al rialzo dei tassi statunitensi, hanno giocato d’anticipo per combattere l’inflazione. Cosa che non ha fatto ancora Pechino e che per molti potrebbe essere uno degli indizi di ulteriori difficoltà per i prossimi mesi e, chissà, per i prossimi anni.

Per quanto la situazione del Brasile e quella della Cina siano difficilmente comparabili, questo parallelo aiuta comunque a comprendere quanto non sia più compatto il fronte dei cosiddetti paesi emergenti.

Cina giu
Debolezza yuan complice della situazione

Una situazione complicata, ma per qualcuno esagerata

In realtà il tam tam ribassista sulla Cina suona sui metaforici tamburi da qualche mese. Molte delle società straniere che avevano investito anche in impianti produttivi hanno affermato di temere il nuovo corso di Xi Jinping e l’utilizzo della giustizia, anche finanziaria, per fini politici. La crisi del settore immobiliare non ha aiutato né il dato reale né l’outlook futuro sull’economia cinese, che deve al mattone una parte consistente del suo boom.

A poco è servito inoltre il ricevimento in pompa magna di Xi Jinping da parte del gotha dell’economia privata statunitense: le preoccupazioni sia per il calo della domanda interna, sia per certe operazioni che profumano più di politica che di giustizia continuerà a mantenere i rapporti tesi tra i due blocchi e, di conseguenze, a prosciugare il flusso di investimenti stranieri che è fondamentale per ogni economia emergente, in particolare quando vuole mantenere quei livelli di crescita.

Certo, inutile fasciarsi la testa, a Pechino, per un anno in controtendenza. Tuttavia i problemi ci sono, i competitor anche e il rischio che non sia più la tigre cinese a guidare la locomotiva mondiale sono sempre più alti.


Review of:

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 17:18 da Mises Wire

Ever wonder if you were living in the Dystopian States of America? Senator Rand Paul’s Deception: The Great Covid Cover-Up, published October 10, 2023, does not disarm those haunting feelings.

This book is not for those who wish to place everything we have learned during the covid-19 control program in a memory hole. To the contrary, Paul is encouraging those who would pursue the truth to join him in confronting the difficult questions this period raises, including the origin of the covid-19 organism: did it arise naturally and spill over from an animal into the human species, or did it emerge as an accident from the Wuhan Institute of Virology (WIV). He further asks what our government has done to conceal its possible funding of the WIV “gain-of-function” research that was being done there. He explores the tangential issues of the nature of the organism’s transmission and the efficacy of such measures as masking, social distancing, and the selective shutting down of the United States economy and the nation’s educational systems.

Is all of this significant? Certainly, if we accept that a million Americans lost their lives to covid-19, along with five million worldwide.

Senator Paul’s opening salvo is aimed at how the covid-19 organism arose, making a serious case for its having escaped the Wuhan Institute of Virology’s laboratory where Dr. Shi Zhengli had gained an international reputation as the “bat scientist.” Because the book is primarily chronologically oriented, describing Senator Paul’s efforts to get at the truth about the covid-19 pandemic, the reader does not at first learn who the first three victims of covid-19 were. Toward the end of the book, however, we learn their identities. All worked in the WIV, and one, Ben Hu, was a “gain-of-function” researcher and a colleague of Dr. Shi Zhengli.

Was the federal government somehow involved in funding this dangerous gain-of function research? If so, was Dr. Anthony Fauci, the director of the National Institute of Allergy and Infectious Diseases from 1984 to 2022, somehow involved? The book is full of formal interchanges between Senator Paul and Dr. Fauci. If it served no other purpose, reading these exchanges makes Deception an excellent intellectual investment. The reader should be able to determine who is telling the truth.

Likewise, Deception shines a light on the reaction of the mainstream media to those raising questions about the covid-19 control program. How many people have already forgotten the incessant drumming of the party-line message originating in the government—that the virus had jumped from animals in the Wuhan “wet market” to the human population but that Operation Warp Speed would protect Americans by cutting through the bureaucracy and unnecessary prehuman testing to give them a safe and 95 percent effective vaccine against this new pathogen? Also, what did 95 percent effectiveness mean if not that getting the shots would immunize us and prevent transmission in ways that herd immunity could never achieve without a devastating increase in deaths and hospitalizations?

Deception reminds us that there were attendant social actions, either voluntary or coerced, that were promoted as necessary to slow the transmission of the disease. Masking was one of those measures, something visible that separated those socially responsible from those who would recklessly expose their fellow humans to such dangerous pathogens. If one cloth mask was not totally effective, perhaps two would finally trap those nasty viruses. To be really safe, sanitize every surface touched by those disease-transmitting humans with Clorox.

Never mind that the medical profession already knew that surgical masks were ineffective as barriers against the transmission of viral aerosols. Deception reminds us of the basic math that was being ignored, that the pore size of those masks was six hundred times the size of a covid-19 virus organism. Picture taking a handful of dried peas, throwing them against a chain-link fence, and then counting the number that make it through. Deception identifies masking as nothing more than theater.

Deception also reminds us of the lockdowns that were implemented by governments, including our own but excluding Sweden, which chose to keep its economy and schools open with apparently no ill effect. The book emphasizes the critical loss of education and how forced homeschooling differentially affected families. Those that had an adult at home to monitor the homeschooling survived, but what about the many households where this resource did not exist? Were these families that could afford to fall further behind in education?

The lockdown mentality seemed to bring the authoritarians out of the woodwork, but the most damaging of these authoritarians were the state governors wishing to build an image of being tough on disease. Senator Paul notes that these were primarily Democratic governors, but elsewhere, he finds fault with Republicans who were part of the hysteria. He specifically notes how President Donald Trump—who unleashed Operation Warp Speed, which led to the destruction of supply lines—promoted “stimulating” the economy by sending out substantial checks to virtually everybody. Of course, the federal government had no real wealth to disperse so the ongoing effect was inflation and a significant increase in the federal government’s debt.

Deception is not easy reading. There are parts where the average reader will need to work through medical terminology such as furin cleavage sites. This should not deter the typical reader from getting a sense for these concepts and how they fit into the bigger picture. It is the flow of medical logic that matters.

While Deception may be the most comprehensive view of what might be called the covid-19 control program, it is missing the piece about the Nuremberg Code. The Nuremberg Code arose out of the post–World War II decision to convict the Nazi doctors who were guilty of unethical human experimentation. Seven of these individuals were executed for “crimes against humanity.” A thorough comparison of that code with what might be called the covid-19 control program should reveal that all ten items in the code have been violated under the latter control program. That Deception does not address this important piece in understanding the covid-19 years is no criticism of Senator Paul, who has covered so many of the relevant questions from a critical scientific and political perspective.

Although government officials have announced that the covid-19 pandemic emergency is over as of May 11, 2023, we are still living with the aftermath of the pandemic late into 2023. During the emergency period, we have seen the degree of authoritarianism, disinformation, and hysteria that was unleashed for this one pathogen alone. In an essay from the Institute of Medicine Forum on Microbial Threats, Mark Woolhouse and Eleanor Gaunt of the University of Edinburgh warn that “ongoing global ecological change will continue to produce novel infectious diseases at or near the current rate of three per year.”

Do the math. If we accept that the government can declare medical emergencies at will, then we acknowledge that the government is empowered to eliminate our liberties at any time. This is a power even greater than that enjoyed by Adolf Hitler as he rose to become the absolute dictator of Nazi Germany in 1933. If we accept this, we fail to remember the lessons of history.

That, I believe, is Senator Rand Paul’s contribution to liberty. He won’t allow us to forget.


Ezra Klein's Progressivism Cannot Build Anything Socially Useful

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 17:03 da Mises Wire

In 1982, I had the privilege of touring East Berlin with Murray Rothbard and other delegates from the Mont Pelerin Society. At the time, the Western press heaped praise on East Germany for what progressives believed to be the many accomplishments of communism’s most celebrated regime.

Unlike the more capitalistic West Berlin, East Berlin had an administered socialist economy complete with free healthcare. East Germany was proof that socialism could not only build things like an allegedly functioning economy, but also rebuild the Alexanderplatz. This was proof, according to National Geographic, that the communists “had arrived.”

We saw the Alexanderplatz on our city tour, which was a pretty typical Eastern Bloc exercise in sterile architecture. We also saw apartment buildings whose exteriors still showed damage from World War II nearly forty years later, along with a host of rundown buildings and empty sidewalks. This was not an attractive place to live. On the other wide of the wall, the only war-damaged building we could see had been left in that condition on purpose.

There was, however, one structure that was built with exquisite precision and modern technology: the wall that surrounded West Berlin and had been constructed by East German authorities to keep East Germans from escaping into that capitalist hell. This was not just another wall topped with barbed wire—although barbed wire did crown the wall. It had cameras; guard towers from which armed men could see every inch of the wall; and a wide, carefully raked “death strip” that hid land mines under sand and gravel, a veritable construction wonder. East Berlin’s socialist regime could not construct decent housing for its residents, but it could create a state-of-the-art internal security system that efficiently murdered citizens who wanted to leave the country.

Despite their totalitarian nature and absolute power over the lives of their citizens, Communist governments such as that in East Germany were powerless to build anything of quality that could serve East German consumers. There were no groups like the Sierra Club or the American Civil Liberties Union to get in the way of their plans for the economy, but despite the lack of opposition to their projects, these governments had little to show for the resources they consumed.

Yet one of the leading progressive journalists in the United States, Ezra Klein, laments that progressive regimes in this country from California to DC cannot “build” anything because they don’t have enough centralizing power. He writes in the New York Times:

(Brian) Deese, in his speech to the Economic Club of New York, declared the debate over: “The question should move from ‘Why should we pursue an industrial strategy?’ to ‘How do we pursue one successfully?’”

I am unabashedly sympathetic to this vision. In a series of columns over the past year, I’ve argued that we need a liberalism that builds. Scratch the failures of modern Democratic governance, particularly in blue states, and you’ll typically find that the market didn’t provide what we needed and government either didn’t step in or made the problem worse through neglect or overregulation.

We need to build more homes, trains, clean energy, research centers, disease surveillance. And we need to do it faster and cheaper. At the national level, much can be blamed on Republican obstruction and the filibuster. But that’s not always true in New York or California or Oregon. It is too slow and too costly to build even where Republicans are weak—perhaps especially where they are weak.

This is where the liberal vision too often averts its gaze. If anything, the critiques made of public action a generation ago have more force today. Do we have a government capable of building? The answer, too often, is no. What we have is a government that is extremely good at making building difficult.

Klein is not writing about the building of a privately financed housing development produced outside state directives, or a new production facility, or at least not one financed by tax dollars. He is not interested in building per se, but rather in conspicuous projects that are directed by the political system and can benefit politicians.

For example, in another article, Klein writes of the California state’s struggle to produce 100 percent of electricity in the state via “renewable” sources such as solar and wind. Writes Klein:

The environmental movement (in California) is dealing with a bit of dog-that-caught-the-car confusion these days. Hundreds of billions of dollars are pouring into infrastructure for clean energy, and decarbonization targets that were once out of the question are being etched into law. That’s particularly true in California, which has committed to being carbon neutral and to running its electricity grid on 100 percent clean energy by 2045.

Hitting these goals requires California to almost quadruple the amount of electricity it can generate—and shift what it now gets from polluting fuels to clean sources. That means turning huge areas of land over to solar farms, wind turbines and geothermal systems. It means building the transmission lines to move that energy from where it’s made to where it’s needed. It means dotting the landscape with enough electric vehicle charging stations to make the state’s proposed ban on cars with internal combustion engines possible. Taken as a whole, it’s a construction task bigger than anything the state has ever attempted, and it needs to be completed at a speed that nothing in the state’s recent history suggests is possible.

One does not need to read Ludwig von Mises’s Socialism or Bureaucracy to know that Klein is writing near gibberish. While Klein would never admit to having an East German view of political economy, we are seeing just that, a view that a government can administer an entire economy by fiat. Although Klein has a moment of clarity when he explains exactly what would have to happen for California’s so-called clean energy goals to come to fruition, he still assumes that government can order such a state of affairs into being.

To Klein, the kind of massive production needed really is not an economic question at all. Instead, it is a matter of having the political will to embrace new rules of efficiency. Addressing a paper by Brink Lindsey of the Niskanen Center, Klein writes:

But a weak government is often an end, not an accident. Lindsey’s argument is that to fix state capacity in America, we need to see that the hobbled state we have is a choice and there are reasons it was chosen. Government isn’t intrinsically inefficient. It has been made inefficient. And not just by the right [quoting Lindsey]:

What is needed most is a change in ideas: namely, a reversal of those intellectual trends of the past 50 years or so that have brought us to the current pass. On the right, this means abandoning the knee-jerk anti-statism of recent decades; embracing the legitimacy of a large, complex welfare and regulatory state; and recognizing the vital role played by the nation’s public servants (not just the police and military). On the left, it means reconsidering the decentralized, legalistic model of governance that has guided progressive-led state expansion since the 1960s; reducing the veto power that activist groups exercise in the courts; and shifting the focus of policy design from ensuring that power is subject to progressive checks to ensuring that power can actually be exercised effectively.

In other words, just unleash the unlimited power of the state, and as long as someone sets policy goals, everything should be fine. According to Klein, if progressives simply would change their outlooks and encourage progressive state and national governments to act as though there were no barriers, then we would see vast solar and wind farms, brand new electrical grids, and high-speed rail because the power of government finally could be unleashed. How do we know this? We accept it on faith.

Progressives clearly do not understand the importance of economic calculation, and even when confronted with that reality, they simply dismiss it as something that can be subjugated to political will. Austrian economists recognize that California’s so-called energy targets really are political goals, not economic ones. Deciding whether these targets are possible and economically desirable requires planners to examine the opportunity costs of these projects, what resources must be employed, where they should be directed, and what others must give up during the process.

In Klein’s world, costs don’t matter and neither does entrepreneurship. One should simply unleash government power, set a few goals, and watch the magic happen. But in the end, it is not environmental advocates or other litigious interest groups—or even limited-government conservatives—that keep the state from performing the production miracles Klein believes it can achieve.

Instead, it is what Ludwig von Mises so aptly pointed out more than a century ago in Socialism: economic calculation matters. Understanding the relationship between factors of production and final goods matters. Allowing market prices to establish those factor relationships matters.

Even if one could unleash California’s government in a way that would meet with his approval, the energy goals Klein presented could never be met, even if it were theoretically possible to build all the renewable-energy infrastructure needed to produce enough electricity. Costs are real things; they are not abstractions, nor are they irrelevant to stated political goals. The government failures of which Klein writes are not due to limits that outsiders impose, but rather to the reality of scarcity that costs matter, and matter greatly.


Can Milei Really Shut Down Argentina's Central Bank?

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 16:48 da Mises Wire

The monumental fiscal and monetary hole that Peronists Massa and Fernández have left for Javier Milei is difficult to replicate. Ex-president Mauricio Macri himself explained that the inheritance Milei receives is “worse” than the one he found from Cristina Fernández de Kirchner. Peronism leaves a country in ruins and with a massive time bomb for the next administration.

The enormous economic problems of Argentina start with a primary fiscal deficit of 3% of GDP and a total deficit (including interest expenses) exceeding 5% of GDP. Moreover, it is a structural deficit that cannot be reduced unless public spending is slashed. Public expenditure already accounts for 40% of GDP and has doubled in the era of Kirchnerism. If we analyze Argentina’s budget, up to 20% is purely political spending. The previous left-wing administration only cut spending on pensions, which were half of the adjustment in real terms, according to the Argentine Institute of Fiscal Analysis.

Massa and Fernández’s interventionist policies and price controls have left a shortage of meat and gasoline in a country rich in oil and livestock, demonstrating again what Milton Friedman said: “Will we read next that government control of prices has created a shortage of sand in the Sahara?”

We must not forget that the Fernandez administration leaves Argentina with an annual inflation rate of 140% following an insane increase in the monetary base of more than 485% in five years, according to the Central Bank of Argentina.

This confiscatory and extractive fiscal and monetary policies have created a disaster in the central bank reserves. Fernandez leaves a bankrupt central bank with negative net reserves of $12 billion and a time bomb in remunerated liabilities (Leliqs) that exceed 12% of GDP and effectively mean more money printing and inflation in the future, when they mature. With a country risk of 2,400 basis points, the self-proclaimed “socialism of the 21st century” government has left Argentina and its central bank officially bankrupt, with 40% of the population in poverty and with a failed currency.

Milei must now confront this poisoned legacy with determination and courage. Macri, who suffered from the error of gradualism, recently argued that there was no room for mild measures, and he is right.

Milei has promised to shut down the central bank and dollarize the economy. However, can it be accomplished?

The answer is yes. Absolutely.

To understand why Argentina must dollarize, the reader must know that the peso is a failed currency that even Argentine citizens reject. Most Argentine citizens already save what they can in US dollars and conduct all major transactions in the US currency, because they know that their local currency will be dissolved by government interventionism. The government has 15 different exchange rates for the peso, all fake, of course, all of which have only one objective: to steal from citizens their US dollars at a fake exchange rate.

The central bank is bankrupt, with negative net reserves, and the peso is a failed currency. Therefore, shutting down the central bank is essential, and the country needs to have an independent regulator without the power to print currency and monetize all the fiscal deficit, and it must eliminate the possibility of issuing the insane Leliq (remunerated debt) that destroys the currency today and in the future.

Shutting down the central bank requires an immediate and strong solution to the Leliqs, which will have to include a realistic approach to the monetary mismatch in a country where the “official exchange rate” is half the real market rate against the US dollar. Taking a bold step to recognize this monetary mismatch, closing the central bank, and ending the monetization of debt are three essential steps to end a path to the destruction of a country comparable to that of Venezuela. Milei understands this and knows that the US dollars that citizens save with enormous difficulty should flow back to the domestic economy by recognizing the monetary reality of the country making the US dollar a legal tender for all transactions.

The monetary issue is one side of a hugely problematic coin. The fiscal problem needs to be addressed. Milei needs to put an end to the bloated fiscal deficit, and that requires an adjustment that eliminates political spending without destroying pensions. This must involve selling some of the many inefficient and bloated public companies and the excess spending in purely political subsidies. Secondly, Milei must put an end to the ridiculous trade deficit. Argentina must slash the misguided protectionist and interventionist laws if the Peronists are open to the world to export all they can. To do this, it needs to put an end to the ridiculous “currency exchange rate clamp” and the 15 false exchange rates that the government uses to expropriate dollars from citizens and exporters with unfair rates and confiscations.

Taxes need to be lowered in a country that has 165 taxes and the highest tax wedge in the region, where small and medium-sized enterprises pay up to 100% of their sales.

Argentina must change what is currently a confiscatory and predatory state. Additionally, bureaucratic barriers, protectionist measures, and political subsidies must be removed. Furthermore, Milei must ensure legal certainty and an attractive and reliable regulatory framework where the ghost of expropriation and institutional theft does not return.

Milei’s challenges are many, and the opposition will try to sabotage all market-friendly reforms because many politicians in Argentina became very powerful and rich turning the country into a new Venezuela.

If Argentina wants to become a thriving economy that returns to prosperity, it needs a stable macroeconomic and monetary system. It must recognize it has a failed currency and a bankrupt central bank and implement the urgent measures required as quickly as possible. It will be difficult but not impossible, and the potential of the economy is enormous.

Argentina was a rich country made poor by socialism. It needs to abandon socialism to become rich again.


111 - FACCIAMO SALTARE L'EURO

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 15:56 da Mises Disse Frammenti di Prasseologia

di Gary North

Questa è una critica ad un articolo di Jesus Huerta De Soto, pubblicato sul sito del Mises Institute: “Una Difesa Austriaca dell’Euro.”

In questo articolo, ho dovuto aprire degli armadi per tirare fuori molti scheletri. Questi ultimi sono rimasti appesi lì dentro per 70 anni in piena vista, ma sono stati ignorati. De Soto ha forzato la mia mano.

MISES E ROTHBARD SUL SETTORE BANCARIO

De Soto inizia con una sintesi del sistema monetario della teoria Austriaca. Comincia con la posizione di Rothbard: un sistema bancario con riserva del 100%. Ciò significa che le banche non possono legalmente emettere ricevute di deposito per oro o argento che non hanno in deposito. Non possono legalmente emettere assegni per più denaro di quello che hanno in deposito.

Questa restrizione si oppone in teoria alla norma proposta da Ludwig von Mises. Mises credeva nel free banking. Non credeva che il governo dovesse stabilire un qualsiasi obbligo di riserva per le banche commerciali, perché non si fidava di una decisione giudiziaria del governo da dover applicare a tutte le banche. Non si fidava della capacità dei politici di esprimere un giudizio per quanto riguardava la percentuale corretta. Egli credeva che il sistema bancario, attraverso la competizione, e attraverso l’applicazione dei contratti, potesse stabilire il giusto rapporto di riserva.

Rothbard promosse un sistema bancario a riserva del 100%. Ma c’è qualcosa che non è mai menzionato dai Rothbardiani in relazione al settore bancario: Rothbard era un anarchico. Non credeva nemmeno che lo stato dovesse esistere. Pertanto, nel suo sistema bancario ideale, è impossibile per lo stato imporre un obbligo di riserva del 100%, perché non c’è stato. Non c’è agenzia con il diritto legale che possa inviare un agente con un distintivo ed una pistola per dire ad un banchiere quanto oro o argento dovrebbe avere in riserva per i conti.

Ciò significa che, in pratica, il sistema del free banking di Mises è lo standard operativo per coloro che sono seguaci di Rothbard sul tema delle banche e del governo civile. Se non c’è stato che imponga una riserva bancaria del 100%, allora il sistema deve operare in termini di un sistema bancario guidato dal mercato. Mentre i due sistemi sono opposti in teoria, sarebbero la stessa cosa in pratica.

Ho visto questo problema nel 1966. Non l’ho mai visto discusso, anche se alcuni specialisti possono averlo discusso. Questo problema venne a galla in una classe informale in cui insegnavo nel 1966. (Mi ricordo delle date in modo chiaro. Insegnavo in piccole classi una volta al mese, e una delle lezioni si è tenuta la notte in cui Texas Western sconfisse Kentucky nel campionato di basket NCAA Division I).

Come ideale etico, la riserva bancaria al 100% è corretta. Non conosco nessun libro che lo spieghi meglio del libro di De Soto sulla teoria bancaria Austriaca: Denaro, Credito Bancario, e Cicli Economici. Ma, in pratica, i politici finiranno per essere corrotti dai banchieri, e quindi i politici dovrebbero stare alla larga da tutta la legislazione relativa all’obbligo di riserva. Dovrebbero essere i tribunali a decidere. I giudici sono probabilmente più affidabili nel far rispettare i contratti rispetto ai politici.

Il fatto cruciale è questo: i banchieri non si fidano degli altri banchieri, e se il sistema giudiziario permette ai banchieri di fare assalti agli sportelli bancari dei loro fratelli per richiedere pagamenti in oro o argento, a seconda del contratto/ricevuta, il sistema è più probabile che si avvicinerà alla riserva bancaria del 100% rispetto ad un sistema in cui i legislatori decidono quale sia la riserva corretta.

De Soto prevede tre riforme. In primo luogo, egli chiede una riserva bancaria del 100%. Ma non è un anarchico, quindi non richiede la versione presentata da Rothbard, per quanto posso capire. Crede nei tribunali civili. Se sbaglio su questo, allora il suo libro sulla teoria dell’evoluzione del diritto Occidentale, che ripercorre la sostituzione di una nuova dottrina del contratto dei giudici, che ha permesso la riserva frazionaria, sarebbe irrilevante in un mondo senza stato. Poi la mia osservazione su Rothbard si applicherebbe anche a lui.

In secondo luogo, chiede l’abolizione di tutte le banche centrali. Questo è certamente coerente con entrambe le posizioni di Mises e Rothbard.

IL GOLD STANDARD CLASSICO

In terzo luogo, commette un catastrofico errore concettuale, uno che indebolisce in teoria e in pratica l’economia Austriaca. Invoca “un ritorno ad un gold standard classico, come unico standard monetario mondiale che porterebbe ad un’offerta di moneta che le autorità pubbliche non riuscirebbero a manipolare e che potrebbe limitare e disciplinare le attese inflazionistiche del diversi agenti economici.”

No, no, no, mille volte no. Ho scritto più volte su questo argomento. Il gold standard classico è sempre stato un gold standard contraffatto. Era un gold standard in cui i governi civili avevano il controllo sulle condizioni di scambio tra le loro rispettive valute nazionali e l’oro. Ogni governo prometteva di riscattare la propria moneta nazionale ad un peso e finezza specifici d’oro.

Il governo possedeva il sistema monetario. Era statalista fino al midollo.

Ovviamente, un tale sistema non è coerente con la teoria della scuola Austriaca. La posizione della scuola Austriaca è che il governo non dovrebbe avere alcun ruolo nel sistema della moneta nazionale, se non quello di istituire un sistema giudiziario che deve interpretare i contratti. Qualsiasi riforma monetaria che tenta di ristabilire il gold standard classico accetta un sistema di promesse del governo.

Il gold standard classico era un sistema di IOU emessi dai politici. Era un sistema che si sarebbe trasformato in una certa varietà di economia guidata dallo stato. La forma più familiare è stato il controllo della banca centrale a garanzia di un eventuale default del governo sulle promesse di rimborsare l’oro ad un tasso fisso.

È per questo che il gold standard classico si trasformò in un completo standard fiat in Europa a poche settimane dallo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Era un sistema che era concettualmente e moralmente corrotto fin dall’inizio, perché aveva lo stato come garante della valuta statale. Si trattava della rivisitazione dell’Impero Romano. Questa è la base di ogni sistema monetario fiat che sia stato inventato. Si basa sul presupposto che le promesse dello stato, per quanto riguarda il tasso legale di cambio tra l’oro ed il sistema monetario cartaceo statale, possono essere affidabilmente stabilite dallo stato e poi applicate dagli agenti dello stato. Pertanto, il gold standard classico del XIX secolo era completamente ed assolutamente inaffidabile.

Era una truffa colossale progettata per togliere al popolo le sue monete d’oro. Era una gigantesca frode istituita dai politici per creare la fiducia nella moneta dello stato. Fu progettata soprattutto dalla Banca d’Inghilterra, un monopolio privato a riserva frazionaria creato dal governo. La strategia era quella di convincere i cittadini a girare le monete d’oro alle banche commerciali. Le banche davano una promessa al depositante: il rimborso dell’oro su richiesta. Lo stato garantiva questi contratti. La banca centrale permetteva la riserva frazionaria. Il Tesoro del governo stava dietro alle banche. Consegnava l’oro su richiesta.

Questo era così vistosamente ed ovviamente statalista e corrotto che è inconcepibile per me che un qualunque Rothbardiano possa promuoverlo. Ma De Soto lo promuove. Non lo promuove come un sistema di seconda scelta. Lo promuove come una delle tre riforme fondamentali che gli economisti della scuola Austriaca dovrebbero promuovere. Riferendosi alle sue tre riforme, scrive:

Come abbiamo detto, le prescrizioni di sopra ci permetterebbero di risolvere tutti i nostri problemi alla radice, favorendo uno sviluppo economico e sociale sostenibile mai visto nella storia. Inoltre, queste misure possono sia indicare quali riforme incrementali rappresenterebbero un passo nella giusta direzione, permettendo un giudizio più solido sulle diverse alternative della politica economica nel mondo reale. E’ solo da questo punto di vista strettamente circostanziale e possibilista che il lettore dovrebbe visualizzare l’analisi Austriaca relativa al “sostegno” dell’euro che miriamo a sviluppare nel presente documento.

La terza riforma garantisce il fallimento delle prime due riforme.

Poi arriva ad un secondo errore concettuale. Scrive:

2. La Tradizione Austriaca del Sostegno dei Tassi di Cambio Fissi contro il Nazionalismo Monetario ed i Tassi di Cambio Flessibili

No, no, no, mille volte no.

La posizione Austriaca sui tassi di cambio è sempre stata la stessa: tassi di cambio flessibili. Che cos’è un tasso di cambio flessibile? Si tratta di un tasso di cambio fissato interamente dal libero mercato, in cui il governo non ha voce alcuna.

Qualsiasi tasso di cambio di governo che viene stabilito per legge, che è il significato di tutti i tassi di cambio fissi, è un controllo sui prezzi. Tutti i controlli sui prezzi crollano. Tutti i controlli sui prezzi sostituiscono al libero mercato la coercizione. Tutti i controlli sui prezzi sono basati su qualcuno con un distintivo, una pistola, ed un divieto di scambio volontario.

E’ inconcepibile per me che De Soto abbia commesso questo errore concettuale. Cade nell’errore che è stato gettato in faccia agli Austriaci dagli economisti della scuola di Chicago per oltre mezzo secolo. Vedono — come gli Austriaci che promuovono i tassi di cambio fissi non vedono — che gli economisti della scuola di Chicago stanno difendendo il libero mercato, e gli Austriaci stanno difendendo il controllo sui prezzi del governo.

Nel gold standard classico, il governo stabilisce inizialmente un tasso legale di cambio fisso tra la sua moneta fiat e l’oro, sia monete d’oro che lingotti d’oro. Questa è una menzogna che verrà rotta.

Poi il libero mercato, non un ente governativo, stabilisce un tasso variabile di cambio tra questo sistema gold standard garantito dal governo e tutte le altre valute. Il tasso di cambio di mercato stabilisce il grado di fiducia della popolazione in quella che è una bugia di un governo rispetto ad una menzogna di un altro governo. Tutti i governi mentono per quanto riguarda il rimborso dell’oro. Nessun IOU ufficiale sarà onorato nel lungo termine da alcun governo. Tutti mentono. Se questa non è la posizione Austriaca sulle promesse dei politici, allora non capisco la posizione Austriaca.

Quando il Governo A dice che scambierà (diciamo) 35 unità della sua valuta per un’oncia d’oro, ed il Governo B promette che scambierà 35 unità della sua valuta per un’oncia d’oro, il libero mercato istituirà probabilmente un tasso di cambio 1:1 tra le due valute. Perché? Perché il libero mercato stabilisce un tasso di cambio 1:1 tra un’oncia d’oro ed un’altra oncia d’oro della stessa finezza. Perché il Governo A ha emesso una bugia per cui scambierà sempre la propria valuta a 35 a 1, ed il Governo B ha emesso una bugia per cui farà lo stesso, le due valute si scambieranno all’incirca allo stesso rapporto fino a quando la popolazione non si renderà conto quale sarà il governo che romperà per primo la sua promessa.

Questo non è un sistema di tassi di cambio fissi tra le valute nazionali. Si tratta di un tasso di cambio fisso tra la valuta nazionale di un governo e l’oro, ed un altro tasso di cambio fisso tra un’altra valuta nazionale e l’oro.

Il tasso di cambio fisso di ogni governo nazionale — il prezzo dell’oro garantito dal governo — è una menzogna conveniente, e finirà per essere rotta.

Eventuali disaccordi fin qui? Oltre all’Impero Bizantino dal tempo di Costantino fino al XIV secolo, ci sono state delle eccezioni? Il sistema monetario Bizantino era un gold coin standard. Non c’erano IOU per l’oro emessi dal governo che servivano come moneta.

Tutti i tassi di cambio fissi sono bugie. Solo il mercato può tranquillamente stabilire un tasso di cambio, ed i tassi di cambio fluttueranno in termini di percezione degli investitori delle condizioni della domanda e dell’offerta, cosa che include la loro percezione dell’affidabilità dei vari governi menzogneri nel breve termine. Tutti i governi mentono, ma alcuni di loro rompono le promesse più spesso di altri.

De Soto continua.

Tradizionalmente, i membri della scuola Austriaca di economia hanno percepito come, fintanto che il sistema monetario ideale non viene raggiunto, molti economisti, soprattutto quelli della scuola di Chicago, commettano un grave errore di teoria economica e prassi politica quando difendono i tassi di cambio flessibili in un contesto di nazionalismo monetario, come se entrambi fossero in qualche modo più adatti ad un’economia di mercato.

Questa affermazione è fuorviante. Comunque, spero che sia fuorviante, perché se è vera, allora gli economisti della scuola Austriaca sono irrecuperabilmente ingenui.

Gli economisti della scuola Austriaca che promuovono un gold standard tradizionale (denaro fiat travestito) non sono diversi in linea di principio dagli economisti della scuola di Chicago che promuovono apertamente uno standard di denaro fiat. Qualsiasi promessa garantita dal governo di rimborsare la propria valuta per l’oro è uno standard monetario fiat. L’agenzia di imposizione è il governo stesso. Romperà la sua promessa ad un certo punto.

Il governo si sottrarrà ad un certo punto. Le banche commerciali metteranno inizialmente le mani sulle monete d’oro della popolazione, e quindi la banca centrale ruberà le monete a nome del governo. Questo è quello che è successo nelle prime settimane della Prima Guerra Mondiale. Era quello che il governo degli Stati Uniti fece nel 1861, mentre la Guerra Civile si stava espandendo. Permise alle banche commerciali di andare in default. Poi le banche comprarono titoli di stato con i soldi fiat. Così è come funziona il governo.

Quindi, chiunque promuova un gold standard garantito dal governo è semplicemente un altro promotore del denaro fiat. La sua teoria del denaro non è diversa dalla teoria degli economisti della scuola di Chicago. Un gold standard garantito dal governo è diverso da uno standard di denaro fiat solo nei tempi e nel grado di illusione coinvolti. La scuola di Chicago accetta l’attuale sistema monetario fiat: nessun controllo del governo sui prezzi (tassi fissi di cambio). Il tradizionale sostenitore del gold standard accetta il gold standard pre-1914: una promessa falsa che venne convertita in uno standard di denaro fiat. Ecco una regola fondamentale: “Ogni volta che il governo si fa la croce sul cuore e promette che dovesse morire in caso di inadempienza alle sue promesse, anche voi morirete se ci crederete.”

“Fiat” significa “a voce.” Denaro fiat vuol dire denaro creato dalla parola del governo. Il gold standard tradizionale era una moneta fiat standard: nato da una promessa del governo di rimborsare la cartamoneta per l’oro.

Ci sono solo tassi di cambio fluttuanti in un sistema di libero mercato, e chiunque pensa che una garanzia statale di un tasso di cambio fisso venga mantenuta in modo permanente è irrecuperabilmente ingenuo.

De Soto scrive:

Al contrario, gli Austriaci ritengono che fino a quando le banche centrali non verranno abolite e non verrà ristabilito un gold standard classico con una riserva obbligatoria del 100% nel settore bancario, dobbiamo indirizzare ogni tentativo al fine di portare l’attuale sistema monetario più vicino a quello ideale, sia in termini del suo funzionamento sia nei suoi risultati.

Fin qui, tutto bene.

Questo significa limitare il nazionalismo monetario per quanto possibile, eliminando la possibilità che ogni paese possa sviluppare la propria politica monetaria, e limitando le politiche inflazionistiche di espansione del credito, per quanto possiamo, creando un quadro monetario che disciplina, per quanto possibile, gli agenti economici, politici e, soprattutto, i sindacati e gli altri gruppi di pressione, tra cui politici e banche centrali.

Questo è un prodotto civetta. Questa è la promozione dell’internazionalizzazione del denaro fiat. Questa è la promozione di pianificatori centrali con distintivi e pistole che inviano burocrati al fine di costringere i cittadini di varie nazioni ad accettare la moneta del Nuovo Ordine Mondiale di Jean Monnet.

Mi sono opposto a ciò per tutta la mia vita. Dal giorno che ho imparato quello che stava promuovendo Monnet, e aveva promosso sin dalla Conferenza di Pace di Versailles del 1919, mi sono opposto all’idea di un commercio manipolato e distinto dal libero scambio. Una valuta fiat internazionale e manipolata non è collegata a nulla di Austriaco che mi viene in mente. E’ un altro esempio del trasferimento di sovranità giudiziaria verso i pianificatori centrali. La popolazione Europea nel 1999 è stata ingannata sistematicamente dopo aver accettato la resa della sovranità nazionale su questa base: la promessa di una moneta stabile. Abbiamo visto come questa promessa sia saltata in aria, come è saltata in aria ogni altra promessa di stabilità monetaria da parte di agenti del governo.

Era tutta una farsa. Dal giorno in cui Monnet e Robert Schuman supportarono il trattato della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio nel 1951 fino al prossimo vertice di emergenza in Europa, il piano è sempre stato lo stesso: forzare una burocrazia internazionale al di sopra della sovranità delle nazioni. Questa è l’essenza del Nuovo Ordine Mondiale.

SCHELETRI NELL’ARMADIO

La Fondazione Rockefeller assunse Mises per scrivere Omnipotent Government (1944). Fece riferimento a ciò a pagina V. Perché la Fondazione Rockefeller mise questo denaro? Al fine di promuovere l’internazionalismo politico del dopoguerra.

Questa era stata l’agenda di John D. Rockefeller Jr. sin da quando nominò il suo agente, Raymond Fosdick, alla Conferenza di Versailles come pianificatore Americano. Lì, Fosdick e Monnet pianificarono la Società delle Nazioni come primo passo verso il governo mondiale.

Fosdick era un funzionario pubblico minore nella città di New York quando fu assunto da Rockefeller, per agire per conto di Rockefeller. Era il 1913. Rockefeller cominciò a pagarlo $10,000 l’anno, che sono l’equivalente di $200,000 di oggi, tranne che il 1913 era il primo anno dell’imposta sul reddito, con tariffe per la maggior parte delle persone ben al di sotto del 6%.

La carriera di Fosdick sbocciò. Nel 1919, era il Sottosegretario Generale Americano nella commissione di Pace di Versailles/Società delle Nazioni. Lavorò a stretto contatto con Monnet, che era Sottosegretario della Francia. La Società delle Nazioni era stata appena formata, anche se gli Stati Uniti non erano ancora parte di essa, e mai lo sarebbero stati. Nel 1919, Fosdick inviò una lettera a sua moglie. Le disse che lui e Monnet stavano lavorando quotidianamente per porre le basi ad una “struttura di governo internazionale.” [31 Luglio 1919; in Fosdick, ed., Letters on the League of Nations (Princeton, New Jersey: Princeton University Press, 1966), p. 18.]

Questa non era una vanteria. Fosdick tornò negli Stati Uniti nel 1920 quando il Senato si rifiutò di ratificare il trattato della Società delle Nazioni. Subito andò a lavorare a tempo pieno per Rockefeller come capo della Fondazione Rockefeller. Nel 1958, scrisse l’unica biografia ufficiale di Rockefeller. Suo fratello, Harry Emerson Fosdick, divenne parroco di Rockefeller nel 1925, per il quale Rockefeller costruì la Chiesa di Riverside.

Ho scritto su questo argomento sul sito di Lew Rockwell: http://www.lewrockwell.com/north/north381.html

Sotto Fosdick, la Fondazione Rockefeller perseguì il piano di Fosdick-Monnet del 1919. I membri anziani dello staff capirono che la promozione del free banking e del libero scambio da parte di Mises poteva essere utilizzata come uno dei pilastri di un piano per porre tutte le economie Occidentali nel Nuovo Ordine Mondiale dopo la Seconda Guerra Mondiale.

Questo era stato il programma anche prima della Guerra. La Fondazione Rockefeller portò Wilhelm Röpke ad una conferenza sull’economia internazionale nel 1937. Lo aveva assunto fin dal 1927. Da questa conferenza venne fuori il suo libro, International Economic Disintegration. Ringraziò la Fondazione per il suo sostegno a pagina VII.

Il libero commercio (senza dazi e quote) fa parte dell’agenda di tutta l’economia post-Adam Smith. Ma anche dazi bassi o nulli sono stati parte del programma degli internazionalisti politici. Il libero commercio è un’estensione di un’analisi che inizia con Smith e Jones, i quali commerciano. Il commercio manipolato è un’estensione di un’analisi che inizia con un programma politico: la distruzione dei confini nazionali. L’economista inizia con l’individualismo metodologico. La politica internazionalista comincia con il collettivismo metodologico.

Gli internazionalisti sono al controllo. Hanno i soldi e il potere. Assumono dottrine liberiste. Perché? In modo da integrare i benefici strutturali della teoria del libero scambio nel loro programma di commercio gestito da burocrazie trans-nazionali non elette.

La stessa disposizione prevale all’interno degli Stati Uniti. L’uso della clausola del commercio ha sostituito la sovranità statale sul mercato. Promuove un commercio interno manipolato. La Costituzione abolì i dazi alle frontiere statali. Gli statalisti hanno sostituito il libero scambio con il commercio manipolato. Questo è sempre l’andamento. Prima arriva la promessa di dazi bassi o nulli: tasse basse sulle vendite. Poi arrivano i burocrati del governo centrale. “Definiremo i termini dello scambio. Capito?” Arrivano con distintivi e pistole.

La Fondazione Rockefeller spese soldi per assumere economisti della scuola Austriaca per promuovere il libero scambio, ma il suo programma definitivo è sempre stato la creazione del Nuovo Ordine Mondiale: un governo centrale supremo sulla sovranità nazionale. L’agenda del NWO si è sempre mossa verso uno stato mondiale e pianificato a livello centrale.

NAFTA, WTO, E L’EURO

Mi sono sempre opposto al NAFTA ed all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO) per la stessa ragione per cui mi sono opposto all’euro e all’Unione Europea. Mi oppongo a tutte queste cose perché non si basano sul principio del libero scambio, del libero mercato e della proprietà privata. Si basano sul principio del commercio manipolato, dei mercati manipolati e della pianificazione internazionale fascista: l’amata alleanza governo-finanza.

Chiunque promuova l’euro, tra cui De Soto, è stato fregato dal piano del Nuovo Ordine Mondiale per confondere gli economisti di libero mercato e trasformarli in promotori del Nuovo Ordine Mondiale in nome del libero mercato.

De Soto si oppone al nazionalismo monetario. Dico questo: se il nazionalismo monetario fosse l’unica opzione politica disponibile al posto del denaro fiat e della pianificazione centrale dei banchieri centrali del Nuovo Ordine Mondiale, allora sarebbe meglio avere il nazionalismo monetario. Se si tratta di una questione Banca Centrale Europea contro le banche centrali delle nazioni Europee, meglio avere un decentramento.

De Soto vive in Spagna. Vive in una economia PIIGS. Le mie condoglianze. Ma se fossi un Tedesco, direi “andiamocene finché possiamo.”

La zona euro è un sistema giudiziario che impone un prodotto civetta. Arruola economisti di libero mercato e uomini d’affari nel programma del Nuovo Ordine Mondiale di un commercio manipolato, di una resa della sovranità nazionale, e della creazione di una burocrazia internazionale che gli elettori locali non possono cacciare via.

E, per la cronaca, supporto la stessa posizione al riguardo della Costituzione degli Stati Uniti, che fu il primo tentativo riuscito di utilizzare l’obiettivo del libero scambio per fare in modo che i politici a livello statale cedessero la sovranità statale ad un sistema centralizzato di governo. Questo nuovo governo centralizzato non era apertamente e chiaramente disciplinato da uno standard di metalli preziosi, e subito invocò un’enorme debito nazionale e la creazione di una banca centrale nazionale, di proprietà privata, ma operativa con il monopolio (donato dal governo centrale) del controllo su tutte le altre banche.

Questo programma è sempre un prodotto civetta, e di solito funziona. Funziona ogni volta, e qualche economista di libero mercato se ne esce come una cheerleader dell’intera operazione civetta. Egli ci dice che la creazione centralizzata dei denaro fiat è superiore al denaro nazionale fiat. Questo favorisce la sostituzione del sistema di pianificazione centrale del Nuovo Ordine Mondiale a tutto il resto, vale a dire il commercio manipolato, tutto in nome della difesa dell’integrità di uno standard monetario fiat internazionale. Significa una banca centrale comune. Significa una burocrazia internazionale al di sopra della sovranità nazionale.

Ricordo la battuta finale di un fumetto del 1928 sul New Yorker, dove la madre dice: “Sono broccoli, cara.” La bambina non viene ingannata. “Io dico che sono spinaci, e dico al diavolo.”

Possiamo vedere come questo progetto stia funzionando oggi. Gli Eurocrati stanno puntando al fallimento dell’euro, e stanno chiedendo la resa del diritto dei governi nazionali sulle loro politiche di spesa, affinché venga trasferita ai burocrati internazionali operanti a Bruxelles.

De Soto vede l’euro come il meglio delle idee del libero mercato, non come parte di un piano che risale almeno al 1919.

E’ solo in questo contesto che dovremmo interpretare la posizione di tali eminenti economisti Austriaci (e illustri membri della Mont Pelerin Society) come Mises e Hayek.

Al contrario, dovremmo vedere l’intera operazione come un’estensione della visione di Jean Monnet e della visione delle persone che lo hanno finanziato.

TASSI DI CAMBIO

De Soto affronta la questione dei tassi di cambio. Egli invoca Hayek

Ad esempio, vi è l’analisi notevole e devastante contro il nazionalismo monetario ed i tassi di cambio flessibili che Hayek cominciò a sviluppare nel 1937 nel suo eccezionale libro, Monetary Nationalism and International Stability. In questo libro, Hayek dimostra che i tassi di cambio flessibili ostacolano un’allocazione efficiente delle risorse a livello internazionale, in quanto distorcono i flussi reali di consumo e di investimento. Inoltre, rendono inevitabile l’avvento di reali adeguamenti necessari al ribasso dei costi tramite un aumento in tutti gli altri prezzi nominali, in un ambiente caotico di svalutazioni competitive, espansione del credito ed inflazione, che incoraggia e sostiene tutti i tipi di comportamenti irresponsabili dei sindacati, i quali premono continuamente il tasto dei salari e delle esigenze lavorative, le quali non possono che essere soddisfatti con un aumento della disoccupazione se l’inflazione viene ulteriormente spinta verso l’alto.

Vedete l’errore concettuale di Hayek? Hayek non iniziò con l’individuo che agisce. Adottò invece il modello statalista per confrontare l’allocazione internazionale delle risorse.

La domanda suprema non è l’allocazione internazionale delle risorse; bensì è la questione della libertà di un individuo di fare un accordo volontario con un altro individuo. Hayek si lasciò trasportare dalla metodologia dell’analisi statalista sin dall’inizio. Non accettò mai la metodologia molto più individualista di Mises. Così, analizzò la situazione monetaria dal punto di vista delle valute nazionali, della ripartizione nazionale del capitale e dei tassi di cambio flessibili.

Fatto: tutti i tassi di cambio sono flessibili se sono volontari. Tutti i tassi di cambio sono flessibili se non c’è un funzionario con un distintivo ed una pistola puntata alla pancia di uno degli scambiatori.

Perché non è possibile che i difensori del libero mercato non lo capiscono? Potreste pensare che tra tutti gli economisti, gli economisti Austriaci lo capirebbero. Dicono di iniziare con l’epistemologia dell’individualismo metodologico. Dicono di costruire la loro tesi in termini di scambio volontario tra gli individui. Perché, allora, argomentano contro i tassi di cambio flessibili in termini della presunta inefficienza dei tassi di cambio flessibili? Questo è un rifiuto categorico dei presupposti epistemologici della scuola Austriaca.

Gli Austriaci sostengono che i tassi di cambio flessibili tra Jones e Smith portano ad una maggiore libertà e ad una maggiore ricchezza. E allora perché alcuni di loro sostengono che i tassi di cambio fissi, vale a dire il controllo sui prezzi, tra 10 milioni di Jones e 20 milioni di Smith conducono anch’essi in qualche modo ad una maggiore libertà e ad una maggiore ricchezza? Questa è schizofrenia epistemologica. Da qualche parte tra gli scambi volontari degli individui ed i tassi di cambio fissi obbligatori tra i governi, alcuni economisti Austriaci sono andati fuori pista. Spero che voi non andiate fuori strada.

Su questo punto, Hayek era uno statalista sia nella sua metodologia sia nelle sue conclusioni.

Fintanto che la conservazione del valore esterno della moneta nazionale è considerata come una necessità incontestabile, come con i tassi di cambio fissi, i politici possono resistere alle continue richieste di crediti a basso costo, evitare un aumento dei tassi di interesse, evitare più spese per “lavori pubblici,” e così via.

In primo luogo, non ci dovrebbe essere una moneta nazionale. L’idea è statalista fino al midollo. Significa soldi politici. Il controllo politico sul sistema monetario è la forma ultima del controllo statale sull’economia.

Il sistema valutario è al centro di tutti gli scambi in un’economia con un’elevata divisione del lavoro. Il controllo del denaro è la zona più importante di controllo che i politici possano ottenere. Mises l’ha sostenuto sin dal 1912 in poi. E’ la base della sua teoria monetaria del ciclo economico. Ma il suo allievo, Hayek, non si è mai impegnato veramente con l’individualismo del suo mentore. Ha sempre sostenuto che il governo può e deve manomettere il sistema monetario, e ha fornito una serie di riforme monetarie alternative che erano intenzionate a rendere il governo più efficiente. Credeva nel controllo statale sul denaro. Voleva che il governo fosse più efficiente nel suo controllo sul denaro.

In secondo luogo, non voglio che il governo sia più efficiente. Voglio che il governo sia meno efficiente. Voglio ottenere meno di quanto pago al governo. Ma non sono un Hayekiano.

Con tassi di cambio fissi, una diminuzione del valore estero della valuta, o un deflusso di oro o di riserve valutarie, agisce come un segnale del bisogno di un intervento rapido del governo.

Cosa c’è di sbagliato in questo quadro? Vi dirò quello che c’è di sbagliato: il segnale richiede l’azione del governo. Non ci dovrebbe essere azione del governo. Il governo non dovrebbe intromettersi nel business del denaro. Il governo non dovrebbe preoccuparsi se l’oro scorre all’interno o se l’oro esce. Non dovrebbe essere nell’interesse del governo. Il governo lo rende un suo business perché vuole il controllo sui termini dello scambio, sia all’interno dei confini nazionali sia all’esterno dei confini nazionali. I politici vogliono un’espansione del controllo, in modo che possano inviare persone con pistole e distintivi per dire alla popolazione cosa fare. Questo è mercantilismo.

Con i tassi di cambio flessibili, l’effetto di un aumento della quantità di denaro sul livello dei prezzi interno è troppo lento per essere in generale visibile o addebitabile a chi, in ultima analisi, è responsabile di esso. Inoltre, l’inflazione dei prezzi è di solito preceduta da un aumento nell’occupazione; si può quindi anche accoglierla, perché i suoi effetti nocivi non sono visibili immediatamente.

Perché è brutto subire un lento aumento dei prezzi piuttosto che un’improvvisa svalutazione politica della moneta? Il lento cambiamento economico è un grande vantaggio del libero mercato. Consente alle persone — speculatori — di adeguare le proprie previsioni. Permette a tutti i partecipanti al mercato di adeguare i loro piani non appena l’informazione ed i gusti cambiano. Questo processo di aggiustamento è stato il cuore dell’analisi di Hayek del libero mercato come un processo di scoperta e di coordinamento dei piani.

Poi arrivò alla teoria monetaria e cambiò opinione.

De Soto conclude la sua discussione su Hayek con questa citazione di Hayek:

Non credo dovremmo riacquistare un sistema di stabilità internazionale senza ritornare ad un sistema di cambi fissi, che impone alle banche centrali nazionali il sistema di limitazione essenziale per una resistenza di successo alla pressione dei sostenitori dell’inflazione nei loro paesi — di solito tra i ministri della finanze (Hayek 1979 [1975], 9-10)

Hayek invocò controlli sui prezzi. Non facciamoci ingannare da ciò. Questo è statalista fino al midollo. Stabilisce il diritto delle banche centrali di opporsi agli elettori. Sostituisce il governo dei banchieri centrali alla democrazia. Qual è il prezzo a lungo termine di questo sistema politico? La resa della sovranità nazionale ad un gruppo di burocrati che gestiscono la banca centrale comune a vantaggio di banchieri multimilionari all’interno del sistema bancario a riserva frazionaria. E’ la sostituzione della politica allo scambio volontario.

Il nazionalismo monetario è moralmente sbagliato e concettualmente sbagliato, perché il governo nazionale rivendica la sovranità sul sistema monetario nazionale. Ma concettualmente, la zona euro è una rapina monetaria sotto steroidi. In tutti i sistemi monetari a controllo statale, nazionali ed internazionali, il sistema monetario diventa un problema di controllo politico: pianificazione economica centralizzata. I gruppi con interessi politici vogliono avere il controllo del sistema monetario, proprio perché lo stato ha stabilito tale controllo. I gruppi con interessi speciali vogliono mettere le mani sul bottino finale: la stampante. Perché questo dovrebbe sorprenderci?

Se desiderate fermare i gruppi politici con interessi speciali nel loro tentativo di mettere le mani nei portafogli degli altri, allora c’è solo una soluzione: il governo deve uscire dal business del saccheggio. Fintanto che i governi controllano la moneta nazionale, l’essenza dell’economia si baserà su chi controlla l’offerta di moneta. Perché questo dovrebbe sorprenderci?

Consegnare il sistema monetario ad una banca internazionale centrale trasferisce la sovranità sul denaro ad un monopolio che non può essere riformato dagli elettori di qualsiasi nazione.

Sono spinaci.

PRIMA GUERRA MONDIALE

De Soto afferma che Mises aveva ragione quando scrisse quanto segue a proposito del mondo prima dello scoppio della prima guerra mondiale

Il gold standard poneva un controllo sui piani governativi di soldi facili. Era impossibile indulgere nell’espansione del credito ed ancora aggrapparsi alla parità aurea permanente sancita dalla legge. I governi hanno dovuto scegliere tra il gold standard e la loro — nel lungo periodo disastrosa — politica di espansione del credito. Il gold standard non crollò, i governi lo distrussero. Era incompatibile con lo statismo come quest’ultimo lo era col libero scambio. I vari governi abbandonarono il gold standard perché erano desiderosi di far aumentare i prezzi ed i salari interni al di sopra del livello del mercato mondiale e perché volevano stimolare le esportazioni ed ostacolare le importazioni. La stabilità dei tassi di cambio era un male ai loro occhi, non una benedizione. Tale è l’essenza degli insegnamenti monetari di Lord Keynes. La scuola Keynesiana sostiene appassionatamente l’instabilità dei tassi di cambio. (corsivo aggiunto)

Questo è il nocciolo della questione. I governi distrussero il gold standard internazionale allo scoppio della Prima Guerra Mondiale. Certo che lo distrussero. La guerra prevedeva il superamento dell’impegno del mondo col libero scambio in nome della guerra stessa. Così, i governi dovettero mettere le mani sull’oro della popolazione. Rubarono l’oro dalle banche centrali, che lo avevano raccolto dalle banche commerciali, che avevano rastrellato l’oro dalle mani dei privati cittadini con una menzogna: la riserva frazionaria. Perché tutto ciò dovrebbe sorprenderci?

Dal momento in cui i banchieri a riserva frazionaria promisero alle persone che avrebbero potuto ritirare l’oro su richiesta, venne istituito un sistema per una confisca di massa. Era tutto un mucchio di bugie. Perché ora qualcuno dovrebbe promuovere qualsiasi cosa che i banchieri centrali vogliono, e fare questo in nome dei principi del libero mercato e della stabilità monetaria?

De Soto scrive:

Inoltre, non è una sorpresa il disprezzo Misesiano riservato ai teorici di Chicago quando, in questo settore come in altri, finivano per cadere nella trappola del più rozzo Keynesismo. Inoltre, Mises sosteneva che sarebbe stato relativamente semplice ristabilire un gold standard e tornare a tassi di cambio fissi: “L’unica condizione richiesta è l’abbandono di una politica di denaro facile e degli sforzi di combattere le importazioni con la svalutazione.”

Mises aveva così politicamente torto che quasi vacilla l’immaginazione. Non c’era alcuna possibilità che i governi post-bellici istituissero un gold standard. La condizione richiesta era ovviamente utopica: l’abbandono di una politica di denaro facile.

Tutti in politica vogliono una politica di denaro facile. Tutti in politica vogliono imbrogliare i propri creditori. Tutti in politica vogliono dare ai propri creditori denaro deprezzato. Tutti in politica vogliono far andare avanti il boom. Quindi, non vi è stato nemmeno uno piccolo passo nella direzione di ristabilire un gold standard classico sin dall’Agosto del 1914.

De Soto scrive: “Solo quando i tassi di cambio sono fissi i governi sono obbligati a dire la verità ai cittadini.”

Sostengo la tesi opposta. Dal giorno in cui i governi affermarono la sovranità sulla moneta, iniziarono le bugie. Questo risale fino ai primordi della storia scritta. I tassi di cambio fissi sono un controllo sui prezzi. Sono bugie. L’essenza stessa di un tasso di cambio fisso è una bugia. E’ la menzogna della stabilità economica applicata con pistole e distintivi.

Solo quando i tassi di cambio sono flessibili i governi sono costretti a confrontarsi con la realtà, anche se non dicono ai cittadini la verità. Il presupposto dovrebbe essere che il governo mentirà al cittadino in qualsiasi sistema di tassi di cambio, ma i tassi di cambio flessibili costringeranno i governi ad affrontare i prezzi del libero mercato. L’essenza di un tasso di cambio fisso è una bugia del governo, e cioè che lo stato può garantire la stabilità monetaria per mezzo di pistole e distintivi.

La mia conclusione è semplice: Il governo deve restare fuori dal business del denaro. Se gli elettori concedono al governo nazionale la sovranità sulla moneta, hanno concesso al governo la sovranità sui prezzi. Hanno concesso al governo la sovranità sull’istituzione centrale del mercato: il denaro.

L’obiettivo monetario della scuola Austriaca dovrebbe essere questo, e solo questo: la rimozione di ogni sovranità dello stato sulla moneta. Tutto il resto finirà per essere una scusa per questo o quel sistema monetario fiat, per questo o quel sistema di controllo sui prezzi, per questa o quella bugia del governo alle persone per quanto riguarda l’affidabilità della pianificazione statale sulla moneta.

Poi De Soto cita Walter Block. Qui, Block è francamente a favore del controllo sui prezzi.

Anche in assenza di un vero gold standard, i tassi di cambio fissi forniscono una certa assicurazione contro l’inflazione che non è imminente nel sistema flessibile. Nella fissità, se un paese inflaziona, cade vittima di una crisi della bilancia dei pagamenti. Se e quando esaurisce il possedimento di valute estere, deve svalutare, un processo relativamente difficile, irto di pericoli per i leader politici coinvolti. Sotto la flessibilità, invece, l’inflazione non comporterebbe una crisi della bilancia dei pagamenti, né alcuna necessità di una svalutazione politicamente imbarazzante. Invece, c’è un deprezzamento relativamente indolore della valuta domestica (o inflazionistico) contro le sue controparti straniere (Block 1999, 19, corsivo aggiunto).

Che tipo di stabilità è questa? Una stabilità imposta dal controllo sui prezzi. Il controllo sui prezzi non fornisce alcuna assicurazione contro l’inflazione. Assicura il doppio gioco dei cartelli delle banche centrali. Assicura “rivalutazioni” e “svalutazioni” improvvise, che scuotono i mercati dei capitali. Il controllo sui prezzi sostituisce le menzogne politiche all’imprenditorialità.

Il controllo sui prezzi fornisce opportunità a George Soros di fare un miliardo di dollari in un solo colpo.

Una volta che si cede il principio secondo cui il mercato è sovrano sul denaro, si cade nella trappola dello statalismo. Vi ritroverete a difendere questo o quel controllo sui prezzi, questa o quella interferenza con la libertà, tutto in nome della stabilità, e tutto in nome dello statalismo.

Ogni volta che vedete una proposta di riforma monetaria, pensate: “Come è coerente con il principio individuale dello scambio volontario?” Non importa quale sia la proposta di riforma, avanzate questa domanda.

UNA RIFORMA MONETARIA COME VIA DI MEZZO

Mises sosteneva che la politica della “via di mezzo” conduce al socialismo. Io sostengo che la politica monetaria della “via di mezzo” conduce alla banca centrale, alla confisca dell’oro, ed ai grandi salvataggi bancari. Più di questo: la politica della via di mezzo sulla teoria monetaria conduce sempre al Nuovo Ordine Mondiale, seguito, spero, dalla disintegrazione monetaria internazionale, la rottura di tutti i governi centrali, ed il ripristino del gold coin standard.

Voglio che l’euro crolli perché voglio che la zona euro crolli. Voglio che la zona euro crolli perché voglio che l’Unione Europea crolli. Voglio che l’Unione Europea crolli perché voglio che il Nuovo Ordine Mondiale crolli.

Vorrei ora offrire questo giudizio. E’ più importante difendere la sovranità nazionale sulla moneta che difendere la sovranità internazionale sulla moneta.

Giustifico questa posizione solo su una base: l’obiettivo della politica monetaria nazionale sul denaro è quello di indebolire il Nuovo Ordine Mondiale.

Ogni promozione della sovranità nazionale sul denaro deve sempre essere fatta come parte di un piano sistematico per eliminare ogni sovranità politica sul denaro. E’ parte di un piano per bandire il governo dal business del denaro.

Questa strategia si basa su un fatto della vita politica: è più facile controllare la politica locale rispetto a quella internazionale. Nella difesa del localismo, che considero fondamentale per il ristabilimento della libertà, è importante mettere in discussione ogni cosiddetta riforma monetaria dei Keynesiani, dei Chicago, o dei difensori di qualsiasi sistema che si fonda sul principio che qualche gruppo di burocrati è in grado di pianificare meglio l’economia rispetto alla gente locale.

La pianificazione locale è meglio della pianificazione centrale, perché la pianificazione locale non può estendere i suoi piani molto lontano. Poi abbiamo il diritto di voto con i piedi. E’ più facile votare con i piedi per 50 miglia o un centinaio di chilometri piuttosto che oltrepassando un confine nazionale. E’ meglio avere 1000 piani inefficienti in concorrenza a livello locale piuttosto che avere un governo centrale che esercita la sovranità su 25 o 200 governi. Meglio soffrire il governo dei politici locali che vivere sotto il dominio di burocrati lontani.

Questo è un giudizio politico, ma è quello a cui mi sono dedicato dopo una vita di studio della pianificazione centralizzata, della pianificazione monetaria centrale, e dei piani di cospirazione per creare un Nuovo Ordine Mondiale.

INTERNAZIONALISMO

E poi De Soto peggiora.

3. L´Euro come “approssimazione” del Gold Standard (o Perché i Campioni della Libera Impresa e del Libero Mercato dovrebbero supportare l’Euro dato che l´unica alternativa é il ritorno al Nazionalismo Monetario)

No, no, no, mille volte no. I campioni del libero mercato non dovrebbero diventare cheerleader del Nuovo Ordine Mondiale.

Mises aveva pochi soldi nel 1944, quindi prese i soldi di Rockefeller e scrisse un libro sui mali della pianificazione centrale. Ma cadde in un errore catastrofico: invocò la creazione di un ordine politico internazionale paragonabile a quella delle Nazioni Unite. Lo considero l’unica raccomandazione pessima che abbia mai avanzato. Nel capitolo XII, Sezione 3, esortò l’unione politica delle democrazie Occidentali. Nel 1944, ciò significava qualcosa come l’Organizzazione delle Nazioni Unite.

Se le democrazie Occidentali non riescono a stabilire un’unione permanente, i frutti della vittoria verranno persi di nuovo. La loro discordia fornirà agli aggressori sconfitti la possibilità di entrare di nuovo nel teatro degli intrighi politici e dei complotti, di riarmarsi e di formare una coalizione nuova e più forte per un altro assalto. A meno che non scelgano la solidarietà effettiva, le democrazie sono condannate. Non possono salvaguardare il loro modo di vivere se cercano di preservare ciò che la terminologia della diplomazia definisce “sovranità nazionale.” Devono scegliere tra il potere in una nuova autorità sovranazionale o essere ridotte in schiavitù da parte di nazioni non disposte a trattarle in condizioni di parità. L’alternativa all’incorporazione in un nuovo sistema democratico non è una sovranità senza restrizioni, ma la sottomissione ultima ai poteri totalitari. (pp. 265-66).

Al contrario, le nazioni Occidentali non possono salvaguardare il loro modo di vivere se cercano di estendere quello che la terminologia della diplomazia chiama “sovranità internazionale.” Questo è quello per cui l’Organizzazione delle Nazioni Unite è stata inizialmente progettata per adempiere, ma non riuscì ad esercitare sovranità sufficiente, quello che Jean Monnet e Robert Schuman sono stati in grado di stabilire in Europa, a partire dal 1951 con la Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio.

De Soto arriva quindi al punto.

L´introduzione dell´euro nel 1999 e il suo folgorante inizio nel 2002 significarono la scomparsa del nazionalismo monetario e del cambio flessibile in gran parte del continente Europeo. Più tardi considereremo gli errori commessi dalla Banca Centale Europea. Ora ciò che ci interessa è notare che i differenti stati membri dell´unione monetaria rilasciarono completamente e persero la loro autonomia monetaria, cioè, la possibilità di manipolare la moneta mettendola al servizio delle necessità politiche del momento. In questo senso, rispetto almeno ai paesi della zona euro, l´euro iniziò ad agire e continua ad agire come il gold standard ai suoi tempi. Così dobbiamo vedere l´euro come un chiaro, vero, sebbene imperfetto, passo verso il gold standard.

La zona euro come una pseudo-gold standard? Trovo che questo sia inconcepibile. L’euro è un passo, non verso il gold standard, ma verso l’estensione del Nuovo Ordine Mondiale in Europa. Fin dall’inizio, era un primo passo imperfetto verso questo obiettivo.

I cospiratori ed i politici che hanno spinto per l’integrazione politica per 80 anni hanno realizzato negli anni ’90 che non potevano fare in modo che gli elettori di tutti i 17 paesi della zona euro cedessero il controllo fiscale sulle loro economie, cioè la spesa e la tassazione Keynesiana. Così, introdussero il compromesso della zona euro: la resa della sovranità a favore della Banca Centrale Europea, che avrebbe deciso quanta inflazione consentire.

Questo trasferì la sovranità alle più grandi banche in Europa. I banchieri poi prestarono enormi somme di denaro ai PIIGS. Ora stanno invitando i politici del nord Europa ad intervenire in loro aiuto. Ma i politici si trovano ad affrontare una maggiore resistenza alla tassazione al fine di salvare l’PIIGS, per cui stanno invitando la Banca Centrale Europea ad intervenire in loro aiuto. Si tratta di una interconnessione a catena del debito. Si tratta di una interconnessione a catena di tizi che puntano il dito verso qualcun altro e dicono: “Tu vieni con i soldi. Tu salvi il sistema.”

Non vediamo nessun politico in Europa che chiede il ripristino del gold standard pre-1914. Vediamo invocazioni settimanali per la distruzione della sovranità nazionale ed il trasferimento del controllo sulla tassazione e sulla spesa ad un gruppo di burocrati a Bruxelles.

De Soto vede tutto questo in una luce positiva.

Da qui, in assenza dell’euro, le autorità avrebbero di nuovo intrapreso quello che è sempre stato il cammino normale, ovvero la fuga attraverso una maggiore inflazione, la svalutazione della moneta locale per arrivare alla “piena occupazione” e riguadagnare competitività nel breve termine (coprendosi le spalle e nascondendo la grave responsabilità dei sindacati come i veri generatori della disoccupazione) e in breve, rimandare indefinitamente le necessarie riforme strutturali.

Più inflazione. E allora? Primo, la BCE ha inflazionato e inflazionerà ancora. Secondo, ci possiamo proteggere dall’inflazione, ma non possiamo proteggerci dal Nuovo Ordine Mondiale. L’essenza del NWO è questa: nessuna via di scampo.

Il principio della sovranità nazionale è basata sull’idea che gli elettori, soffrendo direttamente le conseguenze dei loro voti, dovrebbero avere il potere di decidere quale sistema di confisca venga loro imposto dal gruppo di politici bugiardi da loro scelto. Ma sotto il settore bancario centrale Europeo e l’Unione Europea, gli elettori non hanno affatto una scelta. A questo aspirano da oltre 80 anni i promotori del Nuovo Ordine Mondiale. Vogliono che la sovranità venga trasferita dagli elettori ai burocrati devoti solo ad un governo centrale distante.

De Soto va avanti descrivendo nel dettaglio i vari aspetti del perché l’euro è unico. L’euro non era unico. Il dollaro degli Stati Uniti è unico. E’ unico perché la Costituzione, in nome della sovranità centrale, ha creato una banca centrale nazionale, e ha imposto sulla popolazione una valuta nazionale

Il governo non ha inizialmente avuto successo. Le monete d’argento emesse dalla Spagna, i famosi pezzi da otto, circolavano ampiamente negli Stati Uniti fino al 1840. Ma, nel lungo periodo, il nazionalismo monetario superò le valute volontarie utilizzate dalla popolazione in generale. Passo dopo passo, il nazionalismo monetario, che era basato sul denaro fiat, si estese dal governo nazionale ad ogni aspetto della vita degli Americani. Culminò con la confisca dell’oro da parte di Franklin Roosevelt nel 1933.

È qui che burocrati dell’Europa hanno imparato le lezioni necessarie per creare l’euro. Hanno copiato la rivoluzione politica degli Stati Uniti, che è stata la centralizzazione del potere in nome del libero scambio, che era l’operazione civetta di Madison. L’hanno copiata per fare l’Unione Europea. Hanno sostenuto che stavano creando gli Stati Uniti d’Europa, che sarebbero stati paragonabili agli Stati Uniti d’America. Su questa cosa non stavano mentendo. Madison fornì, in realtà, il modello politico. Progettò un colpo di stato contro gli Articoli della Confederazione decentrati, il tutto in nome della rottura delle barriere tariffarie tra gli stati: la Convenzione di Annapolis (1786), la Convenzione di Philadelphia (1787), e le convenzioni della ratificazione degli stati (1787-1788). Ho scritto un libro su questa strategia. È possibile scaricarne una copia gratuita qui. Monnet imitò questa strategia, a partire dal 1951. E’ ancora in corso.

De Soto vuole farci credere che qualsiasi invocazione da parte dei politici e dei burocrati Europei per l’ulteriore centralizzazione dell’Europa dovrebbe essere considerata come una mossa verso un gold standard funzionante, vale a dire un sistema esclusivamente di libero mercato. Questo va ben oltre il mio potere di comprensione. Ho passato 45 anni a guardare queste persone, e l’unica cosa di cui possiamo essere certi è questa: il loro obiettivo è la centralizzazione del potere, la rimozione della libertà individuale, e tutto in nome della stabilità monetaria e del libero scambio.

Poi scrive questo:

Da qui, per certi versi è affascinante (nonché patetico) notare come le legioni di ingegneri sociali e di politici interventisti, i quali, guidati in passato da Jacques Delors, progettarono la moneta unica come un ulteriore strumento da utilizzare per la grandiosa costruzione dell’unione politica dell’Europa, ora osservino con disperazione qualcosa che non avrebbero mai immaginato: l’euro é di fatto un gold standard che disciplina i cittadini, i politici e le autorità e che lega le mani ai demagoghi, esponendo i gruppi di pressione (guidati dagli infaticabili privilegiati sindacati) e perfino mette in questione la sostenibilità e le fondamenta dello stato sociale.

Questa “legione di ingegneri sociali e di politici interventisti” sta ora spingendo a fondo per centralizzare la sovranità politica nella zona euro. Se avranno successo, sarà il culmine dei piani di Jean Monnet del 1919, e probabilmente antecedenti alla Prima Guerra Mondiale. Potrebbero non farcela. Spero e prego che non ce la facciano, ma è coerente con ciò che originariamente prevedeva l’euro.

Il loro errore nel 1999, come sempre, è stato quello di fidarsi dei poteri dietro il trono, vale a dire, dietro le grandi banche. Le grandi banche hanno pensato di poter fare una strage prestando soldi ai governi PIIGS ai tassi di interesse bassi della Germania. Ma questo non era nulla di nuovo. I banchieri centrali hanno dato il potere ai banchieri commerciali a riserva frazionaria di concedere cattivi prestiti fin dalla creazione della Banca d’Inghilterra. Semplicemente, non imparano. Ma nemmeno alcuni economisti Austriaci, che pensano che questo è un preludio alla ricostituzione di un gold standard. Si tratta di un preludio ad un altro giro di centralizzazione politica.

De Soto continua con un esame approfondito degli scambi tra nazione e nazione. “Ora passiamo a considerare la differenza tra l’euro ed un sistema a cambi fissi rispetto ai processi di aggiustamento che avvengono quando diversi gradi di espansione creditizia si verificano in paesi differenti.”

Niente di questa discussione è importante per questi temi:

la centralizzazione del potere politico in Europa,

la concentrazione del controllo da parte della Banca Centrale Europea,

l’estensione del Nuovo Ordine Mondiale al di là dell’Europa Occidentale.

Ancora una volta: dovremmo cominciare la nostra analisi con una discussione dettagliata di Smith e Jones, non con lo stato-nazione.

De Soto dice:

Non dobbiamo mancare di sottolineare che Keynesiani, monetaristi e Mundelliani si sbagliano tutti perché ragionano esclusivamente in termini di aggregati macroeconomici, e quindi propongono, con lievi differenze, lo stesso tipo di regolazione attraverso la manipolazione monetaria e fiscale, la “messa a punto” di flessibili tassi di cambio. Essi credono che tutto lo sforzo necessario per superare la crisi dovrebbe essere guidato da modelli macroeconomici e dall’ingegneria sociale. Così ignorano completamente la profonda distorsione microeconomica che la manipolazione monetaria (e fiscale) genera nella struttura dei prezzi relativi e in quella dei beni capitali. Una svalutazione forzata (o deprezzamento) è onnicomprensiva, ovvero comporta un improvviso calo percentuale lineare nei prezzi dei beni di consumo, dei servizi e dei fattori produttivi, un calo che è uguale per tutti.

Per parafrasare la madre di Forrest Gump, microeconomia è chi microeconomia fa.

Non iniziate con l’analisi macroeconomica di Hayek. Iniziate con Smith e Jones.

Mostratemi come la sovranità dello stato sulla moneta non è in alcun modo coerente con la logica dello scambio tra Smith e Jones. E se non lo è, non ditemi come riformare il sistema. Ditemi come abolirla.

De Soto vede la spinta verso l’accentramento in Europa. Egli si oppone.

In terzo luogo, e soprattutto, c’è una crescente pressione per una completa unione politica europea, che alcuni indicano come l’unica “soluzione” che potrebbe consentire la sopravvivenza dell’Euro nel lungo periodo.

Qui è dove De Soto ed io concordiamo in parte:

Nonostante ciò, il problema più serio non giace nella minaccia di un’impossibile unione politica, ma nell’inconfutabile fatto che una politica di espansione del credito, portata avanti in modo sostenuto dalla BCE in un periodo di apparente prosperità economica, sia capace di cancellare, almeno temporaneamente, gli effetti disciplinanti esercitati dall’euro sugli agenti economici di ogni paese. Quindi, l’errore fatale della BCE consiste nel non essere riuscita a isolare e proteggere l’Europa dalla grande espansione del credito orchestrata su scala mondiale dalla FED e iniziata nel 2001.

Al contrario, l’euro, la zona euro e la BCE sono solo gli aspetti del quadro più ampio: la creazione del Nuovo Ordine Mondiale. La minaccia più grave oggi è quella che è sempre stata per 80 anni: la creazione di una possibile unione politica della zona euro.

Spero che abbia ragione sul fatto che sia “impossibile.” Ma l’unica alternativa a lungo termine è una rottura di tutto il sistema, compreso l’euro.

Io dico: “Lasciate morire l’euro, che trascini con sé la zona euro. Possa seguirli l’Unione Europea subito dopo.”

CONCLUSIONE

Leggiamo la sua conclusione.

Comunque sia, dobbiamo riconoscere di essere in una congiuntura storica [43]. L’euro deve sopravvivere se tutta l’Europa vuole adottare la tradizionale stabilità monetaria tedesca, che, in definitiva, è l’unico ed essenziale modello attraverso cui, nel breve e nel medio termine, la competitività europea e la crescita possono essere sostenute. Su scala mondiale, la sopravvivenza e il consolidamento dell’euro permetterà, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, l’emersione di una valuta capace di competere concretamente col monopolio del dollaro come standard monetario internazionale, quindi capace di disciplinare l’attitudine americana a provocare crisi finanziarie sistemiche, come quella del 2007, che mettono costantemente in pericolo l’ordine economico mondiale.

Quindi, è una guerra tra il dollaro e l’euro. Allora io so chi perderà: chi si fida del fatto che questi tacchini del denaro fiat possano darci in definitiva la libertà e la prosperità.

Ecco il programma dei progettisti della zona euro: scambi manipolati, denaro manipolato, e popolazioni manipolate. Si basa sulla sostituzione della burocrazia internazionale alla sovranità nazionale. E’ un prodotto civetta.

L’euro è come la strada per l’inferno: lastricata di buone intenzioni (niente dazi, una moneta unica, mobilità del capitale). Conduce ad un vicolo cieco politico: “Nessuna Via di Scampo.”

Quanto prima questa mostruosità muore, meglio sarà.

Io dico che sono spinaci, e dico al diavolo.


110 - IN DIFESA DELL'EURO

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 15:50 da Mises Disse Frammenti di Prasseologia

Di Jesus Huerta de Soto, 29 maggio 2012

1) Il sistema monetario ideale

I teorici della scuola Austriaca hanno profuso un notevole impegno nello spiegare quale dovrebbe essere il sistema monetario ideale di un’economia di mercato. A livello teorico hanno sviluppato una coerente teoria del ciclo economico che spiega come l’espansione del credito non coperto da risparmio reale, orchestrata dalle banche centrali attraverso il sistema bancario a riserva frazionaria, generi ripetutamente cicli economici. Su un piano storico hanno descritto sia l’evoluzione spontanea del denaro sia l’interventismo coercitivo dello Stato. Quest’ultimo, appoggiato da potenti gruppi di interesse, si è allontanato dalle logiche proprie del libero mercato corrompendo innanzitutto la naturale evoluzione delle istituzioni bancarie. Infine, su un piano etico, hanno identificato i requisiti normativi e i principi fondamentali associati ai diritti di proprietà sui contratti bancari, principi che emergono dalla stessa economia di mercato e che, a propria volta, sono essenziali per il suo corretto funzionamento.

Con riferimento all’attuale sistema monetario e bancario, le analisi teoriche sopradette portano alle seguenti conclusioni:

1) tale sistema è incompatibile con una economia di libera impresa, 2) esso incorpora tutti i difetti individuati dal teorema dell’impossibilità del socialismo, 3) ed infine esso è fonte permanente di instabilità finanziaria e perturbazioni economiche.

Se vogliamo risalire alla radice dei problemi che ci affliggono così da poterli risolverli diventa quindi indispensabile ridisegnare profondamente il sistema finanziario e monetario mondiale. Tale sforzo deve poggiare sulle seguenti tre riforme:

a) ristabilire il 100% di riserva obbligatoria intera come principio essenziale per garantire i diritti di proprietà privata in relazione ad ogni deposito a vista di denaro e suoi equivalenti;

b) abolire tutte le banche centrali (che dopo l’implementazione del primo punto diventano inutili come prestatori di ultima istanza mentre come agenzie di pianificazione centrale sono invece fonte costante di instabilità), eliminare le leggi sul corso forzoso e revocare il groviglio di normative statali che ne derivano;

c) infine riadottare un gold standard classico, ovvero l’unico standard monetario mondiale caratterizzato da un’offerta monetaria che, non essendo manipolabile dalle autorità pubbliche, è ben capace di limitare e disciplinare le attese inflazionistiche dei diversi agenti economici.

Le prescrizioni sopra citate, agendo direttamente sulle radici dei nostri problemi, ne permetterebbero una risoluzione permanente, favorendo uno sviluppo economico e sociale davvero sostenibile e mai visto nella storia. Queste misure sarebbero inoltre in grado di farci comprendere quali ulteriori riforme possano costituire un passo successivo nella giusta direzione, consentendoci di esprimere un miglior giudizio sulle diverse alternative offerte dalle politiche economiche ed implementate in un mondo reale. Il lettore dovrebbe guardare all’analisi Austriaca in relativa difesa dell’Euro, come quella che miriamo a sviluppare nel presente documento, solo da questo punto di vista strettamente possibilista.

2. La tradizione Austriaca a difesa dei tassi di cambio fissi contrapposta al nazionalismo monetario e ai tassi di cambio flessibili

Tradizionalmente, i membri della scuola Austriaca di economia hanno percepito come grave errore di teoria economica e di prassi politica la posizione di molti economisti, soprattutto quelli della scuola di Chicago. In assenza di un sistema monetario ideale, essi si sono schierati a difesa dei cambi flessibili, governati dai nazionalismi monetari, come se fossero in qualche modo più consoni ad un’economia di libero mercato.

Al contrario, gli Austriaci ritengono che, fino a quando le banche centrali non verranno abolite e non verrà ristabilito un gold standard classico con una riserva bancaria obbligatoria del 100%, si debba indirizzare ogni sforzo nel tentativo di avvicinare l’attuale sistema monetario a quello ideale, sia in termini di funzionamento operativo sia in termini di risultati prodotti.

Ciò significa:

- limitare quanto più possibile il nazionalismo monetario, - togliere ai paesi la possibilità di una gestione autonoma della politica monetaria, - contenere le politiche inflazionistiche di espansione del credito, creando un quadro monetario che riesca a disciplinare, quanto più possibile, agenti economici, soggetti politici e sociali, sindacati e altri gruppi di pressione, politici e banche centrali.

E’ solo in questo contesto che dovremmo interpretare la posizione di eminenti economisti Austriaci (e illustri membri della Mont Pelerin Society) come Mises e Hayek. Ad esempio, l’analisi che Hayek cominciò a sviluppare nel 1937, nel suo eccezionale libro Monetary Nationalism and International Stability, risulta essere di notevole portata nel demolire le posizioni a favore del nazionalismo monetario e dei cambi flessibili.

In questo libro, Hayek dimostra come i tassi di cambio variabili ostacolino, a livello internazionale, una efficiente allocazione delle risorse, in quanto essi distorcono i flussi reali di consumo e investimento. Tassi di cambio flessibili rendono inoltre impossibile un reale adeguamento dei costi verso il basso. Causano invece un aumento nominale di tutti gli altri prezzi, favorendo lo sviluppo di un ambiente caotico caratterizzato da svalutazioni competitive, espansione del credito ed aumento dei prezzi. Queste circostanze incoraggiano e sostengono ogni tipo di comportamento irresponsabile da parte dei sindacati, le cui richieste salariali e lavorative possono essere soddisfatte solo causando forte disoccupazione o spingendo ulteriormente i prezzi verso l’alto.

Trentotto anni dopo, nel 1975, Hayek riassunse la propria argomentazione nei seguenti termini:

Credo sia innegabile come la richiesta di tassi di cambio flessibili trovi piena origine in paesi come la Gran Bretagna. Alcuni economisti inglesi si sono schierati a favore di una maggiore espansione inflazionistica (definendola “politica di piena occupazione”). Purtroppo essi sono riusciti ad ottenere il consenso anche da altri economisti i quali, benché non mossi da desideri inflazionistici, sembrano aver trascurato l’argomento più forte a favore dei tassi di cambio fissi: essere un freno praticamente insostituibile e necessario per costringere i politici, nonché le autorità monetarie alle loro dipendenze, a mantenere stabile il potere d’acquisto della moneta [corsivo aggiunto].

Per chiarire ulteriormente la propria tesi, Hayek aggiunge:

L’obiettivo di mantenere stabile il potere d’acquisto, evitando l’aumento dei prezzi, richiede spesso che i politici adottino misure altamente impopolari. Essi possono riuscire a giustificarle dinanzi ai soggetti su cui ricascano solo spiegandone la reale necessità. Solo accettando come necessità incontestabile la conservazione del valore esterno della valuta nazionale, così come l’esigenza di tassi di cambio fissi, i politici possono opporsi alle continue richieste mirate ad ottenere credito a basso costo e nuove spese per “lavori pubblici,” evitando così un aumento dei tassi di interesse. Grazie ai tassi di cambio fissi, una diminuzione del valore della valuta, o un deflusso di oro o di riserve valutarie, agisce come un chiaro segnale di sollecitazione per un rapido intervento del governo. Con i tassi di cambio flessibili, l’effetto di un aumento della quantità di denaro sul livello dei prezzi interno è troppo lento per essere in generale visibile o attribuibile a chi, in ultima analisi, ne è responsabile. Oltretutto, l’inflazione dei prezzi è di solito preceduta da un aumento nell’occupazione; è quindi generalmente ben accolta, in quanto i suoi effetti negativi emegeranno e saranno visibili solo più tardi.

Hayek conclude:

Non credo si possa ritornare ad una stabilità monetaria internazionale senza riadottare un sistema di cambi fissi che imponga alle banche centrali nazionali determinati vincoli di azione. Questi ultimi sono essenziali per resistere con successo alle pressione degli inflazionisti locali — tra i quali possiamo includere gli stessi ministri della finanze (Hayek 1979 [1975], 9-10)

Per quanto riguarda Ludwig von Mises, è ben noto come egli prese distanza dal suo valido discepolo Fritz Machlup quando, nel 1961 all’interno della Mont Pelerin Society, questi cominciò a difendere i tassi di cambio flessibili. Infatti, secondo R.M. Hartwell, storico ufficiale della Mont Pelerin Society:

Il supporto di Machlup ai tassi di cambio fluttuanti portò von Mises a non parlargli per circa tre anni (Hartwell 1995, 119).

Mises comprendeva bene le ragioni che spingevano i macroeconomisti senza alcuna istruzione accademica sulla teoria del capitale, come Friedman, i suoi colleghi di Chicago, e i Keynesiani in generale, a difendere i tassi variabili e l’inflazionismo che invariabilmente ne derivava, ma non era disposto a trascurare un simile errore da parte di qualcuno che come Machlup era stato suo discepolo e ben conoscendo la teoria economica, si lasciava tuttavia trascinare dal pragmatismo e dalle mode politiche. Mises disse chiaramente a sua moglie le ragioni per cui non era in grado di perdonare Machlup:

Era nel mio seminario a Vienna; capisce tutto. Ne sa molto di più di loro e sa esattamente che cosa sta facendo (Margit von Mises 1984, 146).

La difesa dei tassi di cambio fissi da parte di Mises corre in parallelo con la sua difesa del gold standard come sistema monetario ideale a livello internazionale. Ad esempio, nel 1944, nel suo libro Omnipotent Government, Mises scrisse:

Il gold standard imponeva un vincolo ai piani del governo che puntavano ad ottenere soldi facili. Era impossibile indulgere nell’espansione del credito e mantenere allo stesso tempo la parità aurea sancita dalla legge. I governi dovevano scegliere tra il gold standard e la loro — nel lungo periodo disastrosa — politica di espansione creditizia. Non fu il gold standard a crollare, furono i governi a distruggerlo. Così come il libero mercato, esso era incompatibile con lo statalismo. I vari governi abbandonarono il gold standard perché desideravano far aumentare i prezzi ed i salari interni al di sopra del livello di mercato, cercando al contempo di stimolare le esportazioni ed ostacolare le importazioni. Ai loro occhi la stabilità dei tassi di cambio era un male, non una benedizione. Tale è l’essenza degli insegnamenti monetari di Lord Keynes. La scuola Keynesiana sostiene appassionatamente l’instabilità dei tassi di cambio.

Inoltre, non deve sorprendere il disprezzo Misesiano riservato ai teorici della Scuola di Chicago quando su questo argomento, o in altri, essi cadevano nelle trappole del più rozzo Keynesismo. Mises sosteneva inoltre che sarebbe stato relativamente semplice ristabilire un gold standard e tornare a un regime di tassi di cambio fissi:

L’unica condizione da soddisfare è semplicemente quella di abbandonare le politiche del denaro a basso costo e le intenzioni di combattere le importazioni con la svalutazione.

Secondo Mises solo i tassi di cambio fissi sono compatibili con una vera democrazia mentre l’inflazionismo che si nasconde dietro a tassi di cambio flessibili è essenzialmente antidemocratico:

L’inflazione è fondamentalmente antidemocratica. Il controllo democratico passa attraverso il controllo del bilancio. Il governo ha una sola fonte di reddito — le tasse. Nessuna altra forma di tassazione dovrebbe essere legale senza che prima abbia ottenuto il consenso parlamentare. Nel momento in cui il governo riesce ad accedere ad altre fonti di reddito esso riesce a liberarsi dal controllo democratico (Mises 1969, 251-253).

I governi sono obbligati a dire la verità ai propri cittadini solo in un regime di tassi di cambio fissi. La tentazione di fare leva sull’inflazione e sui tassi flessibili, al fine di evitare il costo politico associato ad un aumento impopolare delle tasse, è molto forte e praticamente distruttiva. Quindi, pur in assenza di un gold standard, i tassi fissi limitano e disciplinano le decisioni arbitrariarie dei politici:

Anche in assenza di un vero gold standard, i tassi di cambio fissi forniscono una certa garanzia contro l’inflazione che invece non è implicita nei tassi flessibili. In un regime di cambi fissi, quando un paese inflaziona va incontro a un deficit nella bilancia dei pagamenti. Qualora la banca centrale esaurisse la propria riserva di valute straniere, essa dovrà necessariamente svalutare, un processo relativamente difficile, irto di pericoli per i leader politici coinvolti. In un regime di cambi flessibili, invece, l’inflazione non comporta alcuna crisi nella bilancia dei pagamenti, né alcuna necessità di dover ricorrere ad una svalutazione politicamente imbarazzante. In loro sostituzione abbiamo invece un deprezzamento relativamente indolore della valuta domestica (o inflazionata) verso le valute straniere (Block 1999, 19, corsivo aggiunto).

3. L´Euro come “approssimazione” del Gold Standard (o del perché i campioni della libera impresa e del libero mercato dovrebbero supportare l’Euro dato che l´unica alternativa é il ritorno al nazionalismo monetario)

Come abbiamo visto, gli economisti Austriaci difendono il gold standard perché pone un freno ed un limite alle decisioni arbitrarie dei politici e delle autorità. Esso disciplina il comportamento di tutti gli agenti che partecipano al processo democratico. Promuove comportamenti corretti. In breve, funge da controllo sulle bugie e sulla demagogia; nelle relazioni sociali favorisce e promuove la trasparenza e la verità. Niente di più e niente di meno. Probabilmente fu Ludwig von Mises ad esprimere al meglio questi concetti:

Il gold standard garantisce che il potere di acquisto del denaro sia indipendente dalle mutevoli ambizioni e dalle dottrine dei partiti politici e dei gruppi di pressione. Questo non é un difetto del gold standard, bensì il suo principale pregio (Mises 1966, 474).

L´introduzione dell’Euro nel 1999 culminata con l’introduzione fisica delle banconote nel 2002 significò la scomparsa del nazionalismo monetario e dei cambi flessibili in gran parte del continente europeo. Più tardi considereremo gli errori commessi dalla Banca Centale Europea. Ciò che ci interessa adesso è rilevare come i differenti Stati membri dell’Unione monetaria rinunciarono completamente alla propria autonomia monetaria, alla possibilità cioè di manipolare la valuta nazionale mettendola al servizio delle necessità politiche del momento.

In questo senso, rispetto almeno ai paesi dell’Eurozona, la valuta unica iniziò ad comportarsi e continua ad agire come faceva il gold standard ai suoi tempi. Sempre in questo senso dobbiamo vedere l´Euro come un chiaro, autentico, sebbene imperfetto, passo verso il gold standard. La Grande Recessione iniziata nel 2008, inoltre, ha reso ben chiara a ciascuno di noi la natura profondamente disciplinante della valuta unica: per la prima volta i paesi dell’Unione monetaria hanno dovuto affrontare una profonda recessione senza poter ricorrere all’autonomia di una politica monetaria interna.

Prima dell’adozione dell’Euro, al mordere di una crisi, i governi e le banche centrali agivano invariabilmente tutti alla stessa maniera: iniettavano liquidità, lasciavano la valuta libera di deprezzarsi sui cambi internazionali, e così facendo procrastinavano indefinitamente le necessarie e dolorose riforme strutturali: liberalizzazione dell´economia, deregolamentazione, incremento della flessibilità dei prezzi e dei mercati (specialmente il mercato del lavoro), riduzione della spesa pubblica, graduale smantellamento del potere dei sindacati e dello Stato sociale. Grazie all’Euro, e nonostante tutti gli errori, le debolezze e le concessioni di cui discuteremo più avanti, non è più stato possibile perseverare in questo comportamento irresponsabile di fuga continua dalla realtà.

Per esempio, in Spagna, in solo un anno, due successivi governi sono stati letteralmente forzati ad adottare una serie di misure che, sebbene ancora insufficienti, sarebbero altrimenti state considerate politicamente impossibili ed utopiche, perfino agli occhi degli osservatori più ottimisti :

- l’articolo 135 della Costituzione é stato emendato per includere il principio anti-Keynesiano del pareggio di bilancio sia per il governo centrale, sia per le comunità autonome ed i comuni; - tutti i progetti che implicano un aumento della spesa pubblica, dei sussidi, e mirati ad acquisire voti, cioè quei progetti attraverso i quali i politici ottengono popolarità e consensi, sono stati sospesi; - gli stipendi di tutti i dipendenti pubblici sono stati tagliati del 5% mentre l’orario di lavoro è stato esteso; - le pensioni e la sicurezza sociale sono state, di fatto, congelate; - l’età pensionabile é stata alzata da 65 a 67 anni; - la spesa totale pubblica é stata diminuita di oltre il 15% ed infine - nel mercato del lavoro, nell’orario di lavoro, e in generale,nel groviglio della regolamentazione economica é stata avviata una significativa azione di liberalizzazione.

Oltretutto, quello che sta accadendo in Spagna sta avvenendo anche in Irlanda, Portogallo, Italia, e perfino in paesi che, come la Grecia, sino ad ora hanno incarnato il paradigma del lassismo sociale, dell’assenza di rigore di bilancio e della demagogia politica. Ancora più importante é il fatto che i politici di questi cinque paesi, non più nelle condizioni di manipolare il mezzo monetario mantenendo i cittadini nel buio per quanto riguarda i costi reali delle loro politiche, sono stati rimossi dai loro rispettivi posti. Stati che, come il Belgio e specialmente la Francia e l’Olanda, fino ad ora erano apparsi sempre immuni dalla necessità di riformarsi, sono adesso forzati a riconsiderare l’elevata spesa pubblica e la struttura del loro pesantissimo Stato sociale.

Questo sviluppo é stato possibile solo grazie alla struttura monetaria introdotta con l’Euro. Esso dovrebbe pertanto essere visto con eccitazione e rinnovata gioia da tutti i sostenitori dell’economia di libero mercato e di uno Stato minimo. Sarebbe estremamente arduo concepire tali misure in un contesto di valute nazionali e di cambi flessibili: i politici evitano sempre come possono le riforme impopolari mentre i cittadini rigettano tutto ciò che comporta sacrificio e disciplina. In assenza dell’Euro, le autorità avrebbero intrapreso ancora una volta la solita strada, segnata da maggiore inflazione e svalutazione della divisa locale, nell’illusione di restituire la “piena occupazione” e riguadagnare competitività nel breve termine (parandosi così le spalle e nascondendo la grave responsabilità dei sindacati, vera e unica causa della disoccupazione). In breve, avrebbero continuato a rimandare indefinitamente le necessarie riforme strutturali.

Concentriamoci ora su due aspetti significativi che rendono l’Euro davvero unico. Li metteremo a confronto con il sistema delle valute nazionali in regime di cambi fissi e con lo stesso gold standard, iniziando da quest’ultimo.

Dobbiamo innanzitutto notare come una eventuale uscita dall’Euro sia oggi, rispetto all’abbandono del gold standard che si verifica in passato, un evento molto più complesso da gestire. Le valute legate all’oro mantenevano pur sempre la loro denominazione (franco, sterlina, etc. etc.) ed era pertanto relativamente facile disancorarle dal metallo. Così come indicato dal teorema di regressione di Mises formulato nel 1912 (Mises 2009 [1912], 111-123), gli agenti economici continuavano senza interruzione ad usare le medesime valute nazionali, sebbene non più convertibili in oro, facendo riferimento al potere di acquisto che esse avevano giusto prima della riforma. Oggi, per quei paesi che desiderano, oppure si vedono obbligati, ad abbandonare l’Euro, questa possibilità non esiste. Essendo la valuta comune accettata da tutti i paesi dell’Unione monetaria, il suo abbandono richiedebbe l´introduzione di una nuova divisa con un potere di acquisto sconosciuto e di gran lunga inferiore. Ciò provocherebbe enormi problemi per tutti gli attori del mercato: debitori, creditori, investitori, imprenditori e lavoratori. Almeno sotto questo aspetto e dal punto di vista della teoria Austriaca, dobbiamo ammettere come l’Euro sia addirittura superiore al gold standard. Se negli anni Trenta non si fosse potuto abbandonare il gold standard la cosa sarebbe stata di enorme beneficio per l’umanità: ogni altra alternativa sarebbe stata praticamente impossibile da adottare, così come sta accadendo oggi con l’Euro, ed essa avrebbe provocato danni e sofferenze molto maggiori.

Quindi, per certi versi, è affascinante (nonché patetico) osservare le legioni di ingegneri sociali e di politici interventisti, in passato guidati da Jacques Delors, che, avendo progettato la moneta unica come ulteriore strumento da utilizzare per costruire la grandiosa unione politica dell’Europa, si ritrovano ora con disperazione a gestire qualcosa che non avrebbero mai immaginato: l’Euro di fatto si è trasformato in un gold standard in grado di disciplinare i cittadini, i politici e le autorità; esso lega le mani ai demagoghi, esponendo i gruppi di pressione (guidati dagli infaticabili e privilegiati sindacati) e mettendo persino in questione la sostenibilità e le stesse fondamenta dello Stato sociale. Secondo la scuola Austriaca, è proprio questo punto, e non altri prosaici argomenti come “la riduzione dei costi di transazione” o “l’eliminazione dei rischi di cambio” all’epoca sbandierati dall’immancabile miopia degli ingegneri sociali, a costituire il principale vantaggio comparativo dell’Euro, in generale come standard monetario ed in particolare contro il nazionalismo monetario.

Passiamo ora a considerare la differenza tra l’Euro ed un sistema a cambi fissi con rispetto ai processi di aggiustamento che di solito si verificano quando, in paesi diversi, hanno luogo gradi di espansione creditizia differente. Ovviamente, in un sistema a cambi fissi, tali differenze si manifestano in sostanziali tensioni sui cambi. Esse eventualmente terminano con esplicite svalutazioni e l’emersione di elevati costi, in termini di perdita di prestigio, che fortunatamente ricadono sulle rispettive autorità politiche. Nel caso di una moneta unica come l’Euro, queste tensioni si manifestano in generale in una perdita di competitività che può essere recuperata solo attraverso l’introduzione di necessarie riforme strutturali, atte a garantire la flessibilità del mercato, a cui si accompagnano la deregolamentazione dei settori economici e i dovuti aggiustamenti nella struttura dei prezzi relativi.

Tutto questo ha un impatto sui ricavi del settore pubblico e quindi sul rating del debito pubblico. Nelle attuali circostanze, il valore di ciascun debito sovrano dell’Eurozona ha subito quelle tensioni tipiche che una volta si scaricavano sui tassi di cambio ai tempi in cui questi erano bene o male fissati tra di loro; il ruolo centrale sui mercati non è più rivestito dallo speculatore valutario ma dalle agenzie di rating e, specialmente, dagli investitori internazionali che, comprando o meno un debito sovrano, in maniera salutare spingono i relativi governi verso le dovute riforme disciplinandoli e determinandone il destino. Se questo processo da alcuni può essere definito come “anti-democratico”, nei fatti è esattamente l’opposto.

Nel passato la democrazia soffriva in maniera cronica e veniva continuamente corrotta da politiche irresponsabili fondate sulla manipolazione monetaria e sull’inflazione, niente altro che una tassa occulta devastante imposta fuori dal parlamento a tutti i cittadini in modo graduale, nascosto e contorto. Oggi, grazie all’Euro, il ricorso alla confisca inflazionistica è stato impedito, almeno a livello di singolo paese, ed i politici improvvisamente sono stati obbligati ad ammettere la verità accettando una corrispondente perdita di consensi. Da qui la conseguente caduta dei governi in paesi come Irlanda, Grecia, Portogallo, Italia, Spagna e Francia che, lungi dal costituire una perdita di democrazia, ha invece reso manifesto un elevato livello di rigore, trasparenza di bilancio e salute democratica che proprio l’Euro, a livello sociale, sta stimolando.

4. L’eterogenea coalizione “anti-Euro”

Sarebbe interessante e molto indicativo commentare, anche solo brevemente, la varia e disparata amalgama costituita dai nemici dell’Euro. Tale gruppo comprende tra le proprie fila elementi molto diversi tra loro: dogmatici di estrema destra o sinistra, nostalgici o inflessibili keynesiani come Krugman e Stiglitz, monetaristi schierati rigidamente a favore di cambi flessibili come Barro e altri, ingenui sostenitori della teoria mundelliana delle aree valutarie ottime, sciovinisti terrorizzati dal dollaro (e dalla sterlina); in breve, tutta quella variegata legione di disfattisti confusi che “di fronte all’imminente scomparsa dell’Euro” propone la “soluzione” di farlo saltare in aria abolendolo il più presto possibile.

Forse l’esempio più chiaro (o meglio, la prova più convincente) del fatto che Mises avesse completamente ragione nell’analisi sugli effetti che i tassi di cambio fissi (e specialmente il gold standard) hanno sulla demagogia politica e sindacale, sta proprio nel modo in cui i leader dei partiti politici di sinistra, i sindacalisti, gli opinionisti “progressisti”, gli “indignati” contro il sistema, i politici di estrema destra ed in generale tutti i sostenitori della spesa pubblica, dei sussidi statali e dell’interventismo si ribellano apertamente e direttamente alla disciplina imposta dall’Euro lamentando, nello specifico, la perdita di autonomia nella politica monetaria di ogni paese e ciò che ne consegue: una vituperata dipendenza dai mercati, dagli speculatori e dagli investitori internazionali quando si tratta di riuscire (o meno) a collocare i titoli del crescente debito pubblico che sono richiesti per finanziare i continui deficit.

Per averne conferma basta gettare uno sguardo agli editoriali dei giornali più di sinistra o una lettura delle dichiarazioni dei politici più demagoghi o dei leader sindacalisti; oggi, proprio come nel 1930 ai tempi del gold standard, i nemici del libero mercato e i difensori del socialismo, dello stato sociale e della demagogia sindacale stanno protestando all’unisono, sia in pubblico sia in privato, contro la “rigida disciplina che l’Euro e i mercati finanziari ci stanno imponendo”; al contempo essi chiedono la monetizzazione immediata del debito pubblico, senza per contro avanzare alcuna contromisura come potrebbe essere l’austerità del bilancio o l’attuazione di riforme mirate ad aumentare la competitività.

In ambito più accademico, ma con ampia copertura da parte dei media, i keynesiani contemporanei stanno organizzando una grande offensiva contro l’Euro con una belligeranza solo paragonabile a quella mostrata da Keynes negli anni ’30 nei confronti del gold standard. Specialmente paradigmatico è il caso di Krugman che, in veste di editorialista, ripete quasi ogni settimana la medesima storia dell’Euro come “camicia di forza” che impedisce il rilancio dell’occupazione. Egli arriva persino a criticare il ben prodigo governo americano per non avere adottato politiche sufficientemente espansive e per non essersi impegnato abbastanza nei suoi (già enormi) stimoli fiscali. Più intelligente e colta, ma non meno sbagliata, è l’opinione di Skidelsky, il quale almeno ammette come la teoria del ciclo economico austriaca offra un’unica valida alternativa alle teorie del suo amato Keynes. In tal senso riconosce una similarità tra la situazione attuale e quella degli anni Trenta che vide come diretti antagonisti Hayek e Keynes.

Con riguardo ai tassi di cambio flessibili, alquanto strana è la posizione assunta generalmente dai teorici neoclassici, ed in particolare dai monetaristi e dai membri della scuola di Chicago. Sembra che l’interesse spassionato di questi gruppi a favore dei tassi di cambio flessibili e del nazionalismo monetario predomini sul loro (si presume sincero) desiderio di incoraggiare le dovute riforme orientate alla liberalizzazione economica. Il loro obiettivo primario è rivolto infatti alle politiche monetarie autonome tramite le quali sarebbe possibile svalutare (o deprezzare) la divisa locale per “recuperare competitività” e riassorbire la disoccupazione il più velocemente possibile; la loro attenzione sulla flessibilità e sulle riforme a favore di un libero mercato passa solo in secondo piano. Questi soggetti soffrono di incredibile ingenuità, come abbiamo già avuto di vedere precedentemente parlando delle ragioni del dissenso tra Mises e Friedman con riguardo al dibattito tassi fissi contro tassi variabili.

I politici non sono assolutamente capaci di compiere i passi richiesti nella giusta direzione a meno che non siano letteralmente obbligati a farlo. Mises questo lo ha sempre capito. Comprese anche bene come i tassi flessibili e il nazionalismo monetario rimuovano ogni incentivo in grado di disciplinare i politici, permettendo loro di farla franca con i salari minimi (che i monetaristi e i keynesiani accettano di tutto cuore) e i privilegi di cui godono i sindacati e tutti gli altri gruppi di pressione. Mises si rese conto inoltre come di conseguenza, nel lungo periodo e loro malgrado, i monetaristi finiscano per diventare compagni di viaggio delle vecchie dottrine keynesiane: una volta che la “competitività” sia stata “recuperata” le riforme vengono rinviate e, ancora peggio, i sindacalisti si abituano agli effetti distruttivi delle loro politiche salariali continuamente tenuti nascosti dalle svalutazioni successive.

Questa contraddizione latente, tra la difesa del libero mercato da un parte e il sostegno al nazionalismo monetario e la manipolazione attraverso cambi “flessibili” dall’altra, è evidente in molti fautori della teoria di Robert A. Mundell sulle “aree valutarie ottimali”. Tanto per cominciare, tali aree sarebbero caratterizzate da un’alta mobilità di tutti i fattori produttivi; in caso contrario sarebbe meglio dividerle in compartimenti stagni dotati di valute proprie così da permettere, in caso di “shock esterno” il ricorso ad una politica monetaria autonoma. Dovremmo pertanto chiederci: questo ragionamento ha veramente senso? Niente affatto: la maggior fonte di rigidità nel mercato del lavoro e nei fattori di produzione giace, ed è alimentata, dall’interventismo e dalla regolamentazione statale, è quindi assurdo pensare che gli Stati e i loro governi commettano harakiri, rinunciando al potere e tradendo la loro clientela politica con l’obiettivo di adottare solo successivamente una moneta comune. Di fatto si verifica l’esatto contrario: solo quando i politici hanno accettato una moneta comune (l’Euro nel nostro caso) essi si ritrovano obbligati ad attuare riforme che altrimenti sarebbero state inconcepibili.

Nelle parole di Walter Block:

“Lo Stato, con le sue regole è la principale o unica fonte di immobilità dei fattori produttivi. In altri tempi i costi di trasporto sarebbero stati la spiegazione o la causa principale, tuttavia grazie ai progressi tecnologici, essi sono oggi di gran lunga meno importanti. Stando così le cose, in un regime di laissez-faire non ci sarebbe praticamente nessuna immobilità. Data la verità approssimativa di questi presupposti, la regione mundelliana diventerebbe quindi l’intero globo – proprio come lo sarebbe in un regime di gold standard “.

Questa conclusione di Block è ugualmente applicabile per l’Eurozona nella misura in cui l’Euro, che abbiamo già indicato come una approssimazione del gold standard, riesca a disciplinare e delimitare il potere arbitrario dei politici degli Stati membri.

Non dobbiamo dimenticarci di sottolineare come keynesiani, monetaristi e mundelliani commettano tutti gli stessi errori in quanto ragionano esclusivamente in termini di aggregati macroeconomici, e quindi propongono, benché con lievi differenze, il medesimo tipo di aggiustamenti ottenibili attraverso la manipolazione monetaria e fiscale, gli interventi di precisione, e i tassi di cambio variabili. Essi sono convinti che tutti gli sforzi necessari per superare la crisi dovrebbero fare riferimento ai loro modelli macroeconomici e all’ingegneria sociale. Ignorano completamente la profonda distorsione microeconomica che la manipolazione monetaria (e fiscale) genera nella struttura dei prezzi relativi e in quella dei beni capitali.

Una svalutazione forzata (o deprezzamento) è onnicomprensiva, ovvero comporta un improvviso calo percentuale di tipo lineare nei prezzi tanto dei beni di consumo, quanto dei servizi e dei fattori produttivi, cioè una diminuzione pressoché uguale per tutti. Sebbene nel breve questa soluzione possa dare l’impressione di una rapida ripresa dell’attività economica e dell’occupazione, in realtà essa distorce completamente la struttura dei prezzi relativi (dal momento che senza la manipolazione monetaria alcuni prezzi sarebbero calati maggiormente, altri meno, altri non sarebbero scesi affatto e altri ancora sarebbero invece aumentati), porta ad una diffusa e cattiva allocazione delle risorse produttive ed infine provoca un trauma importante che ciascun sistema economico spesso riesce ad assorbire solo in diversi anni. Questa in sintesi è l’analisi microeconomica sviluppata dai teorici austriaci. Essa ruota intorno ai prezzi relativi e alla struttura produttiva ed è totalmente assente nello strumentario analitico dei teorici dell’economia che si oppongono all’Euro.

Infine, al di fuori della sfera puramente accademica, la fastidiosa insistenza con la quale economisti, investitori e analisti finanziari anglosassoni tentano di screditare l’Euro, prevedendone un tetro futuro, è in qualche modo sospetta. L’impressione è rafforzata dalla posizione ipocrita delle diverse amministrazioni americane (e anche, in misura minore, dal governo britannico) nel desiderare (tiepidamente) che l’Eurozona mantenga “la propria economia in ordine”. Tale posizione omette volutamente di ricordare che la crisi finanziaria trova origine dall’altro lato dell’Atlantico, cioè nell’incosciente politica espansionistica perseguita per anni dalla Federal Reserve, i cui effetti si sono diffusi nel resto del mondo attraverso il dollaro utilizzato ancora come valuta di riserva internazionale. Inoltre, viene esercitata un’insopportabile pressione sull’Eurozona affinché introduca politiche monetarie espansionistiche e irresponsabili (“quantitative easing”) simili a quelle adottate negli Stati Uniti; questa pressione risulta essere doppiamente ipocrita dal momento che tali politiche darebbero senza dubbio il colpo di grazia alla moneta unica europea.

Dietro questa posizione del mondo anglosassone non potrebbe forse nascondersi il timore che il dollaro perda il proprio status di valuta di riserva internazionale qualora l’euro sopravvivesse e cominciasse a fargli seria concorrenza? Molti segnali suggeriscono come tale questione stia diventando sempre più pertinente e, anche se non sembra molto politically correct, l’impressione è che essa sia come il sale sulla ferita che rende ancora più dolorosa la posizione degli analisti e delle autorità del mondo anglosassone: l’Euro sta emergendo come serio e potenziale rivale del dollaro a livello internazionale.

Come possiamo vedere, la coalizione anti-Euro riunisce diversi e potenti interessi. Ciascuno diffida dell’Euro per una ragione diversa. Tuttavia presentano tutti un comune denominatore: gli argomenti che costituiscono il nocciolo della propria opposizione all’Euro potrebbero essere gli stessi, e potrebbero essere ripetuti con maggiore enfasi, se invece della singola valuta europea avessero a che fare con un classico gold standard. Vi è infatti un elevato grado di somiglianza tra le forze che a loro tempo strinsero alleanza per abbandonare il gold standard e quelle che oggi cercano (fino ad ora senza successo) di reintrodurre in Europa il vecchio ed obsoleto nazionalismo monetario. Come abbiamo già fatto notare, tecnicamente era molto più facile abbandonare il gold standard allora di quanto sia oggi lasciare l’Unione monetaria. In questo contesto, non dovrebbe sorprendere che i membri della coalizione anti-Euro spesso cadano nel disfattismo più sfacciato: predicono disastri, affermano l’impossibilità di mantenere un’Unione monetaria e quindi come “soluzione” propongono di smantellarla. Essi arrivano anche al punto di bandire concorsi internazionali (- dove altro – in Inghilterra, la casa di Keynes e del nazionalismo monetario) ai quali partecipano centinaia di “esperti” e cialtroni monetari, ciascuno con le proprie proposte mirate ad indicare il metodo migliore ed innocuo di far saltare l’Unione monetaria europea.

5. I veri peccati capitali dell’Europa e l’errore fatale della Banca Centrale Europea

Non si può negare che l’Unione Europea soffra cronicamente di una serie di gravi problemi economici e sociali. Tuttavia, il tanto chiacchierato Euro non fa parte di questi problemi. E’ vero piuttosto il contrario: l’Euro agisce come un potente catalizzatore in grado di rivelare la gravità dei problemi europei. In tal modo esso accelera o “affretta” l’attuazione delle misure necessarie per risolverli.

Oggi l’Euro sta contribuendo a diffondere, più che mai, la consapevolezza sull’insostenibilità dell’enorme Stato sociale europeo e sulla necessità di una sua sostanziale riforma. Lo stesso può dirsi per le sovvenzioni e i vasti programmi di aiuti all’economia, tra i quali spicca la Politica Agricola Comunitaria, sia in termini dei dannosi effetti che provoca sia nella totale mancanza di razionalità economica che la caratterizza. Soprattutto possiamo affermare come la cultura dell’ingegneria sociale e la regolamentazione oppressiva, con il pretesto di armonizzare la legislazione dei diversi paesi, stia fossilizzando il mercato unico europeo impedendogli di essere un vero e proprio mercato libero. Oggi più che mai, il vero costo di tutti questi difetti strutturali dell’Eurozona sta diventando palese: senza una politica monetaria autonoma i vari governi sono stati letteralmente costretti a riconsiderare (e, quando possibile, a ridurre) tutte le voci della spesa pubblica, tentando di recuperare e guadagnare competitività internazionale con la deregolamentazione e l’incremento, quando applicabile, di flessibilità sui propri mercati (in particolare il mercato del lavoro, tradizionalmente molto rigido in molti paesi dell’Unione monetaria).

In aggiunta ai peccati capitali dell’economia europea appena menzionati, dobbiamo aggiungerne un altro che è forse ancora più grave, per via della sua peculiare e subdola natura. Ci riferiamo alla grande facilità con cui le istituzioni europee, molte volte a causa di una mancanza di lungimiranza, leadership o convinzione a riguardo dei loro stessi progetti, si lasciano intrappolare in politiche che nel lungo periodo si rivelano incompatibili con la moneta unica e un vero ed unico libero mercato.

In primo luogo è sorprendente notare la crescente regolarità con cui in Europa vengono introdotte nuove soffocanti misure di regolamentazione mutuate dal mondo accademico e politico anglosassone, in particolare gli Stati Uniti. Spesso ciò avviene anche quando tali misure si sono già dimostrate inefficaci o destabilizzanti. Questa malsana influenza fa parte di una lunga e consolidata tradizione (ricordiamo che i sussidi agricoli, la legislazione antitrust e le regolamentazioni in materia di “responsabilità sociale delle imprese” sono in realtà nate, come molti altri interventi fallimentari, negli Stati Uniti). Queste misure di regolamentazione vengono introdotte una dopo l’altra e rafforzate successivamente; ad esempio consideriamo il concetto di “giusto valore di mercato” nonché i principi contabili internazionali o i tentativi (finora, fortunatamente falliti) di attuare i cosiddetti accordi di Basilea III per il settore bancario e di Solvency II per il settore assicurativo, i quali soffrono entrambi sia di insormontabili e fondamentali carenze teoriche sia di gravi problemi in relazione alla loro pratica applicabilità.

Un secondo esempio della malsana influenza anglosassone può ritrovarsi nel piano europeo di ripresa economica che la Commissione Europea ha lanciato nel 2008 sotto gli auspici del Washington Summit e la leadership di politici keynesiani come Barack Obama e Gordon Brown e su consiglio di economisti teorici nemici dell’Euro, come Krugman e altri. Il piano raccomandava ai paesi membri un’espansione della spesa pubblica pari all’1,5 per cento del PIL (circa 200 miliardi di euro). Anche se alcuni paesi come la Spagna hanno commesso l’errore di espandere i propri bilanci, il piano, grazie a Dio e all’Euro, e per la disperazione dei keynesiani e dei loro seguaci, non è approdato a nulla: esso sarebbe solo servito ad aumentare i deficit, precludendo il conseguimento degli obiettivi del trattato di Maastricht e stabilizzando gravemente i mercati del debito sovrano nei paesi dell’Eurozona. Ancora una volta l’Euro ha fornito un quadro disciplinare e un freno al deficit, in contrasto con le sconsiderate politiche di bilancio di quei paesi vittime del nazionalismo monetario, in particolare gli Stati Uniti e soprattutto l’Inghilterra. Quest’ultima ha chiuso con un disavanzo pubblico del 10.1% del PIL nel 2010 e dell’8,8% nel 2011, superata su scala mondiale solo da Grecia ed Egitto. Nonostante il deficit e i pacchetti di stimolo fiscale, la disoccupazione rimane a livelli record (o molto alta) tanto in Inghilterra quanto negli Stati Uniti e le rispettive economie non sono affatto ripartite.

In terzo luogo, possiamo assistere ad una crescente pressione affinché si completi l’unione politica europea, che alcuni indicano come l’unica “soluzione” in grado di consentire la sopravvivenza dell’Euro nel lungo periodo. Oltre agli “eurofanatici”, che avanzano sempre ogni scusa che possa giustificare un maggiore potere centrale di Bruxelles, vi sono due gruppi particolari che condividono il sostegno all’unione politica. Un primo gruppo è costituito, paradossalmente, dai nemici dell’Euro, in particolare quelli di origine anglosassone: da un lato ci sono gli americani che, abbagliati dal potere centrale di Washington e consapevoli che non potrebbe essere replicato in Europa cercano, attraverso le loro proposte, di iniettare nell’Euro un virus letale; dall’altro lato ci sono gli inglesi, che rendono l’Euro un (ingiustificato) capro espiatorio su cui sfogare le loro (completamente giustificate) frustrazioni in vista del crescente interventismo di Bruxelles. Il secondo gruppo è costituito da tutti quei teorici e pensatori convinti che solo la disciplina imposta da un governo centrale possa garantire gli obiettivi di deficit e debito pubblico stabiliti nel trattato di Maastricht. Si tratta di una convinzione errata. Lo stesso meccanismo dell’Unione monetaria garantisce, proprio come il gold standard, che i paesi senza rigore di bilancio, onde evitare un aumento del rischio di credito e dei tassi di interesse, siano spinti a prendere le adeguate misure per ristabilire la sostenibilità delle proprie finanze pubbliche.

Nonostante ciò, il problema più serio non giace nella minaccia di un’impossibile unione politica, ma nell’inconfutabile fatto che una politica espansionistica del credito condotta dalla BCE sia capace di controbilanciare, almeno temporaneamente, gli effetti disciplinanti esercitati dall’Euro sugli agenti economici di ciascun paese. Un errore fatale della BCE consiste nel non essere riuscita a isolare e a proteggere l’Europa dalla grande espansione creditizia orchestrata su scala mondiale dalla FED a partire dal 2001. Per diversi anni, senza rispettare il Trattato di Maastricht, la Banca Centrale Europea ha permesso che l’offerta di denaro M3 crescesse a tassi maggiori del 9% annuo, di gran lunga superiori all’obiettivo di crescita del 4,5%, un criterio originariamente fissato dalla BCE stessa. Sebbene questo stimolo sia stato sensibilmente meno imprudente rispetto a quello fornito dalla FED, il denaro non ha trovato distribuzione uniforme tra i paesi dell’Unione monetaria ma ha avuto un impatto sproporzionato sui paesi periferici (Spagna, Portogallo, Irlanda e Grecia) i cui aggregati monetari sono cresciuti ad un ritmo molto più rapido rispetto a Francia e Germania (almeno 3-4 volte tanto).

Per spiegare questo fenomeno possono essere addotte diverse ragioni: dalla pressione applicata da Francia e Germania, entrambe alla ricerca di una politica monetaria accomodante anche per loro, all’estrema mancanza di lungimiranza dei paesi periferici che, non avendo voluto ammettere di trovarsi nel bel mezzo di una bolla speculativa, vedi il caso della Spagna, non sono stati in grado di dare istruzioni categoriche ai propri rappresentanti nel Consiglio della BCE affinché facessero rispettare rigorosamente gli obiettivi di crescita monetaria stabiliti dalla Banca Centrale Europea stessa. Durante gli anni precedenti la crisi, tutti questi paesi, tranne la Grecia, hanno facilmente rispettato i limiti di deficit del 3%, e alcuni, come Spagna e Irlanda, sono persino riusciti a chiudere i conti pubblici con grandi surplus. Quindi, nonostante il cuore dell’Unione Europea non abbia vissuto l’irrazionale esuberanza che aveva caratterizzato il sistema economico americano, ciò si è verificato invece nei paesi europei periferici, e nessuno, o ben pochi soggetti, è stato in grado di diagnosticare correttamente i gravi pericoli impliciti in tale processo di espansione.

Se gli accademici e le autorità politiche dei paesi interessati e della BCE, piuttosto che usare gli strumenti analitici macroeconomici e monetaristi importati dal mondo anglosassone, avessero usato quelli forniti dalla teoria austriaca del ciclo economico –dopo tutto un prodotto del più genuino pensiero continentale – sarebbe sicuramente stato possibile identificare e gestire la prosperità artificiale di quegli anni, l’insostenibilità di molti investimenti (specialmente rispetto allo sviluppo del settore immobiliare) intrapresi grazie alla enorme disponibilità di credito ed infine le crescenti entrate pubbliche destinate ad avere breve durata. Anche se nel ciclo più recente la BCE non si è dimostrata all’altezza degli standard che i cittadini europei avevano tutto il diritto di aspettarsi, al punto che potremmo anche definire la sua politica monetaria come una “solenne tragedia”, fortunatamente la logica dell’Euro come valuta unica ha prevalso: esponendo chiaramente gli errori commessi essa ha obbligato tutti quanti a tornare sul sentiero del controllo e dell’austerità.

Nella prossima sezione ci soffermeremo brevemente sul modo specifico in cui durante la crisi la Banca Centrale Europea ha gestito la propria politica monetaria e in quali punti essa differisca da quella delle banche centrali di Stati Uniti e Regno Unito.

6. Euro contro Dollaro (e Sterlina) e Germania contro Stati Uniti (e Gran Bretagna)

Una delle più importanti caratteristiche dell’ultimo ciclo culminato nella grande crisi del 2008, si ritrova senza dubbio nel differente comportamento tra le politiche fiscali e monetarie dell’area anglosassone, basate sul nazionalismo monetario, e quelle dei paesi membri dell’unione monetaria europea. Effettivamente, dall’inizio della crisi, sia la FED che la Banca d’Inghilterra hanno adottato politiche di:

- riduzione dei tassi vicine allo zero;

- immissione di grandi quantità di moneta nell’economia (eufemisticamente chiamate “quantative easing”);

- monetizzazione continua, diretta e sfacciata del debito pubblico.

A queste politiche monetarie (con la benedizione dei monetaristi e Keynesiani) si è aggiunto un forte stimolo fiscale con lo scopo di mantenere, sia negli Usa che in UK, deficit di bilancio vicini al 10% del PIL (riduzione considerata insufficiente dalla maggior parte dei Keynesiani recalcitranti, tra cui Krugman).

A differenza di quanto avviene con il dollaro e la sterlina, nell’Eurozona, fortunatamente, non è possibile iniettare denaro con estrema facilità, né è possibile tenere indefinitamente un comportamento irresponsabile in materia di bilancio pubblico. Almeno in teoria, la BCE non gode dell’autorità necessaria per procedere con la monetizzazione del debito pubblico e, sebbene abbia accettato i bond sovrani a collaterale dei suoi enormi prestiti al settore bancario e abbia iniziato, a partire dall’estate del 2010, ad acquistare direttamente e sporadicamente obbligazioni dei paesi periferici (Grecia, Portogallo, Irlanda, Italia e Spagna), vi è certamente una differenza economica fondamentale tra il comportamento degli Stati Uniti e quello del Regno Unito e la politica seguita dall’Europa continentale: mentre l’aggressività monetaria e l’irresponsabilità fiscale vengono deliberatamente e sfacciatamente adottate senza alcuna riserva nel mondo anglosassone, in Europa tali politiche vengono perseguite controvoglia e, in molti casi, solo dopo numerosi, ripetuti ed infiniti “summit”. Esse sono infatti il risultato di lunghi ed estenuanti negoziati, nei quali paesi con diversi interessi cercano con difficoltà di raggiungere un accordo comune.

Ciò che è ancora più importante, tuttavia, è il fatto che parallelamente all’iniezione monetaria a supporto dei debiti sovrani dei paesi in difficoltà, si cerchi di bilanciare tali azioni con delle riforme basate sull’austerità di bilancio (e non su pacchetti di stimolo fiscale) e sull’introduzione di politiche che incoraggiano le liberalizzazioni e la competitività; inoltre, sebbene giunta con lungo ritardo, la sospensione “de facto” dei pagamenti da parte della Grecia, alla quale è stato permesso di operare un “haircut” del 75% verso i privati investitori che avevano investito in obbligazioni sovrane elleniche, ha dato un chiaro segnale ai mercati: gli altri paesi in difficoltà non hanno alternativa, se non quella di implementare senza indugio le rigorose e severe riforme. Come abbiamo visto, anche Stati come la Francia, beatamente avvolti in uno sproporzionato Stato sociale, che fino ad ora erano sembrati intoccabili, hanno subito una riduzione del rating creditizio e visto salire il differenziale col bund tedesco. Come tutti gli altri si sono ritrovati obbligati ad adottare misure di austerity e riforme liberali onde evitare di mettere a rischio la propria membership di paesi appartenenti allo zoccolo duro dell’Europa.

Dal punto di vista politico, è abbastanza ovvio che la Germania (in particolare la cancelliera Angela Merkel) rivesta un ruolo principale nella battaglia di stabilizzazione fiscale e austerity (opponendosi a tutte le proposte inopportune, come gli “eurobond”, in grado di rimuovere qualunque incentivo di intervento rigoroso sui propri bilanci). Molte volte la Germania viene costretta a nuotare controcorrente. Da una lato, esiste una costante pressione politica internazionale per l’adozione di misure di stimolo fiscale, soprattutto da parte dall’amministrazione Obama, che sta usando la “crisi dell’euro” come una cortina fumogena per nascondere i propri fallimenti politici; dall’altro lato, la Germania deve confrontarsi con il rifiuto e l’incomprensione da parte di tutti coloro che vogliono rimanere nell’Euro solo per goderne i vantaggi offerti mentre, simultaneamente, si ribellano contro la disciplina fiscale che la moneta unica impone, soprattutto ai politici populisti e più irresponsabili e ai gruppi di interesse privilegiati.

In tutti i casi, e come caso esemplare che comprensibilmente farà infuriare i keynesiani e i monetaristi, dobbiamo evidenziare i risultati per niente confortanti che, sino ad ora, sono stati raggiunti dagli USA grazie agli stimoli fiscali e agli “alleggerimenti quantitativi”, a confronto con le politiche di liberalizzazione tedesche e l’austerità fiscale nella zona euro: deficit di bilancio tedesco 1% – deficit Usa oltre 8,20 %; disoccupazione tedesca 5,9% – disoccupazione Usa vicina al 9%; inflazione tedesca 2.5% – inflazione Usa 3.17%; crescita tedesca 3% – crescita Usa 1.7% (i dati del Regno Unito sono ancora peggiori di quelli americani). Lo scontro tra i due differenti paradigmi non potrebbe essere più evidente.

7. Conclusione: Hayek contro Keynes

Proprio come ai tempi del gold standard, una stragrande maggioranza di persone attribuisce oggi all’Euro colpe che in realtà sono riconducibili al principale pregio della valuta unica: la capacità di disciplinare i politici e i gruppi di pressione. Chiaramente, in nessun modo l’Euro costituisce lo standard monetario ideale, il quale, come abbiamo visto in precedenza può incarnarsi solo nel classico gold standard caratterizzato da un coefficiente di riserva del 100% sui depositi a vista e l’abolizione della banca centrale. E’ pertanto possibile che, trascorso un certo periodo di tempo e calmatisi i tumulti finanziari, la BCE possa tornare a ripetere i gravi errori del passato, promuovendo e favorendo la crescita di altre bolle legate ad una nuova espansione creditizia.

Tuttavia, lasciateci almeno ricordare come i peccati della FED e della Banca d’Inghilterra siano stati finora molto più gravi e come, almeno nell’Europa continentale, l’Euro abbia messo fine al nazionalismo monetario. In tal senso esso sta agendo timidamente, per gli stati membri, come “approssimazione” del gold standard, da un lato incoraggiando rigore fiscale e riforme mirate a migliorare la competitività, dall’altro mettendo fine agli abusi del welfare state e della demagogia politica.

Comunque sia, dobbiamo ammettere di trovarci in una congiuntura storica alquanto critica. Se l’Europa vuole davvero riuscire ad adottare la tradizionale stabilità monetaria tedesca, che, in definitiva, è l’unico ed essenziale modello attraverso cui, nel breve e nel medio termine, la competitività europea e la crescita possono essere sostenute, l’Euro deve sopravvivere. Su scala mondiale, la sopravvivenza e il consolidamento dell’Euro permetterà, per la prima volta dalla Seconda Guerra Mondiale, l’emersione di una valuta capace di far concreta concorrenza al monopolio del dollaro come standard monetario internazionale, quindi capace di disciplinare l’attitudine tutta americana in grado di causare gravi crisi finanziarie, come quella del 2007, che sistematicamente finiscono con lo sconquassare l’equilibrio economico mondiale.

Poco più di 80 anni fa, in un contesto storico simile al nostro, il mondo era diviso tra il mantenimento del gold standard, con la disciplina fiscale, la flessibilità lavorativa e il libero e pacifico commercio che questo comportava e il suo abbandono, con la conseguente diffusione del nazionalismo monetario, le politiche inflazionistiche, le rigidità salariali, l’interventismo, il “fascismo economico” e il protezionismo. Hayek e gli economisti Austriaci guidati da Mises compirono uno sforzo intellettuale titanico nell’analizzare, spiegare e difendere i vantaggi del gold standard e del libero scambio, in opposizione ai teorici, guidati da Keynes e dai monetaristi, i quali scelsero di ripudiare i fondamenti fiscali e monetari del laissez faire che fino ad allora avevano alimentato la Rivoluzione Industriale e il progresso della civilizzazione.

In quella occasione, il pensiero economico prese una strada diversa da quella indicata da Mises e Hayek e tutti noi abbiamo ben compreso le conseguenze economiche, politiche e sociali che fecero seguito a quella scelta. Oggi, nel ventunesimo secolo, incredibilmente, il mondo è ancora afflitto da instabilità finanziaria, mancanza di disciplina di bilancio e demagogia politica. Per tutte queste ragioni, e principalmente perché l’economia mondiale ne ha estremo bisogno, Mises e Hayek in questa nuova occasione meritano di avere la loro rivincita e l’Euro (almeno provvisoriamente, finché non sarà rimpiazzato una volta per sempre dal gold standard) merita di sopravvivere.


Why ‘Travelin’ Soldier’ Is the Best Anti-War Song Ever Written—and Always Brings a Tear to My Eye

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 15:00 da Foundation for Economic Education

When the subject of great anti-war songs comes up, a few tunes immediately come to mind.

"Fortunate Son” by Creedence Clearwater Revival, "Gimme Shelter" by the Rolling Stones—’War, children. It's just a shot away’—and Bob Dylan’s “Blowin’ in the Wind” are personal favorites. Some of my friends are partial to “War Pigs” by Black Sabbath.

Yet for me, one song blows them all away (pardon the expression). That song is “Travelin’ Soldier,” a song country music artist Bruce Robison wrote in 1996 that was later made famous by The Dixie Chicks (now just The Chicks).

For years I didn’t know what the song was about; nor that the song was written by Robison, a Texas-based singer-songwriter, and not by the Dixie Chicks, who in 2002 recorded the song and took it to #1 on Billboard’s country charts.

But eventually—I don’t even know when—I fell in love with not just the song, but every lyric in it.

‘Crying All Alone Under the Stands'

For those who don’t know the song or have never listened closely, “Travelin Soldier” describes a young American shipped off to war to fight in Vietnam. Before he leaves home, however, he meets a young girl in a cafe whom he falls for, and the song describes the letters they exchange as he fights in a conflict a world away that neither of them understand.

As the letters fly back and forth, we see the young couple has fallen in love. But happiness is not to be. In the song’s last lines before the chorus, emphasized in the full lyrics below, we learn the young soldier has been killed.

[Verse 1]

Two days past eighteen

He was waitin' for the bus in his army greens

Sat down in a booth in a cafe there

Gave his order to a girl with a bow in her hair

[Verse 2]

He's a little shy so she give him a smile

And he said, "Would you mind sittin' down for a while

And talkin' to me?

I'm feelin' a little low"

She said "I'm off in an hour and I know where we can go"

[Verse 3]

So they went down and they sat on the pier

He said "I bet you got a boyfriend, but I don't care I got no one, to send a letter to

Would you mind if I sent a-one back here to you?"

[Chorus]

I cried

Never gonna hold the hand of another guy

"Too young for him," they told her

Waitin' for the love of a travelin' soldier

Our love will never end

Waitin' for the soldier to come back again

Nevermore to be alone

When the letter said, "A soldier's comin' home"

[Verse 4]

So the letters came from an army camp In California then Vietnam And he told her of his heart, it might be love And all of the things he was so scared of

[Verse 5]

He said, "When it's gettin' kinda rough over here

I think of that day sittin' down on the pier

And I close my eyes and see your pretty smile

Don't worry but I won't be able to write for a while"

[Chorus]

I cried

Never gonna hold the hand of another guy "Too young for him," they told her

Waitin' for the love of a travelin' soldier

Our love will never end

Waitin' for the soldier to come back again

Nevermore to be alone

When the letter said, "A soldier's comin' home"

[Verse 6]

One Friday night at a football game

The Lord's Prayer said and the anthem sang

A man said, "Folks, would you bow your heads

For a list of local Vietnam dead?"

[Verse 7]

Cryin' all alone under the stands

Was a piccolo player in the marchin' band

And one name read, and nobody really cared

But a pretty little girl with a bow in her hair

[Chorus]

I cried

Never gonna hold the hand of another guy

"Too young for him," they told her Waitin' for the love of a travelin' soldier

Our love will never end

Waitin' for the soldier to come back again

Nevermore to be alone

When the letter said, "A soldier's comin'..."

[Chorus]

I cried

Never gonna hold the hand of another guy

"Too young for him," they told her

Waitin' for the love of a travelin' soldier

Our love will never end

Waitin' for the soldier to come back again

Nevermore to be alone

When the letter said, "A soldier's comin' home"

A young man dying in war is always a tragedy, but there’s a poetry in these lyrics that adds something more.

Though older than the girl, the soldier is little more than a boy himself (“two days past eighteen”) and yet finds himself sent to the jungles of Vietnam. He’s not just frightened but alone, so alone he asks if he can write letters to the girl who showed him the kindness of a smile and a few words on the pier.

As the war gets rougher, it’s the love of this girl (or the idea of the girl) that he just met that sustains the soldier. He loves her, and we see she loved the soldier.

In the most beautiful stanza of the song, we see the girl mourning this shy boy whose name is among those killed in action. As the names are read off one by one at a local football game, she weeps for him alone beneath the bleachers. And unlike those who dutifully recited the Lord’s Prayer and National Anthem to honor those who died, we understand that she cared for the boy in a way they did not.

‘Violence in Concentrated Form’

The philosopher Hannah Arendt once observed the fundamental problem with violence.

“The practice of violence, like all action, changes the world,” she wrote, “but the most probable change is a more violent world.”

There are few—if any—greater expressions of violence than war. And though few people would describe themselves as proponents of war, it’s clear many in our world today have grown comfortable with violence if it achieves the ends they seek.

“The principle of violence finds widespread application all over the world, in America as elsewhere,” philosopher and FEE founder Leonard Read observed in his essay “Instead of Violence.”

When he speaks of violence, Read makes it clear he’s not just talking about dropping bombs or shooting people, but taking things from others without consent:

“Personally, I am opposed to the initiation of violence in any form, by any body, or by any agency, government or otherwise. I cannot make inspired Violence square with ethical concepts. Aggressive coercion, whether socialized medicine or initiating war with Russia, is at odds with principles which seem right. How this brute force can be used and be considered moral, except to restrain violence otherwise initiated, is beyond my capacities to reason.”

It’s an empirical fact that the twentieth century was the bloodiest century in human history, and I don’t believe it’s a coincidence that this distinction was achieved as humans around the world embraced violence in its most pure and efficient form: the state.

It was the twentieth century that witnessed a profound transformation: the completion of the shift away from the idea that government is a necessary evil, designed to protect the rights of individuals, to the idea that government is a force for good that can deliver mankind from poverty and evil.

Read was not the only person troubled by the growing acceptance of state-wielded violence.

Mahatma Gandhi was among those who were deeply troubled by this shift, no doubt largely because he understood the true nature of the state.

“The state represents violence in a concentrated and organized form,” Gandhi wrote in 1935. “The Individual has a soul, but as the state is a soulless machine, it can never be weaned from violence to which it owes its very existence.”

This is why Gandhi saw non-violence as the epitome of bravery, the true antidote to violence driven by “the machinery of government.”

It might sound strange, but I think of this when I listen to “Travelin’ Soldier.” I think of how comfortable Americans have grown with the use of violence at home, whether through property seizures, for instance, or the policing of peaceful activity; of how leaders in our nation’s capital project power around the world and fund conflicts between other nations.

It makes me think Hannah Arendt was right when she observed that violence tends to beget violence. And when I think of that 18-year-old shipped off to Vietnam, who was mourned only by a piccolo player in the marching band, I think of a line from Game of Thrones.

“Why is it always the innocents who suffer most, when you high lords play your game of thrones?” the counselor Varys asked.

It’s not the politicians who fund the wars who pay the ultimate price. Nor the citizens at home who dutifully support and often cheer for conflicts abroad. It’s people like the Soldier, and those who are left to mourn him.

And that’s why “Travelin’ Soldier” always brings a tear to my eye.


Bomba nella sinistra: l’idolo è «maschio tossico»

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 15:00 da La Verità



Leonardo Caffo, pensatore animalista e nemico degli «stereotipi di genere», accusato dalla moglie di violenze. Lui nega tutto e si sfoga: «Giornali e università mi hanno già scaricato. Il femminismo? Così è intolleranza».

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“Bimbi marchiati, ebrei frustati coi cavi”. Così Hamas ha torturato gli ostaggi

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 14:33 da Nicola Porro

Il governo israeliano ha vietato alla stampa israeliana e internazionale di incontrare gli ostaggi rilasciati da Hamas. Questo per impedire che venissero allo scoperto particolari, ancora sotto censura, relativi alla loro detenzione. Si è trattato principalmente di una mossa preventiva perché sarebbero potuti passare particolari che avrebbero messo in pericolo i rapiti ancora in mano ad Hamas.

Il racconto delle torture sugli ostaggi

Questo però non ha impedito agli ostaggi non israeliani rilasciati da Hamas, principalmente lavoratori tailandesi impegnati nelle raccolte nei kibbutz, di parlare con la stampa straniera e proprio dai racconti di uno di loro si è saputo che gli israeliani sono trattati molto duramente da Hamas. Secondo questo testimone, di cui per ovvi motivi non sono state fornite le generalità, i prigionieri hanno ricevuto cibo insufficiente, acqua potabile razionata ma, soprattutto, ha raccontato di aver visto torturare gli uomini israeliani che venivano a turno frustati con cavi elettrici di un certo spessore.

Informazione questa che la censura avrebbe voluto tenere, almeno per il momento, riservata.

Come ha riportato il Jerusalem Post, un trattamento disumano è stato applicato, e si tratta di un crimine ancora più grave, anche nei confronti dei minori rapiti. È trapelato infatti dai medici e dagli infermieri, per ironia della sorte a parlare sono stati proprio gli operatori sanitari arabo-israeliani che si sono presi cura di questi bambini, che dalle analisi delle urine e del sangue risulta che i minori siano stati drogati.

Si presume che questo sia probabilmente successo ogni volta che venivano spostati da un posto ad un altro.

Molti di loro hanno cicatrici di bruciature sulle gambe, uno dei bambini ha raccontato al padre di essere stato obbligato a poggiare una gamba su un tubo di scappamento di una motocicletta. Il Jerusalem Post, quotidiano in lingua inglese che ha rivelato questo tragico particolare, nel suo articolo spiega che i segni delle bruciature erano per Hamas utili al riconoscimento dei bambini ebrei e israeliani nel caso fossero riusciti a scappare.
Considerando quanto potesse essere difficile per un minore pensare, o meglio organizzare, una fuga, si capisce chiaramente che si è trattato soltanto di violenze senza senso praticate sui più deboli.

Ricordiamo che erano proprio i nazisti che marchiavano i deportati nei campi di sterminio con numeri tatuati sulle braccia.

A Gaza si combatte

Il primo dicembre il cessate il fuoco è stato interrotto da Hamas, ma questo non ha colto nessun osservatore di sorpresa: i segnali di una ripresa dei combattimenti c’erano tutti.

La pazienza israeliana, ma anche quella dei negoziatori egiziani e qatarioti, è stata messa a dura prova dalla spettacolarizzazione del rilascio dei rapiti, in particolare lo show in diretta del rilascio di Mia Leimberg, 17 anni, ripresa con accanto gli uomini delle Brigate al-Qassam, l’ala militare del Movimento di Resistenza Islamica (Hamas) e delle Brigate Al-Quds, l’ala militare della Jihad islamica con il volto coperto, mentre veniva consegnata alla Croce Rossa Internazionale. In quelle immagini Mia aveva in braccio il suo cane Bella, femmina di cane Shih Tzu, anche lei portata via il 7 ottobre scorso durante l’attacco di Hamas al Kibbutz Nir Yitzhak. Considerando quanto siano odiati i cani nel mondo islamico, infatti quasi tutti i cani dei kibbutz assaltati il 7 ottobre scorso sono stati massacrati insieme ai loro padroni, mantenere in vita quella ragazza e il suo cagnolino è servito solamente a inscenare una farsa a uso e consumo delle telecamere occidentali.

Anche la presentazione delle liste dei possibili rilasciati a pochi minuti dallo scadere del tempo, in modo che Israele non avesse il tempo di controllare se le madri e i figli fossero stati divisi, cosa poi avvenuta per ben due volte, è stata motivo di grandi tensioni ai tavoli di trattative.

Così Hamas ha violato la tregua

Hamas ha comunque violato più volte i termini del cessate il fuoco ed è giusto ricordare quando e come.

La prima quando in fase di rilascio della terza trance ha diviso dei bambini dalle loro madri, il non dividere i minori dai genitori era una condizione fondamentale per mantenere vivo il cessate il fuoco. La seconda quando ha rivendicato l’attentato di Gerusalemme dove ci sono state vittime civili, quattro morti, di cui una donna incinta al quarto mese di gravidanza, e sette feriti di cui quattro in gravi condizioni. La terza quando, nell’ultima trance di rilasci, Hamas ha messo nel conteggio dei dieci ostaggi liberati anche due donne con passaporto russo che invece non dovevano essere conteggiate perché rilasciate in segno di amicizia nei confronti di Putin. Poi, alla fine, nella mattinata del primo dicembre Hamas ha ripreso il lancio di razzi verso i centri abitati di confine.

Oltre che a Sderot le sirene sono suonate in altri centri urbani che si trovano nel raggio di pochi chilometri dal confine con la Striscia di Gaza e nel pomeriggio missili sono arrivati anche nei pressi di Tel Aviv.

La protezione civile israeliana ha ricominciato a mandare in onda su tutti i canali nazionali le avvertenze alla popolazione sul comportamento da tenere in caso di allarme mentre gli aerei della IDF hanno ripreso a bombardare siti sensibili a sud della Striscia di Gaza e i carri-armati riprendevano posizione. Che il cessate il fuoco e il rilascio di una piccola parte degli ostaggi servisse ad Hamas solo per rimettere ordine nelle sue fila, recuperare le armi e, soprattutto, impossessarsi della benzina arrivata insieme agli aiuti umanitari era chiaro, e la ripresa dei lanci di razzi e missili ne è la prova.

Per Israele, anche se dal punto di vista militare è stato un errore, aver liberato una parte degli ostaggi è un successo dal punto di vista umano e da un filo di speranza ai parenti di coloro che dal 7 ottobre scorso sono in mano ai terroristi.

Michael Sfaradi, 2 dicembre 2023

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Mercato euforico: borse puntano su soft landing

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 14:26 da TradingOnline.com

Pubblicato il

I mercati americani stanno scommettendo con cifre importanti sulla fine del ciclo di rialzi dei tassi, cosa che è stata confermata da un novembre che ha fatto registrare rialzi, per il settore azionario degli Stati Uniti, che non si vedevano da tempo. Tuttavia chi ha un minimo di memoria delle precedenti crisi e delle precedenti recessioni invita, ragionevolmente, alla calma, interpretando anche quello che è il pensiero dei massimi vertici della politica monetaria degli Stati Uniti (e non solo).

La speculazione sembra però aver dimenticato la vecchia lezione del Don’t Fight the Fed, e del non scommettere eccessivamente contro gli inviti alla calma della banca centrale più potente del mondo. La situazione è meritevole certamente di analisi, non solo perché i rialzi dei tassi sono ancora prematuri, almeno stando a quanto afferma a microfoni aperti Jerome Powell, ma anche perché gli effetti del recente e importante ciclo rialzista sui tassi non ha ancora terminato di produrre i suoi effetti.

Il soft landing non è ancora scontato, ma Wall Street brinda per altri motivi

Il soft landing è tutto fuorché garantito. Come abbiamo detto poche righe fa, in realtà i più cauti tra gli analisti ritengono che il pericolo sia ancora presente e che non possiamo ancora quantificare gli effetti di uno dei cicli rialzisti più importanti di sempre. Tuttavia, nonostante queste – per qualcuno terrificanti – premesse, c’è spazio per scommesse rialziste. SPX 500 ha guadagnato oltre il 6% nel giro di un mese, rialzo incredibile per lo storico di uno degli indici più rappresentativi della prima economia finanziaria del mondo.

A corroborare l’analisi del sentimento di euforia dei mercati la tipologia di investimenti che è andata per la maggiore – o che comunque ha fatto registrare dei ritorni importanti. Dalle cosiddette meme stock fino alle tech che hanno ancora bilanci piuttosto sconquassati: il dato di più chiara interpretazione è che in realtà a fare la differenza è stato un ritorno, importante, dell’appetito per il rischio, appetito che a partire dall’estate era andato scemando a causa delle preoccupazioni per un ciclo di politiche monetarie restrittive che, dicevano da Washington, sarebbe dovuto durare più a lungo di quanto preventivato.

L’euforia dei mercati, tutto fuorché assopita e testimoniata anche da un ottimo rimbalzo del comparto crypto, con Bitcoin in testa, conferma che sono in pochi a credere al fatto che sia sostenibile, in particolare in un anno che vedrà le elezioni per la Casa Bianca, un periodo eccessivamente lungo di tassi così elevati.

A prescindere dal dato quasi esatto che ci forniscono certi tipi di titoli, che poi ci permettono tramite il FedWatch Tool di capire cosa pensano i mercati dei futuri movimenti di Fed in termini di tassi, è chiaro che i mercati si aspettano, a questo punto, tagli decisi dei tassi già a partire dal secondo trimestre del 2023.

Euforia mercati analisi
Novembre di festa e euforia per i mercati

Combattere la Fed: la storia sarà diversa questa volta?

Mentre gli scettici fanno fatica a trovare ospitalità sulle principali riviste e i principali giornali che si occupano di mercati finanziari, c’è comunque da fare qualche valutazione e nel caso prepararsi anche con gli short.

Questo se dovesse presentarsi il quadro meno che ottimale di una recessione tecnica, di un rallentamento importante dell’economia USA e di un’inflazione che invece faticherà a tornare al 2%, target mantra che Federal Reserve ha affermato più volte di non voler negoziare, almeno prima di arrivarci.

In questo scenario, il rally di novembre sarà ricordato per sempre come il canto del cigno prima di un periodo duro per tutte le quotazioni. Incertezza che però i mercati non stanno prezzando – basti guardare alla volatilità che è tornata su livelli pre-pandemici – forti del fatto che questa volta potranno battere Fed. Certo è che i toni forse eccessivamente burocratici di Jerome Powell non stanno aiutando a rendere credibili le minacce che proferisce, con toni in realtà assai moderati, verso i mercati.


Bitcoin: una banca lo vede a 100.000$ | Bomba su ETF Ethereum!

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 14:29 da Criptovaluta.it

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Bitcoin: previsione shock (ma non troppo) di Standard Chartered. La novità più importante è su...

Gianluca Grossi 02/12/23 14:29 News

Non è una notizia vera e propria, perché per quanto l’abbiano riportata come tale tante pubblicazioni a tema Bitcoin, in realtà non è la prima volta che questa grande banca spara cifre molto elevate per Bitcoin. Sì, parliamo ancora una volta di Standard Chartered, grande gruppo finanziario che tramite il suo analista Geoff kendrick ha reiterato una previsione strabiliante per $BTC.

Si parla di 100.000$ entro fine 2024, previsione in linea con quanto affermato in passato dallo stesso gruppo e dallo stesso analista, che punta ancora una volta sull’arrivo prossimo – questo è il sentiment prevalente – degli ETF Bitcoin. Ma quanto c’è di affidabile? E la questione, come vedremo, riguarda anche Ethereum.


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Standard Chartered insiste: Bitcoin a 100.000$ entro fine 2024

La previsione è di quelle appetitose, almeno per chi ha già investito in Bitcoin. Standard Chartered infatti, tramite il suo analista che si occupa di questo settore, insiste sul target a 100.000$ per $BTC entro fine 2024. Il numero è tondo ed è anche per questo che si è guadagnato più volte le prime pagine delle pubblicazioni a tema Bitcoin.

Crediamo che diversi ETF spot saranno approvati entro il primo trimestre del 2024, sia per Ethereum che per Bitcoin.

E sarebbe questo a spingere il raggiungimento, almeno da parte di Bitcoin, di livelli di prezzo che non si erano mai visti prima. Altrettanto interessante la posizione su Ethereum, mentre in molti sono scettici sulla possibilità che il percorso di approvazione degli ETF possa essere tanto rapido.

E c’è un altro dettaglio: la fine 2024 sarà una sorta di limite massimo per Bitcoin per raggiungere i 100.000$ .

Ci aspettiamo più spinta rialzista sui prezzi che andrà a materializzarsi prima dell’halving, che sarà favorita dall’arrivo degli ETF Spot negli USA. Questo ci suggerisce il rischio che il livello dei 100.000$ sarà raggiunto prima della fine del 2024.

Quanto sono affidabili queste previsioni?

Sono previsioni e spesso sono formulate anche per far circolare il proprio nome, per quanto si potrebbe pensare che Standard Chartered sia in realtà libera da queste logiche.

Non è evidentemente così: invitiamo tutti, per quanto siamo d’accordo con l’analisi generale – e un po’ meno su quella su Ethereum – a ragionare comunque con la propria testa. Sul breve periodo la nostra analisi su Bitcoin, che indica il raggiungimento dei 42.000$ che è possibile anche a stretto giro di posta, rimane a nostro avviso il punto di partenza sul quale ragionare.


“Una vita troppo breve…”. La lettera di Meloni per Indi Gregory

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 13:00 da Nicola Porro

“Da oggi lei non sarà più tra le vostre braccia, e non potrete più lasciarvi incantare dal suo sorriso, ma Indi continuerà a vivere, perché, come ci ha insegnato Chiara Corbella Petrillo, si nasce e non si muore mai”. Giorgia Meloni cita la 32enne che ha rifiutato le cure anti-cancro per portare avanti la sua terza gravidanza nella lettera inviata alla famiglia di Indi Gregory, la bambina britannica deceduta per una grave malattia rara lo scorso 13 novembre. La piccola, cui il governo italiano aveva concesso la cittadinanza italiana per farla curare all’ospedale Bambino Gesù, è venuta a mancare dopo le sentenze dei giudici britannici che hanno impedito alla famiglia di trasferirla in Italia.

Meloni nella lettera, riportata oggi dal Telegraph, ha riservato parole di compassione per i genitori della bambina: “Indi, al centro di una dura battaglia tra i suoi genitori e la giustizia britannica, ha avuto una vita breve, troppo breve, ma abbastanza lunga perché vostra figlia ricordi alla gente di tutto il mondo che ogni vita, ogni singola vita, non importa quanto imperfetta possa sembrare al mondo, è un tesoro da custodire”.

A soli otto mesi, la piccola Indi ha perso la vita a causa di una grave malattia mitocondriale. I genitori si sono battuti contro le corti del Regno Unito per tentare di salvare la vita della loro bambina o quantomeno di tentare di prolungarla in Italia. Ma la decisione delle toghe britanniche è stata irremovibile e ha confermato la scelta dell’ospedale: interrompere i trattamenti vitali nel “supremo interesse del minore”. L’ospedale Bambino Gesù di Roma si era reso disponibile ad accogliere la piccola e a fornirle le cure necessarie, un’opportunità che però, a causa della decisione dei giudici britannici, non è potuta diventare realtà. A tal proposito il padre della piccola, Dean, aveva esclamato: “Mia figlia è morta, la mia vita è finita. Io e mia moglie Clare siamo arrabbiati, affranti e pieni di vergogna”.

Indi ha vissuto quasi tutta la sua vita in un letto d’ospedale, eppure Indi ha vissuto una vita piena. Si è lasciata amare e ha amato. Ha portato luce nella vita di chi la circondava, riempiendo di significato la vostra vita e quella di tanti altri”, ha concluso Meloni nella missiva. Ieri al funerale era presente una delegazione del governo italiano con i ministri Eugenia Roccella e Alessandra Locatelli.


Pfizer finisce in tribunale: «Bugie sui vaccini»

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 13:00 da La Verità



Il procuratore del Texas cita in giudizio il colosso farmaceutico. L’accusa è di aver mentito sull’efficacia del suo prodotto e di aver censurato le opinioni contrarie. Intanto uno studio europeo conferma: l’effetto dei booster dura solo poche settimane.

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Pistoia, i Conservatori europei si confrontano sull’agricoltura

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 01:00 da L'Opinione della Libertà

Pistoia, i Conservatori europei si confrontano sull’agricoltura

Il convegno è stata l’occasione di un confronto a tutto campo sui temi dell’agricoltura. I Conservatori europei (gruppo Ecr) hanno organizzato una due giorni a Pistoia dal titolo “I primi ecologisti. Il ruolo di agricoltori, allevatori e pescatori nel legame tra natura e sviluppo”. Il parterre internazionale ha registrato al presenza del commissario Ue all’Agricoltura, Janusz Wojciechowoski collegato da Bruxelles, il sottosegretario al Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste, Patrizio Giacomo La Pietra, del co presidente del gruppo Conservatori e riformisti, Nicola Procaccini, dell’eurodeputato Sergio Berlato.

Ad aprire i lavori, ospitati al Palazzo comunale, è proprio il sindaco Alessandro Tomasi che ha ricordato come la città “è il più grande distretto vivaistico d’Europa, qui si fanno le piante. Siamo gli attori principali delle riqualificazioni urbane che sono oggetto anche dei fondi del Pnrr e abbiamo davanti delle sfide che questo convegno mette in evidenza: considerare l’uomo e le attività economiche al centro della natura e non qualcosa di estraneo e che la distrugge”.

Il distretto di Pistoia “è impegnato in questi anni in questa filosofia: ridurre l’uso dei fitofarmaci, salvaguardare l’acqua, difendere le piante dagli attacchi patogeni che vengono dall’estero e in particolare dall’Oriente. Avere una programmazione corretta per avere quelle piante che rendono più belle le città e abbattere il calore. Parte da qui un’idea diversa di approccio dell’uomo alla natura. Spero che sia anche l’approccio del nuovo Parlamento europeo dove si abbandoni l’ideologia e si abbia un atteggiamento più pragmatico”. La prima sessione di dibattito si è svolta in una giornata importante per il gruppo Ecr e per il governo italiano che ha portato a casa la firma del presidente della Repubblica alla legge contro la carne coltivata. Provvedimento che nei giorni scorsi aveva acceso il dibattito e che sembrava essersi bloccato per una formalità sollevata dal Quirinale e subito risolta con la notifica del testo alla Commissione europea.

Secondo il sottosegretario La Pietra “è la conferma che le nostre preoccupazioni sono legittime. Adesso sarà portata in Commissione europea per la sua ultima valutazione, ma anche a livello politico stiamo registrando un apprezzamento di tante nazioni sulla nostra iniziativa che si basa sulla precauzione nei confronti di qualcosa che ancora non conosciamo e non sappiamo quanto possa essere nocivo per la salute, e soprattutto che va a impattare sulla nostra concezione di agricoltura e allevamento”.

Procaccini ha parlato di “un grande successo del ministro Lollobrigida e dell’Italia perché è la prima a segnare un punto in questo senso, in base al principio di precauzione”. Oggi le conclusioni saranno affidate al ministro dell’Agricoltura, della Sovranità alimentare e delle foreste, Francesco Lollobrigida.

Aggiornato il 02 dicembre 2023 alle ore 12:26:46


La tassa sulle macerie

Pubblicato sabato 2/12/2023 alle 01:00 da L'Opinione della Libertà

La tassa sulle macerie

Ci mancava pure la tassa sulle macerie”. Queste le parole di Giorgio Spaziani Testa, presidente di Confedilizia, che sul portale di Nicola Porro osserva: “Al di là del diritto, però, la questione è politica, e prima ancora di buon senso. Possibile che certe Amministrazioni comunali siano così assetate di denari da pretendere di tassare persino dei ruderi, e cioè immobili (appartenenti per il 90 per cento a persone fisiche) che finiscono in condizioni di fatiscenza per il trascorrere del tempo o, addirittura, in conseguenza di atti concreti dei proprietari (ad esempio, la rimozione del tetto) finalizzati proprio a evitare almeno il pagamento della patrimoniale su delle vere e proprie zavorre?”. E ancora: “Secondo gli ultimi dati dell’Agenzia delle entrate, relativi allo stato del patrimonio immobiliare italiano nel 2022, il numero di questi immobili è aumentato del 2,7 per cento rispetto all’anno precedente. Ma il dato più allarmante emerge quando si confrontano i numeri pre e post Imu: dal 2011, gli immobili ridotti alla condizione di ruderi sono più che raddoppiati, passando da 278.121 a 610.085, con un incremento del 119 per cento. Di fronte a questa situazione disastrosa, l’unica cosa che viene in mente a certe amministrazioni comunali è tassare?

Spaziani Testa, inoltre, nelle ultime ore commenta: “Ha ragione la presidente Giorgia Meloni: serve una transizione ecologica, non ideologica. Era ideologica, ad esempio, quella su cui si basava la proposta di direttiva europea sull’efficientamento energetico degli edifici (la cosiddetta case green), per la quale il prossimo 7 dicembre dovrà essere confermato il cambio di impostazione deciso il 12 ottobre”. E ancora: “Serve, altresì, come pure ha detto la premier, una sostenibilità economica e sociale delle misure, e anche queste caratteristiche erano assenti nella normativa proposta dall’ex commissario Ue per il clima, Timmermans, e dal relatore verde del provvedimento, Cuffe, che stabiliva obblighi assurdi con scadenze improponibili. Il Governo italiano – nota – ha già fatto molto per scongiurare l’approvazione del testo iniziale della direttiva sulle case green. Gli chiediamo un ultimo sforzo di vigilanza e di azione in vista della riunione del 7”.

Aggiornato il 02 dicembre 2023 alle ore 12:51:06